Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.26506 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2277-2014 proposto da:

I.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato POTITO MARIA PASQUARELLA;

– ricorrente e c/ricorrente al ricorso incidentale –

contro

M.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 9, presso lo studio dell’avvocato EMILIANO AMATO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato BERNARDO ALTIERI;

– c/ricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 220/2013 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 24/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/03/2018 dal Consigliere RAFFAELE SABATO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TRONCONE FULVIO, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine per il rigetto del ricorso principale, per l’inammissibilità del primo motivo, per l’infondatezza del secondo motivo, per l’assorbimento del resto nel ricorso incidentale;

udito l’Avvocato EMILIANO AMATO, difensore del controricorrente e ricorrente incidentale, che si riporta agli scritti.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato in data 09/07/1993 l’avv. M.S. ha convenuto in giudizio I.A. chiedendo dichiararsi la risoluzione del contratto preliminare di compravendita concluso con la stessa in data 13/11/1992 avente a oggetto tre unità immobiliari site in ***** e condannarsi la convenuta al pagamento del doppio della somma di Lire 200.000.000 precedentemente versata dall’attore a titolo di caparra confirmatoria. Ha lamentato l’inadempimento della promittente venditrice, consistente nel mancato rilascio del certificato di abitabilità per gli immobili predetti.

2. La signora I. si è costituita in giudizio, contestando quanto ex adverso dedotto e al contempo agendo in via riconvenzionale per la risoluzione del contratto per inadempimento del promittente acquirente. Nelle more del giudizio si è costituito M.D., nella qualità di erede di M.S., nel frattempo deceduto.

3. Il tribunale di Salerno con sentenza depositata il 04/09/2009 ha accolto la domanda attrice e rigettato la domanda riconvenzionale, dichiarando risolto il contratto preliminare per intervenuto recesso dell’attore ai sensi dell’art. 1385 c.c. e condannando la parte convenuta al pagamento della somma complessiva di Euro 206.582,75 per duplo della caparra confirmatoria, oltre accessori.

4. Avverso la predetta decisione I.A. ha proposto appello, deducendo, in primo luogo, che non poteva riconoscersi il recesso ex art. 1385 c.c., non avendo la parte attrice mai esercitato tale facoltà; inoltre, previo accertamento della causa del mandato rilascio del certificato di abitabilità, ha insistito per l’accoglimento della riconvenzionale proposta in primo grado, per aver l’avv. M.S. rifiutato illegittimamente l’acquisto degli immobili. Si è costituito in giudizio M.D. chiedendo il rigetto del gravame.

5. Con sentenza depositata in data 24/10/2013 la corte d’appello di Salerno ha parzialmente accolto l’impugnazione qualificando l’azione dell’originaria attrice come domanda di accertamento della risoluzione per inadempimento, e non di dichiarazione di legittimità del recesso, rigettando la domanda di risoluzione medesima per non essere grave la mancata consegna del certificato di abitabilità poi rilasciato e, non sussistendo alcuna prova ai fini dell’accoglimento della riconvenzionale, ha ritenuto il contratto risolto per insussistenza di volontà di entrambe le parti di darvi esecuzione e ha condannato la parte appellante alla restituzione di Euro 103.291,37 precedentemente versati a titolo di caparra confirmatoria.

6. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso I.A. sulla base di un motivo. M.D. ha resistito con controricorso contenente ricorso incidentale sulla base di un motivo, cui ha replicato la ricorrente con ulteriore controricorso. M.D. ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va preliminarmente affermata l’ammissibilità del ricorso, in relazione alle deduzioni di vizi afferenti il procedimento di notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994 (per mancato utilizzo della speciale busta di cui all’art. 2, per mancata apposizione di sottoscrizione sulla busta, per l’erronea collocazione del numero di registro cronologico sulla stessa busta e per l’omissione della menzione dello stesso numero e di quello della raccomandata nella relata) svolte dal controricorrente. Invero, diversamente da quanto ritenuto dallo stesso controricorrente, la costituzione dello stesso ha sanato i dedotti vizi, ove sussistenti, trattandosi eventualmente di vizi generatori di nullità e non di inesistenza della notifica (cfr. in generale Cass., sez. U, 20 luglio 2016, n. 14916).

1.1. Con un unico motivo di ricorso principale si lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1455 e 1460 cod. civ., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per aver la corte territoriale omesso di considerare il comportamento del promittente acquirente che, in mala fede, si era rifiutato di concludere il contratto senza alcuna giustificazione, mentre la ricorrente aveva solo subito la scelta risolutoria, essendo pronta ad adempiere; da tale omissione deriverebbe l’inapplicabilità del principio di diritto posto dalla corte d’appello salernitana alla base della sua decisione, in relazione al quale il giudice, adito da contrapposte domande di risoluzione per inadempimento infondate, può comunque dichiarare la risoluzione del contratto, atteso che le opposte manifestazioni di volontà, pur estranee ad un mutuo consenso negoziale risolutorio, in considerazione delle premesse contrastanti, sono tuttavia dirette all’identico scopo dello scioglimento del rapporto negoziale.

1.2. Il motivo è inammissibile.

1.3. Va premesso che la corte d’appello di Salerno, avendo ritenuto insussistenti gli inadempimenti che le -parti si sono reciprocamente addebitati, ha fatto applicazione del principio di diritto (anche più recentemente ribadito da questa corte – v. ad es. Cass n. 767 del 19/01/2016, n. 26907 del 19/12/2014 e n. 23490 del 05/11/2009, oltre altre) per cui, quando i contraenti richiedano reciprocamente la risoluzione del contratto, ciascuno attribuendo all’altro la condotta inadempiente, il giudice deve comunque esaminare – senza perciò incorrere in ultrapetizione – se il contratto si sia risolto non già per inadempimento, ma per impossibilità sopravvenuta di esecuzione derivante dalle scelte risolutorie di entrambe le parti (ex art. 1453 c.c., comma 2), condannando il promittente venditore alla restituzione della sola caparra (la cui ritenzione è divenuta sine titulo) e non del doppio di essa.

1.4. Ciò posto, deve rilevarsi che, attraverso l’unica doglianza del ricorso principale, la ricorrente in. effetti deduce un’erronea applicazione di detto principio, in quanto non sussisterebbe il presupposto della duplicità delle manifestazioni di volontà risolutorie, avendo essa solo subito la volontà altrui, e avendo la corte d’appello omesso di considerare il comportamento del promittente acquirente che, in mala fede, si sarebbe rifiutato di concludere il contratto senza alcuna giustificazione.

1.5. Tale doglianza, anzitutto, si pone come incongruente rispetto al decisum della corte territoriale che, per quanto riepilogato innanzi ha rettamente constatato, dopo aver valutato le contrapposte domande e averle ritenute infondate, l’impossibilità sopravvenuta di esecuzione derivante dalle scelte risolutorie di entrambe le parti. La parte ricorrente avrebbe dovuto dedurre e dimostrare (peraltro, contro l’evidenza) di non avere, in via riconvenzionale, agito per la risoluzione contrattuale in risposta all’analoga azione in via principale della controparte. La parte ricorrente, invece, sostituendo al presupposto per l’applicazione del principio di diritto predetto, costituito dal sussistere di contrapposte domande di risoluzione per inadempimento valutate infondate, un diverso presupposto (ancorato al doversi valutare chi avesse agito e chi avesse “subito” l’azione giudiziaria altrui), non affermato nella sentenza impugnata, e comunque insussistente nell’ambito dell’applicazione dell’art. 1453 c.c. e ss., si è sostanzialmente arbitrata di operare una lettura della decisione della corte salernitana non congruente con l’effettivo decisum.

1.6. L’inammissibilità, già sussistente per quanto dedotto quanto alle censure per violazione di legge, sussiste anche quanto alla censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Invero, il vizio di omesso esame previsto da tale disposizione – nel nuovo testo riformato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 – presuppone la totale pretermissione nell’ambito della motivazione di uno specifico fatto storico, principale o secondario, oppure la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente”, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilèvanza della semplice “insufficienza” o di “contraddittorietà” della motivazione. Nel caso di specie, invece, la parte ricorrente lamenta, quale “omesso esame”, non già la mancata considerazione di fatti storici nel senso anzidetto, ma l’errata valutazione degli stessi da parte del giudice. Tale censura è quindi volta a reintrodurre una revisione di un accertamento in fatto, già svolto dalla corte di merito, precluso in sede di legittimità.

2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale si lamenta la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1385 e 1455 c.c. nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per aver la corte locale:

– erroneamente qualificato come domanda di risoluzione per inadempimento l’atto di citazione originario, senza tenere conto della diffida ad adempiere ivi contenuta che lo rendeva idoneo ad essere qualificato come domanda di accertamento della legittimità del recesso; erroneamente dunque era stato ritenuto precluso il diritto di parte attrice di ottenere il pagamento del doppio di quanto versato a titolo di caparra confirmatoria;

– erroneamente ritenuto non grave l’inadempimento della controparte quanto all’inesistenza originaria dell’abitabilità e applicato il principio di diritto in tema di contrapposte volontà di risoluzione, a fronte dell’interesse dell’avv. M. alla conclusione della vendita, anche in questo caso precludendo il pagamento del doppio della caparra.

2.1. Il motivo è inammissibile.

2.2. Va premesso che la corte salernitana, avendo rettamente richiamato, tra l’altro, l’indirizzo delle sezioni unite di questa corte (14 gennaio 2009, n. 553) secondo il quale vi è sostanziale incompatibilità strutturale e funzionale tra l’esercizio del diritto di recesso e dell’azione di risoluzione per inadempimento, ha – ‘con apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, basato sul tenore letterale e sul significato sostanziale della citazione – rilevato l’assenza di una qualsiasi volontà di parte attrice di esercitare il. diritto di recesso, qualificando – in base all’esame degli atti – la domanda come di risoluzione per inadempimento. Ha poi escluso l’inadempimento giuridicamente rilevante di entrambe le parti, in particolare – per quanto concerne la posizione della signora I. avendo escluso la gravità dell’inadempimento della I., consistente nel mancato rilascio del certificato di abitabilità, precisando che secondo indirizzo di questa corte la mancata consegna al compratore del certificato in questione non determina, in via automatica, la risoluzione del contratto per inadempimento del venditore, dovendo essere verificata in concreto l’importanza e la gravità dell’omissione in relazione al godimento e alla commerciabilità del bene, non potendo peraltro negarsi rilievo al rilascio della certificazione predetta – come avvenuto nel caso di specie in data 07.07.2000 – nel corso del giudizio relativo all’azione di risoluzione del contratto promosso dal compratore (cfr. ad es. specificamente Cass. n. 3851 del 15/02/2008 e n. 6548 del 18/03/2010; cfr. per l’evoluzione giurisprudenziale sul tema, tra le molte, Cass. n. 9253 del 20/04/2006, n. 16216 del 16/06/2008, n. 24729 del 07/10/2008, n. 1701 del 23/01/2009, n. 23157 del 11/10/2013, n. 2438 dell’8/02/2016 e n. 30950 del 27/12/2017).

2.3. In base a ciò, non risultando in alcun modo chiarito in qual modo le valutazioni della corte d’appello sarebbero viziate nell’ambito dei parametri invocati ex art. 360 c.p.c., comma 1, deve ritenersi che attraverso le censure per violazione di norme di diritto, nonchè attraverso l’ulteriore doglianza per un presunto omesso esame di fatti controversi, il ricorrente incidentale tenda, in effetti, a sollecitare da parte del giudice di legittimità un riesame nel merito della qualificazione della originaria domanda attrice (come detto informata alla considerazione formale e sostanziale dell’atto in cui era contenuta) e della sussistenza e gravita degli ipotizzati inadempimenti, ciò da cui discende la predetta inammissibilità del ricorso incidentale. Tanto esenta questa corte da ogni considerazione in ordine a evoluzioni in corso nell’ambito del rilievo dato dalla giurisprudenza alla mancata consegna, sin dalla stipula del certificato di agibilità o abitabilità.

3. In definitiva i ricorsi principale e incidentale vanno rigettati, compensandosi le spese per soccombenza reciproca. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti sia principale sia incidentale dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

P.Q.M.

La corte rigetta i ricorsi principale e incidentale e compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti sia principale sia incidentale dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 27 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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