Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.26513 del 19/10/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26346/2014 proposto C.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ATTILIO REGOLO 12-D, presso lo studio dell’avvocato ITALO CASTALDI, rappresentata e difesa dall’avvocato RICCARDO CHERARDI;

– ricorrente –

contro

B.M.T., B.G., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DEI SAVORELLI 11, presso lo studio dell’avvocato ANNA CHIOZZA, rappresentate e difese dall’avvocato MAURIZIO TOSADORI;

– controricorrenti –

e contro

B.C., B.I., C.M., C.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 87/2014 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositata il 13/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/04/2018 dal Consigliere RAFFAELE SABATO.

RILEVATO

che:

1. Con sentenza depositata il 13 marzo 2014, pronunciando su impugnazione proposta da C.E. con citazione del 13 maggio 2013, la corte d’appello di Trento ha rigettato il gravame avverso la sentenza depositata il 20 dicembre 2012 con cui il tribunale di Rovereto ha respinto la domanda della stessa C.E., nei confronti di B.G., M., C. e I. – in proprio e quali eredi di B.L. – nonchè di C.M. e C. (oltre che di L.L. verso la quale il procedimento però è stato dichiarato estinto per rinuncia agli atti), di accertamento della falsità della data apposta al testamento olografo di Ba.Gi. e di annullamento dello stesso per incapacità naturale della testatrice o per captazione da parte di B.G., nonchè di dichiarazione di apertura della successione legittima e di divisione giudiziale fra i coeredi.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.E. su un solo motivo, cui hanno resistito B.G. e M. con controricorso illustrato da memoria. Non hanno svolto difese B.C. e I., nè C.M. e C..

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (p. 9 del ricorso).

2. Con l’art. 348-ter c.p.c., comma 5, si è introdotta mediante rinvio al comma 4 che prevede analoga disciplina per la “doppia conforme” a seguito di appello dichiarato inammissibile ex art. 348-bis c.p.c. – una nuova previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, escludendosi che possa esserè impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo riformulato dal cit. D.L. n. 83, art. 54, comma 3 e applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” (comma 5) “fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione” di primo grado.

2.1. Ratione temporis tale disposizione si applica, agli effetti del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, convertito in L. n. 134 del 2012, per i giudizi di appello – come quello in esame – introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dall’11 settembre 2012.

2.2. Nell’applicare tale norma la giurisprudenza di questa corte (v. Cass. n. 5528 del 10/03/2014, n. 24666 del 19/11/2014, n. 11416 del 10/07/2015, n. 19001 del 27/09/2016, n. 26774 del 22/12/2016 oltre altre) ha statuito che nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – debba indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.

3. Nel caso di specie, nessuna indicazione di tal fatta risulta contenuta nell’unico motivo di ricorso, formulato appunto in base alla novellata formula dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.1. L’unico cenno – peraltro senza alcun preciso richiamo nè trascrizione – contenuto a p. 14 del ricorso circa una possibile differenza valutativa tra le sentenze di primo e secondo grado si rinviene nell’espressione per cui la corte d’appello avrebbe “ritenuto … a modifica delle affermazioni sul punto del giudice di primo grado, che effettivamente la data fu apposta falsamente”.

3.2. In argomento, va osservato che tale fugace notazione non potrebbe soddisfare l’onere sopra enunciato per il ricorrente, derivante dall’art. 348-ter c.p.c., di: a) indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado; b) indicare le ragioni di fatto poste a base della sentenza di rigetto dell’appello; c) dimostrare che esse sono tra loro diverse. Nulla infatti è dato apprendere, dal ricorso, in ordine ai luoghi delle due decisioni – che la corte non potrebbe individuare d’ufficio – ove la medesima quaestio facti sia stata, in tesi, risolta diversamente, nè in ordine all’argomentazione di tale effettiva diversità.

3.3. Resta dunque esentata la corte – sussistendo comunque l’inammissibilità – dall’apprezzare le molteplici sfumature della nozione di doppia conformità in facto, rilevanti nel caso di specie (cfr. infra), che altrimenti si sarebbero dovute chiarire a fini applicativi dell’art. 348-ter c.p.c. (in particolare, se il riferimento sia ai soli fatti principali o anche a quelli secondari; se sussista conformità anche se, accertato il fatto in una sentenza, nell’altra il fatto sia ritenuto irrilevante ai fini della conclusione in iure, o eventualmente sia accertato altro fatto con elementi comuni o sostanzialmente convergente o che determini gli stessi effetti in iure, con tutte le problematiche connesse alla “conformità equivalente”; se, una volta dimostrata la difformità, sia oppure no l’ambito di questa che determini, a pena di inammissibilità, l’area entro la quale si debba collocare il fatto storico il cui omesso esame formi oggetto di censura ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non potendosi – in altri termini – denunciare omesso esame di fatti storici afferenti a quaestiones facti apprezzate identicamente nelle due decisioni pur difformi in altra quaestio facti).

3.4. Per completezza può rilevarsi che, per quanto consta dallo stesso ricorso, mentre il tribunale avrebbe ritenuto che “non vi è prova della falsità della data” (p. 5 del ricorso), neppure essendovi prova dell’incapacità naturale nè della captazione, la sentenza d’appello avrebbe ritenuto che “effettivamente la data fu apposta falsamente” (p. 14 del ricorso).

A fronte di ciò, nel controricorso – ove sono presenti più ampie trascrizioni, irrilevanti ai fini dell’ammissibilità del ricorso – si legge (p. 4) che il tribunale avrebbe previamente svolto premesse giuridiche sulle limitate ipotesi in cui la data falsa apposta all’olografo ne comporta l’invalidità, per poi argomentare circa la mancanza di prova della falsità della data, dell’incapacità naturale e della captazione.

Infine, dalla lettura della sentenza della corte d’appello si evincono: la menzione per cui la falsità o erroneità della data avrebbero rilevanza solo a determinati fini connessi all’incapacità o alla captazione in relazione al devolutum (p. 8); l’accertamento del fatto che la de cuius talvolta non ricordava “la data del giorno o anche l’anno” (p. 9); la successiva affermazione per cui, quindi, “come già rilevato la data del testamento si può anche non ritenere corretta” (p. 14), con la statuizione per cui, “essendo però stato dimostrato che… era in grado di intendere e di volere… l’erroneità della data (voluta o non voluta non importa) è irrilevante” (p. 14). Seguono poi osservazioni sul fatto che la non corrispondenza della data non può dimostrare captazione, essendo essa esclusa anche dalla corte d’appello al pari dell’incapacità naturale.

3.5. Emerge, dunque, che – rispetto alla apparente formulazione del decisum del tribunale che, limitata comunque la rilevanza giuridica della falsità della data dell’olografo, si era espresso per la mancanza di prova di essa falsità – la corte d’appello abbia, da un lato, anche in relazione al devolutum, ricompreso l’importanza dell’accertamento in ordine alla data nell’ambito degli accertamenti in ordine alla capacità di intendere e di volere e alla captazione, concedendo che “la data del testamento si p(ossa) anche non ritenere corretta” (p. 14), con sostanziale dichiarazione di irrilevanza della quaestio facti. Ove, quindi, il motivo di ricorso fosse stato per altra via ammissibile, i dati di cui innanzi avrebbero dovuto esser governati – eventualmente mercè le categorie sub 3.3. – per scrutinarne l’ammissibilità dal punto di vista della dimostrazione della mancanza di doppia conformità; dimostrazione, come detto, necessitata ma, anch’essa, non fornita dalla parte ricorrente, onde anche per tal via si perviene alla determinazione di cui in dispositivo.

3.6. Infine, in relazione all’ultima delle problematiche accennate sub 3.3, va osservato che – a fronte dell’affermata (ma come detto indimostrata) diversità valutativa tra le due decisioni, vertente sulla falsità della data – i fatti storici di cui il motivo di ricorso deduce essersi verificato un asserito omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non sono relativi al fatto della datazione del testamento in sè e per sè considerato, bensì alla captazione della volontà testamentaria, mediante il riferimento a molteplici dati fattuali che la comporrebbero (p. 18 ss. del ricorso); circostanza, questa, anch’essa convergente – se, come si ritiene, la denuncia di omesso esame deve concernere fatto storico “interno” alla difformità di apprezzamento della quaestio fatti tra le due decisioni – verso la declaratoria di inammissibilità di cui in prosieguo.

4. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente alle spese come in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, và dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma, dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione a favore delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200, per esborsi ed Euro 5.300, per compensi, oltre spese generali nella TI-Usura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 27 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472