Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.26507 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDACIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27185/2014 R.G. proposto da:

La Cuadra de Arrogo s.n.c. di F.A. e c., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. Amedeo Rizza, con domicilio eletto in Roma, Via Tommaso D’Aquino, n. 116, presso lo studio dell’avv. Sandro D’Aliosi;

– ricorrente –

contro

B.G., rappresentato e difeso dall’Avv. Federica Pavone, con domicilio eletto in Roma, Viale Glorioso, presso lo studio dell’avv. Andrea Bussa;

– ricorrente incidentale –

e M.G. e M.P., rappresentati e difesi dall’avv. Maria Elena Galbiati e dall’avv. Cristina della Valle, con domicilio presso quest’ultima, eletto in Roma, alla Via Merulana n. 234;

– contoricorrrenti –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 2040/20143, depositata il 3.6.2014;

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 28.3.2018 dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

FATTI DI CAUSA

M.P. e M.G. hanno adito il tribunale di Como, proponendo domanda di accertamento del confine tra il loro terreno (di cui al mapp. *****) e la proprietà di B.G. (mapp. *****), chiedendo di ordinare al convenuto il rilascio dell’area abusivamente occupata e la rimozione delle opere edificate a distanza illegale dal confine.

In corso di causa B.G. ha venduto gli immobili controversi alla società ricorrente.

Il Tribunale di Como ha determinato il confine tra i fondi, ordinando l’arretramento della scuderia con box e marciapiedi in cemento, posta a distanza inferiore a quella legale.

Proposto appello principale dalla società e appello incidentale dal B., la Corte di merito ha respinto entrambe le impugnazioni, confermando la decisione di primo grado, ma la pronuncia è stata cassata da questa Corte con sentenza n. 9548/2011, che ha rimesso al giudice del rinvio l’accertamento dell’epoca di realizzazione delle costruzioni.

Il processo è stato riassunto dinanzi alla Corte distrettuale di Milano che, con la sentenza impugnata, ha rigettato l’appello e ha condannato gli appellanti al pagamento delle spese processuali, ritenendo che le costruzioni edificate a distanza illegale fossero state realizzate in epoca successiva al 1984, essendo tenute al rispetto della distanza inderogabile di mt. 10 dal confine. Ha dichiarato assorbite le eccezioni di prescrizione e di usucapione sollevate dagli appellanti.

Per la cassazione di questa sentenza La Cuadra de Arroyo s.n.c. ha proposto ricorso in tre motivi. B.G. ha proposto ricorso incidentale in tre motivi, mentre M.G. e M.P. hanno depositato controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso principale censura la violazione degli artt. 115 e 166 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, artt. 2702 e 2699 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo di causa ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la Corte territoriale desunto la datazione delle costruzioni dai documenti prodotti dagli stessi appellanti e segnatamente dalle richieste delle licenze in sanatoria n. ***** del 16.12.1970 e n. ***** del 9.8.1971, da cui era però dato evincere che i box destinati al ricovero degli animali esistevano da epoca anteriore all’entrata in vigore del programma di fabbricazione del 24.7.1973, non essendo sottoposti all’obbligo di rispettare la distanza imposta dallo strumento urbanistico locale.

La sentenza avrebbe omesso di prendere in esame i prospetti planovolumetrici indicati nell’elaborato allegato alla prima richiesta di concessione edilizia nel 1970 e nel prospetto di variante del 1971, che comprovavano l’esistenza delle costruzioni da epoca anteriore all’adozione del suddetto strumento urbanistico locale.

Il motivo è infondato.

La Corte distrettuale, dopo aver premesso che le costruzioni oggetto di causa insistevano sul mappale *****, ha esaminato entrambe le domande di sanatoria presentate nel 1971 (aventi i nn. *****) da G.A., originario proprietario degli immobili, ed ha rilevato che dalle schede tecniche allegate alle istanze di concessione si evinceva la presentazione del progetto per una casa di abitazione mentre nelle planimetrie erano raffigurati, con riferimento al suddetto mappale, un manufatto di mq. 317, oltre a due costruzioni in aggiunta a quella preesistente sul mappale *****. La sentenza ha precisato che in entrambe le richieste di licenza edilizia si faceva riferimento ad una nuova costruzione prefabbricata ad uso di abitazione popolare e ad una variante di casa destinata a civile abitazione, costituita da servizi, muri perimetrali in blocchi svizzeri, intonaco interno ed esterno, pavimentazione in gres e serramenti in abete.

Ha poi osservato che nel rogito del 18.4.1984, con cui l’immobiliare C.M. aveva acquistato da V.C. e V.L. anche il mappale *****, era stato specificato che su detta porzione insistevano costruzioni parzialmente precarie in legno destinate a deposito di materiali e al ricovero di animali; che, in data *****, la società acquirente aveva presentato una domanda di concessione in sanatoria con le allegate planimetrie e che l’atto del *****, con cui B.G. aveva acquistato la part. *****, faceva espressa menzione dei box per cavalli, oggetto di lite.

Ha quindi ritenuto che l’esistenza di dette opere in muratura fosse documentata solo da epoca successiva al 1984.

A fronte di tali argomentazioni il ricorso è volto a confutare la valutazione delle risultanze di causa da parte del giudice del rinvio e a censurare il modo in cui detto giudice ha stabilito l’epoca di datazione delle costruzioni abusive, sollevando contestazioni che non possono sindacarsi sotto i profili dedotti in ricorso.

Il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, qui applicabile in relazione alla data di deposito della sentenza impugnata (3.6.2014). Non si profila – inoltre – la dedotta violazione di legge poichè l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si riferisce invece al tipico “error in iudicando” e, nel menzionare la violazione o falsa applicazione di legge, sintetizza i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto, cioè quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso esaminato e – il secondo – l’applicazione della norma alla specifica fattispecie concreta, una volta correttamente individuata ed interpretata.

Per contro, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e invade la tipica valutazione del giudice di merito.

Infine, la sentenza ha valutato gli allegati tecnici alle richieste di concessione e ciò di per sè esclude la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poichè la norma consente di censurare l’omesso esame di elementi istruttori solo se il fatto storico emergente da tali produzioni non sia stato preso in esame dal giudice di merito, che, peraltro, non è tenuto a dar conto di tutte le risultanze processuali (Cass. s. u. 7.4.201, n. 8053).

2. Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e degli artt. 2702 e 2699 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte omesso di considerare i rilievi plano-volumetrici da cui risultava la preesistenza delle scuderie sulla part. *****, non considerando che la realizzazione di siffatte tipologie di manufatti non richiedeva – all’epoca – alcuna autorizzazione e che il Comune di Lurago Mignone non aveva avviato alcun procedimento sanzionatorio con riferimento alla realizzazione delle scuderie. Il terzo motivo censura la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e dell’art. 2702 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il giudice del rinvio dato credito alte risultanze del rogito del 18.4.1984, giungendo alla conclusione che preesistevano in loco costruzioni in legno precarie, non avvedendosi che dette costruzioni comportavano una stabilità dell’insediamento con impegno durevole del suolo; che, parimenti, la sentenza avrebbe dato rilievo alla richiesta di concessione in sanatoria del *****, la quale, però, non riguardava le scuderie ma talune variazioni e modifiche resesi necessarie a seguito del crollo e delle demolizioni ordinate dal Magistrato del Po.

I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Le questioni sollevate in ricorso non sono scrutinabili per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., poichè, in aggiunta a quanto già osservato nell’esame del primo motivo, le norme sono invocabili allorchè il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, prove legali o considerato come facenti piena prova, recependoli senza vaglio critico, elementi soggetti a valutazione.

Nessuna censura – da tale prospettiva – può muoversi per il fatto che il giudice abbia valutato le prove, attribuendo maggior forza di convincimento a quelle ritenute idonee a sostenere la decisione (Cass. 27.12.2016, n. 27000; Cass. Cass. n. 26965 del 2007; Cass. n. 20119 del 2009; Cass. n. 13960 del 2014).

Analogamente, il vizio di violazione di legge non attiene alla valutazione delle risultanze di causa, poichè, come detto, tale profilo è estraneo all’esatta interpretazione delle norme e invade la tipica valutazione del giudice di merito.

3. Il primo motivo del ricorso incidentale censura la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3, comma 1, lett. e.5) ed e.7), ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, asserendo che la Corte distrettuale, pur rilevando che la richiesta di concessione edilizia dei 1971 contemplava sulla part. ***** un manufatto di mq. 317, ha escluso che si trattasse delle costruzioni destinate al ricovero degli animali, dando indebito rilievo ai materiali di cui era composta l’opera e al suo carattere precario, senza considerare che la nozione di costruzione attiene ai profili funzionali e strutturali del manufatto, che può essere sottoposto al regime delle distanze solo se determina modifiche non transitorie del territorio. La sentenza, non prendendo in considerazione i rilievi planovolumetrici allegati alla prima concessione, non avrebbe rilevato che essi menzionavano anche taluni impianti produttivi, tra cui erano inclusi i box scuderia.

Il secondo motivo del ricorso incidentale censura la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2699 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n 3, per aver la Corte conferito valore probatorio privilegiato al contenuto del rogito del 1984, ritenendo provato che, prima di tale data, esistessero solo costruzioni precarie, mentre le dichiarazioni contenute nell’atto non potevano utilizzarsi per stabilire la consistenza dei manufatti.

I due motivi, da esaminare congiuntamente, vertendo su questioni connesse, sono infondati.

La sentenza impugnata ha negato che la prima concessione menzionasse anche i box – scuderia, avendo chiaramente asserito che in quella prima concessione erano menzionate, rispettivamente sulle partt. *****, una nuova costruzione prefabbricata ad uso abitazione e una variante di una casa civile destinata ad abitazione civile.

La Corte di merito ha – inoltre – rilevato che solo nel rogito del 18.4.1984 (con cui V.L. e V.C. avevano ceduto la porzione oggetto di causa), erano menzionate strutture in legno di natura parzialmente precarie destinate al ricovero di animali, e pronunciandosi su uno specifico motivo di gravame sollevato dai ricorrenti, ha sostenuto che solo dal 1986 le opere erano state rifinite in muratura, assumendo la natura di costruzioni.

Tuttavia, il fatto che esistessero in loco, sin dalla data del rogito del 18.4.1984, opere qualificabili come costruzioni ai sensi della disciplina delle distanze non risultava decisivo, dovendosi applicare comunque la disciplina contenuta nel programma di fabbricazione entrato in vigore nel 1973, che imponeva una distanza minima di mt. 10. Ciò rende irrilevante stabilire se la sentenza, nel definire la nozione di costruzione ai fini del rispetto delle distanze, abbia erroneamente dato rilievo al fatto che le strutture erano state realizzate in legno.

Inoltre, la pronuncia, con valutazione in fatto, ha accertato che le strutture esistenti da epoca precedente al 1984 avevano comunque carattere precario, il che impediva di qualificarle come costruzioni, poichè può ritenersi tale solo il manufatto stabilmente infisso al suolo che, per solidità, struttura e sporgenza dal terreno, possa creare quelle intercapedini dannose che la legge intende evitare (Cass. 12.3.2014, n. 5353; Cass. 17.12.2012, n. 23189).

Quanto all’accertamento della data di realizzazione delle costruzioni, la questione attiene al fatto e non è censurabile sotto i profili dedotti in ricorso.

4. Il terzo motivo del ricorso incidentale censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di dibattito tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la Corte distrettuale omesso di pronunciare sull’eccezione di usucapione, ritenendola assorbita mentre, poichè le opere esistevano da epoca anteriore al 1971, avrebbe dovuto definirla nel merito.

Il motivo è inammissibile.

La Corte di rinvio ha dichiarato assorbita l’eccezione di usucapione ed ha esplicitamente pronunciato sul motivo oggetto dell’appello incidentale proposto dal B., e – in ogni caso – non si profilerebbe comunque la dedotta violazione la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il quale consente di censurare l’omessa valutazione di un fatto storico, avente carattere oggettivo, principale o secondario e non anche il contenuto della pronuncia che quel fatto abbia specificamente apprezzato, sebbene definendolo con una pronuncia in rito.

Sono quindi respinti sia il ricorso principale che quello incidentale, con aggravio di spese come da dispositivo.

Sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente principale e il ricorrente incidentale sono tenuti a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, il comma 1-quater, all’art. 13.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale e quello incidentale e condanna la ricorrente principale ed il ricorrente incidentale al pagamento in solido delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2900,00 per compenso, oltre ad iva, cnap e rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%.

Si dà atto che la ricorrente principale ed il ricorrente incidentale sono tenuti a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, il comma 1-quater, all’art. 13.

Così deciso in Roma, il 28 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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