Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.26474 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12032/2013 proposto da:

IL MESSAGGERO S.P.A., P.I. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA S. CATERINA DA SIENA 46, presso lo studio dell’avvocato CARMINE PUNZI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI LAZZARA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

V.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SENECA 10, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO DANESE, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO FRANCESCHELLI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 559/2012 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 15/05/2012 r.g.n. 808/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/03/2018 dal Consigliere Dott. LAURA CURCIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato STEFANIA RINALDI per delega Avvocato GIOVANNI LAZZARA.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La corte d’Appello di Ancona ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva accolto parzialmente il ricorso di V.G. diretto ad ottenere la condanna del Il Messaggero spa al pagamento in suo favore della indennità sostitutiva del preavviso ai sensi dell’art. 27 CNLG, oltre al pagamento di altre differenze retributive ed al risarcimento del danno per omessa contribuzione previdenziale presso l’I.N.P.G.I. relativamente ad un rapporto di lavoro intercorso tra le parti dal 1.1.1989 sino al 9.6.1997, in cui la V. aveva lavorato in qualità di redattrice sebbene non iscritta all’albo dei giornalisti.

Va premesso che la Corte di Cassazione con sentenza n. 19231 del 7.9.2006, accogliendo un motivo del ricorso della società, aveva cassato una prima sentenza della Corte d’Appello di Ancona del 2003 che, su domanda della V., aveva condannato la società editrice del quotidiano non solo ad adeguare la retribuzione della giornalista, ma anche alla sua reintegrazione nel posto di lavoro. La Corte di legittimità aveva escluso la tutela reintegratoria, rinviando alla Corte d’appello di Roma per la determinazione delle somme spettanti ex art. 2126 c.c. in relazione all’esercizio di fatto dell’attività di giornalista redattrice, per il periodo prima indicato.

In data 19.9.2006 la società, sulla base della citata sentenza n. 19231/2006, aveva comunicato alla V. la risoluzione del rapporto di lavoro. La lavoratrice aveva quindi adito il Tribunale di Ancona chiedendo la condanna della datrice di lavoro al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.

La Corte territoriale ha ritenuto che anche l’indennità sostitutiva del preavviso costituisse comunque una voce retributiva riconducibile all’art. 2126 c.c., considerando infondato l’assunto della società secondo cui la risoluzione del rapporto sarebbe stata conseguenza necessaria della decisione della Corte di Cassazione del 19231 citata.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso la società Il messaggero spa affidato a due motivi, cui ha resistito la V. con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di gravame la società ricorrente deduce l’insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso decisivo, consistente nella cessazione del rapporto per impossibilità sopravvenuta della prestazione e l’errato riconoscimento dell’indennità di preavviso ai sensi dell’art. 27 CCNL e dell’art. 2126 c.c.. Secondo la ricorrente la corte di merito non avrebbe sufficientemente motivato e comunque lo avrebbe fatto in maniera contraddittoria, non considerando la circostanza che il rapporto tra le parti era stato formalizzato soltanto in esecuzione della sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila del 2003, la quale aveva riconosciuto la subordinazione, reintegrando la V. e che conseguentemente la cessazione del rapporto sarebbe derivata da una diversa causa estintiva, dichiarata dalla sentenza n. 19231 del 2006 della Cassazione, senza che si potesse fare applicazione dell’art. 2126 c.c., norma che aveva riguardato soltanto la regolamentazione del rapporto non formalizzato, svoltosi prima dell’ordine di reintegrazione giudiziale, poi posto nel nulla dalla sentenza della corte di legittimità n. 19231/2006, alla cui statuizione si era conformata la comunicazione del Il Messaggero di cessazione del rapporto.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1463,2118,2119 e 2126 c.c., dell’art. 27 CNLG e L. n. 69 del 1963, art. 45, per avere la corte territoriale confuso i due periodi temporali, quello relativo alla collaborazione non formalizzata tra il 1989 ed il 1997 e quello successivo alla riassunzione eseguita su disposto della sentenza della Corte d’Appello de L’Aquila del 2003; che pertanto l’indennità di preavviso richiesta dalla V., concernendo la cessazione del rapporto avvenuta nel 2006, non rientrerebbe nella disciplina di cui all’art. 2126 c.c., trattandosi nel secondo periodo di un rapporto che trae origine dal decisum di tale sentenza. Per la ricorrente si sarebbe invece in presenza di un’impossibilità sopravvenuta della prestazione ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c., così venendo meno l’obbligo di cui all’art. 27 CCNL. Non si sarebbe quindi configurato nel caso in esame un atto di recesso unilaterale del datore di lavoro, ma l’avverarsi di una condizione imposta dalla pronuncia della corte di legittimità, collegandosi la risoluzione al venir meno della causa del contratto e non al licenziamento.

I due motivi, sebbene siano stati articolati con distinte censure, una afferente ad un vizio motivazionale, l’altra ad una doglianza di violazione di legge, possono essere trattati congiuntamente perchè connessi, lamentando sostanzialmente la ricorrente l’errata applicazione al caso in esame dell’art. 2126 c.c., norma in base alla quale la sentenza impugnata ha riconosciuto il diritto della V. all’indennità sostitutiva del preavviso.

I motivi sono fondati.

Va premesso che la sentenza della corte di cassazione n. 19231/2006, nel cassare la sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila del 2003, ha rinviato ad altro giudice di appello la determinazione delle somme spettanti alla V. ex art. 2126 c.c., accertando l’esercizio di fatto dell’attività di giornalista redattrice, per il periodo di lavoro dal 1 gennaio 1989 al 9 giugno 1997. Deve conseguentemente ritenersi oramai passata in giudicato la statuizione dell’applicazione, sia pure in termini di riconoscimento ai sensi dell’art. 36 Cost., del trattamento economico di giornalista redattrice al rapporto di lavoro della V., con riferimento a tutte le differenze retributive spettanti in relazione al rapporto di lavoro cessato nel 1997.

Tra le differenze retributive spettanti, ai sensi dell’art. 2126 c.c., nell’ipotesi di rapporto di lavoro instaurato tra le parti in assenza dell’iscrizione all’albo dei giornalisti, questa corte ha ritenuto che rientri anche l’indennità sostitutiva del preavviso (cfr. Cass. n. 3052/1988, Cass. 2476/2006) fermo restando che dall’esecuzione del rapporto non può derivare l’automatica applicazione della disciplina relativa al contratto valido, neppure sul piano della retribuzione, che spetterà, quindi, al giudice determinare ai sensi dell’art. 2099 c.c. e art. 36 Cost. (Così Cass. n. 23472/2007).

Si è ritenuto infatti che l’attività lavorativa è produttiva di effetti per il tempo in cui il rapporto ha avuto esecuzione. Fra gli effetti fatti salvi dalla citata norma, nell’ipotesi di dedotta illegittimità della risoluzione del rapporto di lavoro nullo, non rientra il diritto di continuare a svolgere la prestazione, nè il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro data la più assoluta libertà del datore di lavoro di rifiutare la prestazione medesima (Così Cass. n. 16383/2008, Cass. n. 27608/2006, Cass. n. 19231/2006, Cass. n. 4770/6.3.2006) Cass. n. 7461/2002).

Tuttavia la fattispecie oggetto del presente giudizio ha profili distinti da quella esaminata dalla sentenza di questa Corte n. 19231/2006, perchè il rapporto costituito dalla società è sorto soltanto in forza di un titolo giudiziale – l’ordine di reintegrazione disposto dalla sentenza della Corte di Appello de L’Aquila depositata nel giugno del 2003 – poi venuto meno a seguito della cassazione di tale sentenza.

Ne consegue che la comunicazione di risoluzione del rapporto, sorto in esecuzione della sentenza cassata, non può ritenersi atto di recesso unilaterale/licenziamento, posto in essere per volontà della società odierna ricorrente nell’ambito di un rapporto di lavoro di fatto, nullo per violazione di norma imperativa e come tale assoggettato alla disciplina dell’art. 2126 c.c., con diritto all’ erogazione anche dell’indennità sostitutiva del preavviso, ma atto che consegue, ai sensi dell’art. 336 c.p.c., comma 2, quale effetto naturale della cassazione della sentenza prima citata, in esecuzione della quale la società aveva ricostituito il rapporto di lavoro con la V..

Non si è invero in presenza nel caso in esame di una impossibilità sopravvenuta di svolgimento della prestazione per “factum principis” o per altra ragione, comunque non imputabile al lavoratore, ma di una causa di automatica risoluzione di un rapporto attivato solo in esecuzione dell’ordine di reintegrazione venuto meno, risoluzione che pertanto va valutata alla stregua delle norme particolari che regolamentano l’estinzione di tale rapporto, non potendosi collegare il fatto impeditivo della prestazione alla nozione rispettivamente di giusta causa ovvero di giustificato motivo (oggettivo) di licenziamento secondo la disciplina generale posta dalla L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3.

Ed infatti non ripetibili, nella ipotesi in esame, rimangono solo quegli adempimenti eseguiti in base alla sentenza d’appello poi annullata, comunque caratterizzati dall’elemento di corrispettività prestazione lavorativa e retribuzione, caratteristica che non appartiene all’istituto dell’indennità sostitutiva del preavviso, elemento retributivo che questa Corte ha ritenuto rientrare nell’ambito del trattamento economico spettante nell’ipotesi di rapporto di fatto disciplinato dall’art. 2126 c.p.c., comma 2, come prima ricordato.

Vanno quindi accolti, nel limiti di cui in motivazione, i due motivi di ricorso, con cassazione della sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, dovendosi respingere la domanda della V. avente ad oggetto in pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso.

Le spese dell’intero processo possono compensarsi attesa la novità della questione in assenza di precedenti specifici.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito, respinge l’originaria domanda di V.G.. Compensa le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, il 7 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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