Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.26511 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27541/2014 proposto da:

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE, CLODIO 12, presso lo studio dell’avvocato MARIA VITALE, rappresentato e difeso dall’avvocato DANTE GROSSI;

– ricorrente –

contro

BANCA DI CREDITO COOPERATIVO di PERGOLA – società Cooperativa – in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ERMINI FILIPPO 68, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO ARREDI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA FRANCESCA FRANCHINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 354/2014 della CORTE D’APPELLO ANCONA, depositata il 15/05/2014;

dita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 05/04/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

PREMESSO che:

La Banca di credito cooperativo di Pergola proponeva opposizione contro il decreto che le aveva ingiunto di pagare in favore di S.G., subagente assicurativo, la somma di Euro 44.662,97 a titolo di provvigioni non corrisposte, chiedendo la revoca del decreto e, in via riconvenzionale, di condannare S. al pagamento di Euro 55.611,16. Il Tribunale di Ancona ha rigettato l’opposizione e confermato il decreto ingiuntivo: a fronte del non contestato importo delle provvigioni, ha ritenuto invece non provato che gli ammanchi contabili fossero addebitabili a S..

La sentenza è stata impugnata dalla Banca; la Corte d’appello di Ancona – con sentenza 15 maggio 2014 n. 354 – in parziale accoglimento dell’appello, ha revocato il decreto ingiuntivo e, quantificato in Euro 36.044,94 il credito dell’appellante a titolo di ammanco di cassa, ha detratto tale credito in compensazione dal credito di S. per le provvigioni e ha così condannato la Banca al pagamento di Euro 8.618,03.

S.G. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello.

La Banca di credito cooperativo di Pergola resiste con controricorso.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis 1 c.p.c..

CONSIDERATO

che:

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

a) Il primo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per omessa valutazione di una prova documentale decisiva: la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 115, perchè nell’affermare che S. era l’unico soggetto abilitato all’accesso al portale web della compagnia assicurativa Assimoco non avrebbe considerato un documento, prodotto dalla Banca, recante l’elenco “dei nominativi di ben dodici addetti all’attività di intermediazione assicurativa di cui si serviva la BCC di Pergola, tra cui anche S. (..); si tratta di un elenco completo non solo del nome, cognome e codice fiscale degli addetti, ma anche delle rispettive password personali attribuite una per ogni intermediario”.

Il motivo non può essere accolto. Anzitutto il ricorrente si limita ad affermare l’esistenza del documento, ma non lo trascrive, non consentendo così a questa Corte di apprezzarne direttamente il contenuto (“il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci l’omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, anche ove intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, è onerato, a pena di inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto”, così da ultimo Cass. 14107/2017). In ogni caso, l’esistenza di un documento contenente un elenco di addetti e delle loro relative password personali non scalfisce l’accertamento in fatto compiuto dal giudice d’appello – accertamento non sindacabile in questa sede – che S. era “l’unico soggetto abilitato all’accesso al livello superiore (di operatività gestionale) del software presente in ***** e quindi l’unico soggetto abilitato a registrare come coperti (e quindi già pagati) titoli assicurativi” (p. 7, punti 5.4 e 5.7 del provvedimento impugnato).

b) Il secondo motivo contesta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per errata attribuzione di valore di prova a un documento apocrifo, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., per violazione del divieto di nuove prove in appello”: la Corte d’appello avrebbe riconosciuto valore probatorio, ponendolo a fondamento della propria decisione, al c.d. brogliaccio di prima nota di cassa del 23 ottobre 2009, brogliaccio “assolutamente privo di sottoscrizione, intestazione e qualunque altro elemento che ne potesse almeno far presumere la paternità” ed inoltre avrebbe consentito, in violazione dell’art. 345 c.p.c., la produzione in appello, ad un’udienza, di un “documento della stessa tipologia”.

Il motivo non può essere accolto. Il ricorrente parla di documento “apocrifo”, ma tale non necessariamente è il documento che sia privo di sottoscrizione; il documento, poi, non è stato posto dalla Corte d’appello a base della sua decisione, ma da esso la Corte si è limitata a ricavare “il riscontro dei nomi dei clienti” (p. 9 della sentenza impugnata). Quanto poi al secondo brogliaccio, in relazione al quale il ricorrente lamenta che la Corte d’appello non ha accolto la propria eccezione di tardività della produzione del documento, anzitutto egli non afferma che tale documento la Corte abbia posto alla base del proprio convincimento e, in ogni caso, la doglianza non è fondata, in quanto – alla luce della pronuncia delle sezioni unite n. 10790/2017 il fatto che il documento potesse essere prodotto in primo grado non ne comportava l’inammissibilità in appello se indispensabile.

c) Il terzo motivo fa valere, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., con riferimento alla ripartizione dell’onere della prova, nonchè sotto altro profilo dell’art. 115 c.p.c.”.

Il motivo è inammissibile: nella prima parte riprende quanto già lamentato con il primo motivo, ossia che la Corte d’appello non avrebbe considerato che dal documento prodotto dalla Banca e contenente l’elenco degli addetti assicurativi emerge come S. non fosse l’unico soggetto abilitato a registrare come pagati i titoli assicurativi (supra, sub a); nella seconda parte fa generico rinvio alle contrarie risultanze della consulenza tecnica di primo grado, di cui si limita a riportare una frase; nell’ultima parte, infine, richiama genericamente “atti degli ispettori della Compagnia Assimoco” senza fornire alcun riferimento al riguardo.

2. Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese sono liquidate in dispositivo seguendo la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente che liquida in Euro 3.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.

Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-bis, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 5 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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