LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –
Dott. BILLI Stefania – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25800-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVCCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
A.B. & C. SPA, elettivamente domiciliato in ROMA LUNGOTEVERE DEI MELLINI 17, presso lo studio dell’avvocato ORESTE CANTILLO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUGLIELMO CANTILLO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 208/2010 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di SALERNO, depositata il 24/08/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/07/2018 dal Consigliere Dott. ROSARIA MARIA CASTORINA.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle Entrate emetteva, a seguito di una attività di verifica effettuata dalla Direzione Regionale per la Campania, due avvisi di accertamento con cui operava il recupero a tassazione per il periodo di imposta 2002 l’indebita deduzione di costi per operazioni non inerenti, non di competenza e inesistenti, nonché illegittima detrazione dell’Iva conseguente all’indeducibilità dei predetti costi per le operazioni ritenute inesistenti.
A.B. & c. s.p.a. impugnava gli avvisi davanti la CTP di Salerno che rigettava i ricorsi riuniti.
La CTR della Campania con sentenza n.268 del 2010 depositata il 24.8.2010 accoglieva l’appello della contribuente ritenendo che fosse provata la prestazione di una attività di collaborazione intercorsa tra la A.B. & c. s.p.a. e la B. Gestioni s.p.a..
l’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR della Campania affidando il gravame a due motivi.
A.B. & c. s.p.a. resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il motivo l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché l’insufficiente motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo del giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.
L’ufficio rileva come, avendo l’amministrazione finanziaria fornito attendibili riscontri indiziari sulla falsità del contratto di collaborazione intercorso tra la contribuente e la B. Gestioni s.p.a. (detta anche Bigest s.p.a.) e la conseguente inesistenza delle operazioni fatturate, fosse onere del contribuente dimostrare la fonte legittima delle detrazione operate;
La censura è fondata.
2. La giurisprudenza che si è andata consolidando sulla problematica relativa alla detraibilità dell’IVA e alla deducibilità dei costi nel caso di fatture per operazioni inesistenti è stata oggetto di numerose pronunce di questa Corte ed è stata ripercorsa da Cass. n. 24426 del 30/10/2013 e più recentemente da Cass. 9851/2018) La fattura, di regola, costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’IVA e alla deducibilità dei costi; spetta all’Ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto. La dimostrazione può consistere in presunzioni semplici, poiché la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 06/06/2012). Nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o deduzione dei costi, ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata; l’amministrazione, per disattendere la contabilità del contribuente, deve indicare qualche elemento, anche indiziario, che infici la contabilità e non può limitarsi a una generale ed apodittica non accettazione della documentazione del contribuente (Cass. n. 21953/2007; Cass. n. 1727/2007).
3. A quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate. Quest’ultima prova non potrà consistere, però, nella esibizione della fattura, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, Cass. n. 15228 del 03/12/2001; Cass. n. 12802 del 10/06/2011). E’ poi evidente che, in caso di accertata assenza dell’operazione, è escluso che possa configurarsi la buona fede del cessionario o committente (il quale sa bene se ha effettivamente ricevuto o meno una determinata fornitura di beni o prestazione di servizi) (Cass. 11873/18; Cass. n. 18118/2016).
4. Nella specie, dagli elementi contenuti nel ricorso si evince che all’epoca dei fatti la compagine sociale delle due società fosse sostanzialmente identica sia in relazione alla proprietà azionaria che agli organi amministrativi. La difesa erariale, negli avvisi, aveva sottolineato la non plausibilità del reale sostenimento degli elevati costi di consulenza, atteso che alle prestazioni avrebbero concorso i membri del consiglio di amministrazione della società fatturante, coincidenti con gli amministratori della società ricorrente. E’ incontestato che la società che aveva fornito la prestazione fosse inattiva da parecchio tempo e l’unica prestazione di servizi fatturata era stata quella concernente il contratto di collaborazione per cui è causa. Gli oneri finanziari della prestazione erano stati operati mediante trasferimento, dalla società committente alla società Bigest s.p.a. di crediti della prima alla seconda: trasferimento effettuato mediante girata di assegni ed effetti cambiari tra le due società.
L’unica risorsa che avrebbe reso le prestazioni di consulenza era costituita da un lavoratore subordinato inquadrato contrattualmente come lavoratore di concetto (4 livello) al quale era stato corrisposto un reddito da lavoro dipendente di appena Euro 29.514,00 nel corso dell’anno per l’esecuzione di prestazioni di consulenza che avrebbero concorso ad incrementare il fatturato da Euro 28.917.035,00 ad Euro 31.129.116,00 e a diminuire gli oneri finanziari da Euro 350.264,00 a Euro 338.799,00.
Inoltre la società committente non aveva esibito alcun tipo di documentazione (contabile, amministrativa, progettuale, di ricerca, di studio, di analisi, di mercato) relativa ai servizi di consulenza resi in relazione al contratto dedotto.
Tali circostanze, in una disamina ragionevole e basata sulla considerazione del mercato di riferimento, appaiono di per sè idonee a determinare il ribaltamento dell’onere della prova sul contribuente (Cass. ord. del 29.12.2009 n. 27546).
5. Ai fini della prova dell’esistenza di un’operazione, infatti, non è sufficiente produrre la relativa fattura in quanto l’emissione della fattura può prescindere dall’effettiva esistenza della prestazione;
perciò il contribuente, a fronte della contestazione dell’Amministrazione circa l’inesistenza di un’ operazione, ha l’onere di dimostrare la effettività del contratto e non può limitarsi a dar prova dell’emissione della fattura che, per la sua formazione unilaterale e la sua inerenza a un rapporto già formato tra le parti, ha natura di atto partecipativo e non di prova documentale. (Cfr. Cass. 27 ottobre 2010 n. 21949).
Tuttavia, osserva il Collegio, la CTR contraddittoriamente, dopo avere premesso che la società contribuente non aveva documentato che l’attività di consulenza era stata espletata,oltre che da un lavoratore dipendente, anche da un componente del consiglio di amministrazione ha affermato, sulla base della circostanza che l’unico lavoratore della società Bigest spa era stato assunto dalla società B., che comunque una determinata attività era stata svolta. La CTR ha inoltre affermato che laddove la società Bigest avesse voluto simulare una prestazione non fornita avrebbe predisposto e conservato atti idonei all’occorrenza a dimostrare l’effettiva attività svolta.
Il giudice tributario di appello ha chiaramente violato i principi di diritto sopra richiamati i sostanzialmente affermando che la contabilizzazione/pagamento delle fatture in questione doveva considerarsi adeguata ad inficiare le deduzioni relative all’inesistenza delle relative prestazioni addotte dall’agenzia fiscale. La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al motivo, con rinvio al giudice a quo per un nuovo esame.
P.Q.M.
La Corte accoglie il motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018