Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.26483 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5872-2013 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

*****, in persona del suo Presidente legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A.

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. *****, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CESARE BECCARIA 29 presso l’Avvocatura Centrale 2018 dell’Istituto, rappresentato difeso dagli avvocati ANTONINO SGROI, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, LELIO MARITATO giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BRECOS S.R.L., EQUITALIA NORD S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 71/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 21/02/2012 R.G.N. 382/2011.

RITENUTO

CHE:

la Corte d’Appello di Brescia con sentenza n. 71/2012 rigettava l’appello dell’Inps avverso la sentenza che accoglieva l’opposizione proposta da Brecos Srl avverso la cartella esattoriale relativa al recupero di somme per sgravi contributivi indebitamente fruiti per lavoratori assunti dalla mobilità;

a fondamento della pronuncia la Corte, disattendendo l’appello dell’Inps, osservava che Brecos srl derivava dalla trasformazione della società Aber, costituita già nel 1997 con un diverso assetto proprietario; dall’esame dei documenti risultava innanzitutto smentita la circostanza che Medi avrebbe venduto tutte le proprie attrezzature alla Comaver alla quale aveva venduto invece solo una parte di esse; altra circostanza che non aveva trovato pieno riscontro era il subentro di Brecos srl in tutti gli appalti di Medil, poichè risultava che quest’ultima avesse continuato la propria attività nell’esecuzione degli appalti in corso, mentre Brecos era subentrata solo in due modesti appalti per i quali aveva fatturato i propri lavori a Medil, sostanzialmente integrando un subappalto; altro elemento che smentiva la pretestuosità della riassunzione dalle liste di mobilità si desumeva dalla circostanza che non tutti i dipendenti licenziati da Medil erano stati riassunti da Brecos ma soltanto 9, mentre altri 7 dipendenti erano stati assunti senza che provenissero dalla prima, i cui altri dipendenti rimasero disoccupati o trovarono altrove lavoro; non risultava inoltre un collegamento o un controllo fra le stesse imprese e mancavano assetti proprietari sostanzialmente coincidenti; l’unico elemento rimasto provato era il rapporto di coniugio fra il B. e la V. che non appariva sufficiente a suffragare la pretesa dell’Istituto; inoltre, si rilevava che, stante il perdurare della Medil come realtà aziendale autonoma, doveva essere semmai provata la cessione di ramo di azienda ai sensi dell’art. 2112 c.c. dovendo intendersi tale ogni unità economica organizzata in maniera stabile la quale in occasione del trasferimento conservi la sua identità; il che presuppone una preesistente entità produttiva autonoma e funzionalmente esistente e non una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento; contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Inps con un motivo, mentre Brecos srl è rimasta intimata.

CONSIDERATO

CHE:

con l’unico motivo di ricorso l’INPS deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 8, commi 1-4, e degli artt. 2112 e 2697 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3); nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5); ad avviso dell’Istituto era pacifico che Brecos srl esercitava la medesima azienda della Medil srl e che perciò non vi era la prova, il cui onere gravava sul datore di lavoro, che l’impresa, la quale aveva goduto dei benefici contributivi, dovesse considerarsi nuova rispetto alla precedente; cioè che i due datori di lavoro non svolgessero attività analoga e, comunque, che non vi fosse alcun collegamento tra gli assetti proprietari dell’impresa che assumeva lavoratori e di quella che li aveva posti in mobilità; nè che non vi fosse stata una totale cessione degli strumenti e degli attrezzi dalla prima alla seconda e che quest’ultima non fosse subentrata negli appalti della prima; mentre era pacifico che vi fosse stata una successione nella gestione della stessa azienda;

il ricorso è inammissibile oltre che infondato, anzitutto perchè, sovrappone profili di fatto a doglianze relative all’applicazione di norme di diritto, senza che peraltro risulti chiaramente evincibile, rispetto alla motivazione della sentenza, il tipo di rilievo formulato;

in secondo luogo perchè non sono state riportate e documentate nel ricorso le circostanze ritenute pacifiche, in violazione al principio di autosufficienza;

le stesse censure svolte si risolvono inoltre nella richiesta di un complessivo riesame del giudizio, mentre il giudice di secondo grado ha esercitato il proprio potere decisorio in modo congruo e nel rispetto delle norme sopraindicate, pervenendo ad un opposto accertamento rispetto a quello preteso dall’Istituto, avendo la Corte territoriale, sulla base di una analitica e logica disamina delle prove, escluso sia la cessione di azienda o, più correttamente, di ramo d’azienda – essendo rimasta in vita l’asserita cedente -, sia la coincidenza degli assetti proprietari e del collegamento tra le due imprese escludendo pure che allo scopo potesse rilevare un mero rapporto di coniugio; rispetto a tali rationes decidendi, non appaiono adeguate e specifiche le censure fatte valere con il ricorso le quali sono invece orientate a sottolineare la presenza di elementi già diversamente valutati o comunque di carattere non decisivo, con una serie di argomentazioni che affrontano profili di merito, in violazione dello stesso art. 360 c.p.c., n. 5 applicabile ratione temporis; è consolidato in proposito l’orientamento di questa Corte, secondo cui la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all’ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie;

pertanto, la sentenza della Corte territoriale si sottrae alle censure fatte valere con il ricorso, il quale deve essere quindi rigettato; nulla deve essere disposto per le spese non avendo l’intimato svolto attività difensiva;

deve darsi atto inoltre che sussistono le condizioni richieste dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 24 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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