LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17931 del ruolo generale dell’anno 2011 proposto da:
Umbra s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. Emanuele Coglitore per procura speciale in calce al ricorso, presso il cui studio in Roma, via Confalonieri, n. 5, è
elettivamente domiciliata;
– ricorrente principale –
contro
Agenzia della entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente incidentale –
nonchè
sul ricorso iscritto al n. 17961 del ruolo generale dell’anno 2011 proposto da:
Agenzia della entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici ha domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;
– controricorrente incidentale –
contro
Umbra s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’Avv. Emanuele Coglitore per procura speciale in calce al controricorso, presso il cui studio in Roma, via Confalonieri, n. 5,
è elettivamente domiciliata;
– ricorrente principale –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Umbria n. 71/02/10, depositata il giorno 20 maggio 2010;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2 luglio 2018 dal Consigliere Giancarlo Triscari.
RILEVATO
che:
la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: la società contribuente aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Terni avverso l’avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2004, era stata rettificata la dichiarazione presentata ed accertato una maggiore IRES, Irap e Iva e irrogate le relative sanzioni; in particolare, erano stati ripresi a tassazione costi ritenuti non deducibili relativi a: a) quota di ammortamento relativo a una videocamera digitale e del programma di acquisizione digitale, essendo la spesa non inerente; b) spese relative a due fatture emesse dalla Azienda agricola M.G., per mancanza del requisito della certezza; c) costi sostenuti per l’acquisto di carburante, per mancata corretta redazione delle schede carburanti e perchè non di competenza per l’esercizio 2004; d) versamenti di premi corrisposti a clienti, per mancanza del requisito della certezza e perchè non di competenza per l’esercizio 2004; e) spese relative alle fatture emesse per provvigioni dalle società Ma.Eu. & c. snc e PNN di N.P., per mancata indicazione nelle stesse della prestazione resa; f) spese per prestazioni di trasporto-merce, per incertezza del contenuto delle fatture; g) spese relative alle fatture emesse dalla ditta E.S., in quanto le prestazioni dovevano essere considerate inesistenti; h) non corretta detrazione dell’Iva afferente a detti costi;
la Commissione tributaria provinciale aveva parzialmente accolto il ricorso, riconoscendo la deducibilità dei costi per premi a clienti; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello la società contribuente e appello incidentale l’Agenzia delle entrate;
la Commissione tributaria regionale dell’Umbria ha parzialmente accolto l’appello principale proposto dalla società contribuente relativamente a: costi per carburanti (sopra, lett. c); costi per premi verso clienti di cui alla fattura n. ***** (sopra, lett. d); spese relative alle fatture emesse dalle società Ma.Eu. & c. snc e PNN di N.P. (sopra, lett. e); la stessa, inoltre, ha rigettato l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate, perchè proposto solo per motivi formali, senza disconoscere il merito;
avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte la contribuente affidato a cinque motivi di censura, da cui è derivato il procedimento R.G. n. 17931/2011, cui ha resistito l’Agenzia delle entrate depositando controricorso;
avverso la medesima pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte l’Agenzia delle entrate, affidato a due motivi di censura, da cui è derivato il procedimento R.G. n. 17961/2011, cui ha resistito la contribuente depositando controricorso;
la società Umbra s.r.l. ha depositato memoria in entrambi i procedimenti riuniti;
il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. Tommaso Basile, ha depositato memoria relativamente al proc. n. 17931/2011, concludendo per il rigetto del ricorso, e memoria relativamente al proc. n. 17961/2011, concludendo per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO
che:
preliminarmente va disposta la riunione del procedimento R.G. n. 17961/2011 al procedimento R.G. n. 17931/2011, attesa l’identità oggettiva e soggettiva della controversia, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., con “conversione” di quello notificato successivamente, in ricorso incidentale (Cass. n. 5695/15);
1. Sui motivi del ricorso principale.
Con il primo motivo di ricorso principale si censura la sentenza di appello ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.;
in particolare la ricorrente lamenta che il giudice del gravame non si è pronunciato sul motivo di appello relativo alla deducibilità dei costi per Euro 16.606,60 per trasporti di merci da parte di diverse società di autotrasporto, avendo la stessa: a) evidenziato che in sede di contraddittorio l’ufficio finanziario aveva riconosciuto che erano deducibili Euro 15.546,00; b) aveva contestato che l’Ufficio finanziario aveva assolto all’onere probatorio sullo stesso gravante; c) evidenziato di avere prodotto, in sede di appello, documentazione che consentisse di superare il rilievo della incertezza dell’effettivo svolgimento dell’attività di trasporto in proprio favore;
il motivo è fondato;
dall’esame della pronuncia censurata non si evince che il giudice di secondo grado si sia pronunciato sul motivo di appello prospettato dalla contribuente sulla questione della effettiva esecuzione dell’attività di trasporto in proprio favore dalla società di cui alle fatture contestate;
rileva, in particolare, la circostanza che in sede di giudizio di appello la società contribuente aveva prodotto documentazione, specificamente indicata a pag. 28 e 29 del ricorso, sulla cui base la stessa ritiene di potere condurre ad una valutazione di infondatezza della pretesa;
il giudice di appello non si è pronunciato sulla questione in esame, nè ha preso in considerazione la documentazione sopra indicata, in tal modo addivenendo ad una omessa pronuncia, correttamente censurata dalla contribuente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.;
con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.;
in particolare la contribuente lamenta che il giudice di secondo grado non ha pronunciato sul motivo di appello con il quale, relativamente alla ritenuta non deducibilità nell’anno 2004 dei costi per rifornimenti sostenuti nell’anno 2003, la contribuente aveva sostenuto che i suddetti costi erano avvenuti a fine anno 2003 ed erano stati dedotti nel 2004 poichè riferiti a ricavi conseguiti in questo anno;
il motivo è infondato;
è vero che la sentenza censurata non ha reso specifica pronuncia sulla questione prospettata con il motivo di appello sopra indicato, tuttavia, essendo certo, per come riportato dalla stessa contribuente, che il costo per i rifornimenti erano stati sostenuti nell’anno 2003, va affermato, in applicazione dell’art. 384 c.p.c., comma 2, il principio di questa Suprema Corte secondo cui “le regole sull’imputazione temporale dei componenti del reddito sono tassative e inderogabili, non essendo consentito al contribuente di ascrivere a proprio piacimento un componente negativo del reddito a un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come “esercizio di competenza”. I costi dei servizi, infatti, sono deducibili nell’esercizio in cui la prestazione viene ultimata, a prescindere dal momento in cui viene emessa la fattura ed effettuato il pagamento (Cass., civ. Sez. 5, Sentenza 6 maggio 2015, n. 9068; Cass. civ. Sez. 6, Ord., 1 febbraio n. 2548);
è stato, altresì, precisato che “in tema di reddito d’impresa, non è consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, neppure al dichiarato fine di bilanciare componenti attivi e passivi del reddito e pur in assenza della configurabilità di un danno per l’erario, atteso che le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, sono vincolanti sia per il contribuente che per l’erario e, per la loro inderogabilità, non richiedono nè legittimano un qualche giudizio sull’esistenza o meno di un danno erariale, per modo che appare decisamente irrilevante l’eventuale (anche effettiva) insussistenza dello stesso nel caso concreto (Cass. 1648/2013)””.
con il terzo motivo si censura la sentenza impugnata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non avere il giudice del gravame pronunciato sul motivo di appello con il quale aveva contestato che la violazione meramente formale in materia di fatturazione avrebbe potuto, semmai, legittimare il disconoscimento del costo ai fini della tassazione diretta, ma non giustificare il disconoscimento della detrazione Iva;
il motivo è fondato, per quanto di ragione;
anche in questo caso, non risulta che il giudice di appello abbia reso pronuncia sulla questione prospettata;
le considerazioni espresse relativamente al primo motivo di ricorso, con le quali si è ritenuto necessario che il giudice di appello proceda ad una valutazione del materiale probatorio relativo alla questione della deducibilità dei costi sostenuti per trasporti, ha valore assorbente su questo motivo di ricorso, posto che dalla verifica della esistenza o meno dell’operazione discende la legittimità della ripresa anche ai fini della indebita detrazione dell’Iva;
la questione ha rilevanza, invece, con riferimento ai costi per i quali è stata disconosciuta la deducibilità compiuta nell’ambito di un esercizio non di competenza, in quanto connessi a ragioni formali; sul punto, va richiamata la giurisprudenza di questa Suprema Corte secondo cui “non può essere affermata la perdita del diritto alla detrazione se siano soddisfatte le condizioni sostanziali di esigibilità dell’imposta dovuta dal cessionario/committente e della destinazione dei beni e servizi acquistati o utilizzati ad operazioni assoggettate ad imposta, sempre che tali condizioni sostanziali emergano con certezza dalla documentazione in possesso del contribuente, esibita all’Amministrazione finanziaria in sede di verifica” (Cass. n. 3586/2016);
nella fattispecie, l’Amministrazione finanziaria non contesta, relativamente alla suddette operazioni, che le stesse erano inesistenti, ma ha fatto valere ragioni di pretesa per mancata osservanza delle disposizioni relative alla deducibilità dei costi nell’esercizio non di competenza;
tale corretta valutazione, tuttavia, se ha valore ai fini della ripresa dei costi non legittimamente dedotti, non può escludere, tuttavia, il diritto della contribuente alla detrazione dell’Iva, non essendo contestato che le operazioni di cui alle fatture siano state regolarmente sostenute;
con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non avere pronunciato sulle questioni relative alla non applicabilità della sanzione e comunque per non avere graduato la sanzione in considerazione della natura meramente formale delle violazioni contestate;
il motivo è infondato;
la sentenza del giudice di appello ha precisato che talune questioni erano da considerarsi domande nuove, inammissibili ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57;
nell’articolare il presente motivo di ricorso, la contribuente si duole dell’omessa pronuncia sulla questione in esame, ma, proprio tenuto conto della affermazione del giudice di appello sul punto, si è limitata a sostenere che la stessa era stata proposta dinanzi al giudice del gravame, senza tuttavia specificare che la medesima era stata altresì proposta dinanzi al giudice di primo grado, non rientrando, in tal modo, tra quelle ipotesi per le quali il giudice di appello ne ha espressamente dichiarato l’inammissibilità in quanto nuove;
sotto tale profilo, la controricorrente ha eccepito che aveva evidenziato al giudice di appello che la questione era nuova perchè formulata in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 sicchè deve ritenersi, in mancanza di diverse indicazioni di parte ricorrente, che sulla questione si era pronunciato il giudice di appello con la declaratoria di inammissibilità sopra riportata;
con il quinto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per non avere dichiarato l’inammissibilità dell’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate sulla questione della deducibilità dei costi per premi a clienti, non essendo stata proposta in coerenza con la ratio decidendi della pronuncia del giudice di primo grado;
il motivo è inammissibile;
va evidenziato, in primo luogo, che la pronuncia di appello si è implicitamente espressa sulla eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale, avendo ritenuto che lo stesso era stato proposto solo per aspetti formali senza addurre fondati motivi attinenti al merito;
in ogni caso, la pronuncia ha, comunque, rigettato l’appello incidentale, sicchè non si riscontra un interesse della ricorrente a censurare la pronuncia che ha ritenuto non fondate le ragioni di doglianza espresse dall’Agenzia delle entrate;
infine, va dato atto che l’Agenzia delle entrate, nel proporre ricorso incidentale nel presente giudizio, non ha proposto motivi di censura su tale punto della decisione, con conseguente acquiescenza ad esso e che la società contribuente, preso atto di quanto sopra, ha dichiarato, in memoria, di non avere interesse all’esame del presente motivo di ricorso.
2. Su motivi del ricorso incidentale.
Con il primo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, del D.M. 7 giugno 1977, della L. n. 662 del 1996, art. 3, comma 137, lett. d) e del D.P.R. n. 444 del 1997, per avere ritenuto che, sulla questione della non deducibilità dei costi per carburanti, la non corretta compilazione della scheda carburante costituisse una violazione solo formale, non inficiando la veridicità della spesa sostenuta; il motivo è fondato;
questa Corte di cassazione (Cass. n. 24409 del 30/11/2016, n. 2 25122 del 2014) ha affermato il principio, cui si intende dare continuità, che in tema di imposte dirette ed IVA, la possibilità di detrarre dall’imposta dovuta quella assolta per l’acquisto di carburanti destinati ad alimentare i mezzi impiegati per l’esercizio dell’impresa è subordinata al fatto che le cosiddette “schede carburanti”, che l’addetto alla distribuzione è tenuto a rilasciare, rispettino i requisiti di forma e di contenuto richiesti dalla legge e, quindi, siano redatte in conformità al modello allegato al D.P.R. n. 444 del 1997, compresa l’indicazione chilometrica, necessaria a fini antielusivi, non surrogabile da altri documenti; è stato, inoltre, precisato al riguardo che il D.P.R. n. 444 del 1997, dispone all’art. 3 (Adempimenti inerenti la scheda) che “1. L’addetto alla distribuzione di carburante indica nella scheda di cui all’art. 2 all’atto di ogni rifornimento, con firma di convalida, la data e l’ammontare del corrispettivo al lordo dell’imposta sul valore aggiunto, nonchè, anche a mezzo di apposito timbro, la denominazione o la ragione sociale dell’esercente l’impianto di distribuzione, ovvero il cognome e il nome se persona fisica, e l’ubicazione dell’impianto stesso”, e che, pertanto, la sottoscrizione dell’esercente dell’impianto di distribuzione “avendo una funzione, definita dallo stesso legislatore, di convalida del rifornimento costituisce elemento essenziale senza del quale la scheda non può assolvere alla finalità prevista dalla legge” (cfr. Corte Cass. 21941/2007);
il giudice di appello, laddove ha ritenuto che la mancata indicazione dei requisiti di forma e di contenuto nelle schede carburanti costituisca solo una violazione formale, non è conforme al suddetto consolidato principio, essendo non contestato che le schede risultavano, invece, prive dell’indicazione del chilometraggio effettuate e del timbro di convalida del gestore;
con il secondo motivo di ricorso incidentale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 1, per avere ritenuto, con riferimento alla questione della deducibilità del costo di cui alla fattura n. ***** del 26 gennaio 2004, riguardante premi relativi al quarto bimestre del 2003, che la stessa fosse deducibile, sebbene imputati in un diverso esercizio di competenza; il motivo è fondato;
a tal proposito, vanno richiamati i principi di questa Suprema Corte già indicati in relazione all’esame del secondo motivo di ricorso principale, in particolare principio di questa Suprema Corte secondo cui “le regole sull’imputazione temporale dei componenti del reddito sono tassative e inderogabili, non essendo consentito al contribuente di ascrivere a proprio piacimento un componente negativo del reddito a un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come “esercizio di competenza”. I costi dei servizi, infatti, sono deducibili nell’esercizio in cui la prestazione viene ultimata, a prescindere dal momento in cui viene emessa la fattura ed effettuato il pagamento (Cass., civ. Sez. 5, Sentenza 6 maggio 2015, n. 9068; Cass. civ. Sez. 6, Ord., 1 febbraio n. 2548).
3. Conclusioni.
Per quanto sopra esposto, decidendo sui ricorsi riuniti, vanno accolti il primo e terzo motivo di ricorso principale, dichiarati infondati il secondo e il quarto e inammissibile il quinto; vanno altresì accolti i motivi di ricorso incidentale, con cassazione della sentenza e rinvio alla Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte:
riunisce al ricorso R.G. n. 17931/2011 il ricorso R.G. n. 17961, accoglie il primo e terzo motivo di ricorso principale, dichiara infondati il secondo e il quarto, inammissibile il quinto, accoglie i motivi di ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione quinta civile, il 2 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018