LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 28967/2014 proposto da:
G.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 55, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI CARTA, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI LENOCI;
– ricorrente –
contro
D.P.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PESCARA, 2, presso lo studio dell’avvocato SIMONA CENSI, rappresentata e difesa dall’avvocato NICOLA GRIPPA;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 606/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata l’11/09/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/07/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Con citazione del 22 settembre 2000 D.P.M.C. convenne innanzi al Tribunale di Taranto G.C., deducendo di essere titolare del diritto di sciorinio sul lastrico solare sovrastante l’appartamento di quest’ultima, in forza di atto di donazione-divisione del 19 dicembre 1979, per cui ne chiese l’accertamento con la conseguente condanna della convenuta, proprietaria dell’appartamento al primo piano sovrastante il proprio, alla consegna delle chiavi d’accesso al vano scala al fine di poter esercitare il diritto in parola. L’adito Tribunale con sentenza 3 novembre 2005, n. 147/2005. disattese la domanda dell’attrice, rilevando che – come da eccezione sollevata dalla stessa convenuta in sede di comparsa conclusionale – mancava la prova dell’avvenuta trascrizione del ricordato atto di divisione-donazione del 19 dicembre 1979, da cui scaturiva il diritto di sciorinamento in questione. Avverso la predetta sentenza propose appello la D.P., la quale produsse la menzionata nota di trascrizione dell’atto notarile del 19 dicembre 1979 ed evidenziò, peraltro, che siffatta eccezione era stata tardivamente sollevata dalla convenuta. L’adita Corte d’Appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto, con la sentenza n. 710/2010 depositata in data 16 gennaio 2010, rigettò l’appello di D.P.M.C., ritenendo che la produzione della nota di trascrizione avvenuta soltanto nel giudizio di secondo grado fosse inammissibile ai sensi dell’art. 345 c.p.c.; che l’atto di compravendita del 25 agosto 1981 tra i coniugi D.P. – M. e Gi. – S. costituisse res inter alios acta, e che della servitù oggetto di lite non si aveva menzione nel titolo di acquisto della G., terzo acquirente. D.P.M.C. propose ricorso per cassazione e questa Corte, con sentenza n. 8528/2013 dell’8 aprile 2013, accolse il primo ed il secondo motivo, assorbiti gli altri, rinviando la causa alla Corte d’Appello di Lecce. La sentenza di cassazione n. 8528/2013 affermò che la deduzione riguardante la mancata prova dell’avvenuta trascrizione del ricordato atto di divisione – donazione, in cui era contemplato il diritto di sciorinio sul lastrico solare sovrastante l’appartamento della G., aveva “evidente natura giuridica di eccezione in senso stretto”, sicchè non poteva essere formulata in comparsa conclusionale, nè rilevata d’ufficio. Come corollario la sentenza n. 8528/2013 ricavò che la nota di trascrizione poteva essere prodotta nel giudizio d’appello, visto che l’attrice non era stata in grado di farlo nel giudizio di primo grado, sicchè aveva errato la Corte territoriale nel non avere consentito la produzione nel giudizio di gravame del documento, in quanto conseguente all’eccezione tardivamente sollevata dalla parte. Riassunto il giudizio davanti alla Corte d’Appello di Lecce in sede di rinvio, questa, con sentenza n. 606/2014, depositata l’11 settembre 2014, accolse l’appello di D.P.M.C. avverso la sentenza del Tribunale di Taranto 3 novembre 2005, n. 147/2005, accertò l’esistenza, in favore dell’appartamento di proprietà D.P. in *****, della servitù di sciorinio sul lastrico solare dell’appartamento di proprietà di G.C. e condannò quest’ultima a consegnare all’appellante le chiavi del portone di ingresso del vano scale.
G.C. ha proposto ricorso per cassazione articolato in otto motivi. Resiste con controricorso D.P.M.C..
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..
1. Il primo motivo di ricorso di G.C. denuncia la nullità della sentenza della Corte di Lecce per violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 394 c.p.c., assumendo che l’atto di riassunzione del giudizio di rinvio spiegato da D.P.M.C. non fosse “motivato”.
La censura è del tutto priva di fondamento. Per consolidata interpretazione giurisprudenziale, l’atto di riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio, poichè non dà luogo ad un nuovo procedimento, ma ad una prosecuzione dei precedenti gradi di merito, non deve contenere, ai fini della sua validità, la specifica riproposizione di tutte le domande, eccezioni e conclusioni originariamente formulate, essendo sufficiente che siano richiamati l’atto introduttivo del giudizio ed il contenuto del provvedimento in base a cui avviene tale riassunzione (così da ultimo Cass. Sez. 2, 19/12/2017, n. 30529). In particolare, la riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio si configura non già come atto di impugnazione, ma come attività di impulso processuale volta a riattivare la prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata; ne consegue che non possono essere proposti dalle parti e presi in esame dal giudice di rinvio motivi di impugnazione diversi da quelli proposti nel giudizio d’appello conclusosi con la sentenza cassata e che l’atto di riassunzione davanti al giudice d’appello in sede di rinvio non debba avere nuovamente il contenuto di cui all’art. 342 c.c. (arg. da Cass. Sez. L, 06/07/2002, n. 9843). Peraltro, il testo dell’art. 342 c.p.c., come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, conv. in L. n. 134 del 2012, non si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11 settembre 2012, come stabilito dello stesso art. 54, comma 2.
2. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 383, 384 e 394 c.p.c., per non aver i giudici di rinvio valutato il contenuto della nota di trascrizione.
Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, quanto alla nota di trascrizione ed al titolo costitutivo della vantata servitù. La Corte di Lecce non avrebbe esaminato la nota depositata da D.P.M.C. in sede di giudizio di gravame, non attenendo essa alla trascrizione del titolo di servitù, ma all’atto di divisione Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e degli artt. 112 e 115 c.p.c., non avendo i giudici di rinvio pronunciato sulla natura e le finalità della nota di trascrizione.
2.1. I motivi secondo, terzo e quarto sono da trattare congiuntamente, perchè evidentemente connessi, e sono inammissibili, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè privi di diretta riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata. La sentenza di cassazione n. 8528/2013 annullò la sentenza n. 710/2010 della Corte d’Appello di Lecce – sezione distaccata di Taranto – per violazione di norme di diritto (artt. 24 e 111 Cost., artt. 112, 167 e 183 c.p.c.), dettando il principio di diritto secondo cui “la mancata prova dell’avvenuta trascrizione del ricordato atto di divisione donazione in cui era contemplato il diritto di sciorinio sul lastrico solare sovrastante l’appartamento della G., non è un’argomentazione esclusivamente difensiva, ma ha evidente natura giuridica di eccezione in senso stretto. Ne consegue che essa non avrebbe potuto essere formulata in qualsiasi fase del giudizio di primo o di secondo grado, e quindi oltre i termini perentori di cui all’art. 183 c.p.c. e tantomeno in comparsa conclusionale”. Tale principio contrasta con il più recente orientamento espresso da questa Corte, secondo cui la questione relativa alla mancata trascrizione di un atto, ed alla conseguente inopponibilità di esso ai terzi acquirenti, non costituisce oggetto di un’eccezione in senso stretto, quanto di un’eccezione in senso lato, sicchè il suo rilievo non è subordinato alla tempestiva allegazione della parte interessata, ma rimane ammissibile indipendentemente dalla maturazione delle preclusioni assertive o istruttorie (Cass. Sez. 2, 19/03/2018, n. 6769). Al riguardo, va però ribadito che quando, come nel caso in esame, una sentenza sia cassata esclusivamente per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, è precluso al giudice di rinvio, ed anche quindi alle parti ed alla stessa Corte di cassazione successivamente adita in ordine alla sentenza di rinvio, qualsiasi riesame dei presupposti di applicabilità del principio di diritto enunciato, sulla scorta di una rivalutazione dei fatti accertati o di una diversa qualificazione giuridica del rapporto controverso, considerando lo stesso principio come erroneamente enunciato (Cass. Sez. L, 29/10/2014, n. 23015; Cass. Sez. L, 14/06/2006, n. 13719; Cass. Sez. L, 06/04/2004, n. 6707; Cass. Sez. 3, 25/09/1997, n. 9398; Cass. Sez. L, 10/01/1994, n. 188). La sentenza della Corte d’Appello di Lecce ha dunque pronunciato nel rispetto dei limiti posti al giudice di rinvio, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., commi 1 e 2, dalla sentenza rescindente di questa Corte n. 8528/2013, tenendo conto del principio enunciato e comunque di quanto ivi statuito. E’ del tutto privo di decisività soffermarsi sul contenuto della nota di trascrizione prodotta in appello da D.P.M.C., al fine di compiere un’indagine sull’opponibilità della servitù di sciorinio vantata dalla stessa D.P., in forza dell’atto del 19 dicembre 1979, nei confronti di G.C., acquirente dell’immobile preteso servente in forza di titolo successivo: tale questione del difetto di trascrizione è stata infatti ritenuta dalla sentenza rescindente tardivamente, e perciò inammissibilmente, sollevata nel giudizio di primo grado soltanto con la comparsa conclusionale.
3. Il quinto motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., artt. 112, 113, 115, e 116 c.p.c., nonchè degli artt. 1027 e 1362 c.c., con riguardo alla parte della sentenza dei giudici di rinvio che ha ritenuto inequivocabilmente esistente il diritto di sciorinio sul lastrico solare della convenuta G. sia in forza dell’atto di donazione-divisione del 19 dicembre 1979, in cui si leggeva “appartamento al piano rialzato… con diritto di sciorinio sul lastrico solare”, sia in forza dell’atto di acquisto della G. del 25 agosto 1981 (ove si ribadiva che la proprietaria della casa al piano rialzato aveva diritto di sciorinio sull’immobile compravenduto), sia stando alla prova testimoniale (in particolare del teste A.C.) sull’esercizio di fatto dell’attività di stendere i panni sul lastrico espletato da B.M.. Manca tuttavia nel titolo costitutivo, a dire del ricorrente, una chiara individuazione dei fondi dominante e servente.
Il sesto motivo di ricorso denuncia l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, e fa riferimento alla seconda parte di pagina 8 della sentenza impugnata. Si invoca la nullità ex art. 132 c.p.c., n. 4, della sentenza impugnata, la quale ha dichiarato esistente la servitù di sciorinio sul lastrico solare dell’appartamento al primo piano stante la conclamata ammissibilità della produzione in appello della nota di trascrizione. Assume la ricorrente che rimane del tutto carente la motivazione sulla costituzione della servitù evincibile dall’atto notarile.
Il settimo motivo di ricorso allega la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2770 c.c., quanto al rilievo dato in sentenza alla testimonianza A.. L’ottavo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., e degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riguardo a quanto scritto a pagina 9 della sentenza impugnata.
3.1. Nella memoria depositata il 20 giugno 2018 la ricorrente ha tuttavia dichiarato di rinunciare ai motivi di ricorso quinto settimo ed ottavo, e ciò rende superflua una decisione in ordine alla fondatezza o meno di tali censure.
3.2. Il sesto motivo di ricorso è infondato.
Pure dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, rimane denunciabile in cassazione l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce, tuttavia, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
La Corte d’Appello di Lecce ha affermato che l’atto di donazione-divisione del 19 dicembre 1979 estrinsecasse un preciso intento delle parti diretto a costituire la servitù. A questo fine i giudici di secondo grado, nell’accertare quale fosse la volontà negoziale espressa in tale atto, hanno spiegato in sentenza che il titolo conteneva tutti gli elementi atti ad individuare la servitù vantata dall’attrice in confessoria D.P.M.C.. Nella stessa memoria del 20 giugno 2018 la ricorrente, a fondamento della propria scelta di rinunciare al quinto, al settimo ed all’ottavo motivo di impugnazione, ha dedotto che la questione della “esistenza” della servitù costituisse “un presupposto necessario della sentenza di Cassazione con rinvio che non può essere rimesso nuovamente in discussione”. La Corte d’Appello, a ben vedere, ha inteso dall’atto di donazione-divisione del 19 dicembre 1979 che fondo dominante fosse l’appartamento al piano rialzato, fondo servente il lastrico solare, e che la natura del peso imposto su quest’ultimo consistesse nel diritto di sciorinare panni (cfr. Cass. Sez. 2, 15/10/1975, n. 3352). Ora, l’identificazione del fondo dominante e servente non deve necessariamente avvenire in base ad espressa indicazione e descrizione contenute nel titolo, essendo sufficiente, a tal fine, che il titolo stesso fornisca elementi idonei alla certa individuazione di detti fondi, quali quelli ricavabili dalla natura ed ubicazione della servitù medesima (Cass. Sez. 2, 08/11/1979, n. 5765). Rimane che la servitù di sciorinio, che ha ravvisato la Corte di rinvio voluta dal titolo contrattuale del 19 dicembre 1979, sarebbe stata costituita contestualmente alla donazione di più immobili (appartamento al piano rialzato, appartamentino al primo piano e due fondi rustici) da D.P.C.D. ai propri sei figli in “parti uguali ed indivise tra loro”. Per effetto di quanto limitatamente devoluto a questa Corte col residuo sesto motivo di ricorso, non deve qui affrontarsi la questione della configurabilità di un diritto di servitù prediale quando il fondo dominante e quello servente appartengano ad un unico soggetto o a più soggetti in comunione pro indiviso, agli effetti del principio “nemini res sua servit”.
Deve, piuttosto, soltanto escludersi che la sentenza della Corte d’Appello di Lecce risulti davvero strutturata su una motivazione apparente, o comunque obiettivamente incomprensibile, in quanto essa, piuttosto, rende percepibile il fondamento della decisione e ricorre ad argomentazioni comunque idonee a far conoscere il ragionamento seguito per la formazione del convincimento giudiziale.
4. Devono quindi essere rigettati i primi quattro motivi ed il sesto motivo di ricorso, mentre vanno dichiarati rinunciati il quinto, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso. Consegue altresì la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione in favore della controricorrente.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta i primi quattro motivi ed il sesto motivo di ricorso, dichiara rinunciati il quinto, il settimo e l’ottavo motivo di ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018
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