Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.26487 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1759-2014 proposto da:

D.A., C.F. *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI VALERI 1, presso lo studio dell’avvocato MAURO GERMANI, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CUNFIDA 20, presso lo studio dell’avvocato MONICA BATTAGLIA, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2042/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 23/07/2013, R.G.N. 10770/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/05/2018 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MAURO GERMANI;

udito l’Avvocato MONICA BATTAGLIA.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 2042 depositata il 23.7.13, ha respinto l’impugnazione proposta dal datore di lavoro sig. D. confermando la sentenza di primo grado che, qualificato come subordinato, non riconducibile all’apprendistato, il rapporto di lavoro intercorso tra il predetto e il sig. G. dal 22.6.2007 al 19.4.2008, aveva condannato parte datoriale al pagamento delle differenze retributive, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato con lettera del 16.4.2008 applicando la tutela c.d. obbligatoria e respinto la domanda riconvenzionale di risarcimento danni proposta dal parte datoriale.

2. La Corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto corretta l’individuazione, ad opera del Tribunale, della disciplina in materia di apprendistato applicabile ratione temporis alla fattispecie oggetto di causa, cioè il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 49, anzichè la L. n. 196 del 1997, art. 16, invocata dal D., e mancanti i requisiti di forma e sostanza normativamente richiesti.

3. Ha ritenuto che la domanda volta alla declaratoria di illegittimità, inefficacia o nullità del licenziamento, proposta dal lavoratore col ricorso introduttivo di primo grado, fosse riferibile anche al secondo licenziamento, intimato con lettera del 16.4.2008, pervenuta al destinatario il 19.4.2008.

4. Ha qualificato come di natura disciplinare il secondo licenziamento e dichiarato l’illegittimità dello stesso perchè intimato senza previa contestazione dell’addebito, in violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7.

5. Ha escluso che la contestazione dell’addebito posta a base del secondo licenziamento potesse rinvenirsi nelle lettere datate 8, 13 e 18 febbraio 2008, inviate dopo che il rapporto di lavoro era stato risolto per effetto della lettera del 18.1.2008, relativa al primo licenziamento, e prima che fosse ripristinato; difatti, la revoca del primo recesso, accettata dal lavoratore, risaliva al 10.3.2008.

6. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il sig. D., affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso, illustrato da successiva memoria, il sig. G..

7. Per quest’ultimo si è costituito l’avv. Monica Battaglia, quale nuovo difensore, che ha depositato procura speciale autenticata per atto notarile.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo di ricorso il datore di lavoro ha dedotto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione di legge, errata interpretazione di norme di diritto con particolare riguardo al c.c.n.l. di riferimento, inesatta qualificazione del rapporto di lavoro.

2. Ha ribadito come il rapporto di apprendistato del sig. G., iniziato il 22.6.2007, dovesse ritenersi disciplinato dalla L. n. 196 del 1997, art. 16 e dal D.M. 7 ottobre 1999, n. 359 e come avessero errato i giudici di merito nell’applicare il D.Lgs. n. 276 del 2003.

3. Col secondo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per carenza e contraddittorietà della motivazione in ordine alla presunta illegittimità del licenziamento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4. Ha sottolineato come col ricorso introduttivo di primo grado fosse stato impugnato solo il primo licenziamento, intimato il 18.1.2008, e non il secondo di cui alla lettera del 16.4.2008.

5. Ha definito contraddittoria la sentenza d’appello per avere considerato ingiustificata l’assenza del lavoratore dal 26.3.2008 (data in cui il predetto aveva ricevuto la lettera che lo invitata a riprendere servizio, dopo l’accordo di revoca del primo licenziamento) e, tuttavia, riconosciuto il diritto del medesimo alle retribuzioni dalla data del primo licenziamento fino al 26.3.2008.

6. Ha affermato di avere contestato al dipendente l’assenza ingiustificata, mediante più lettere di richiamo, prima di procedere al secondo licenziamento.

7. Deve preliminarmente respingersi l’eccezione sollevata dal contro ricorrente, di inammissibilità del ricorso per omessa formulazione del quesito di diritto.

8. L’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, trovava applicazione ai ricorsi proposti avverso sentenze e provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2.3.2006, data di entrata in vigore del decreto legislativo, e fino al 4.7.2009, data dalla quale operava l’abrogazione disposta dalla L. n. 69 del 1009, art. 47, comma 1, lett. d), (cfr. Cass. n. 24597 del 2014). La disposizione suddetta non è applicabile, ratione termporis, alla fattispecie in esame in cui la sentenza d’appello è stata depositata il 23.7.2013.

9. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

10. A sostegno della tesi di applicabilità, alla fattispecie oggetto di causa, della L. n. 196 del 1997, la parte ricorrente ha richiamato il contratto di assunzione del sig. G. datato 22.6.2007, il c.c.n.l. di riferimento, il D.M. 7 ottobre 1999, n. 359 la Delib. Giunta Regionale Lazio n. 969 del 2007 senza, tuttavia, trascrivere, almeno nelle parti essenziali, i predetti documenti e provvedimenti amministrativi, e senza neanche indicare la sede processuale di collocazione dei medesimi, in contrasto con la previsione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, (sulla natura di atto amministrativo dei decreti ministeriali, a cui non è applicabile il principio iura novit curia, cfr. Cass. n. 15065 del 2014; Cass. n. 9941 del 2009).

11. Il secondo motivo di ricorso è formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Al riguardo, occorre precisare come trovi applicazione nel ricorso in esame (proposto avverso la sentenza d’appello depositata in epoca successiva all’11.9.2012) il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risultante dalle modifiche apportate col D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, in base alle quali rileva l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

12. Le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014) hanno precisato che l’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato a seguito dei recenti interventi, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”; con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

13. Il motivo di ricorso, in quanto denuncia la contraddittorietà della motivazione, senza enucleare l’omesso esame di un fatto storico decisivo, non si conforma al modello legale del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e non può pertanto trovare accoglimento.

14. Il motivo è inammissibile anche in quanto afferma l’esistenza di una preventiva contestazione al lavoratore dell’assenza ingiustificata, tramite più lettere di richiamo, senza tuttavia la trascrizione di tali lettere o l’esatta indicazione della collocazione delle stesse, ai fini del reperimento tra gli atti processuali.

15. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo.

16. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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