Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.26517 del 19/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20881/2014 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in ROMA, V. GIUSEPPE TUCCIMEI 1, presso lo studio dell’avvocato DOMENICO FRANCESCO DONATO, rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO PALASCIANO;

– ricorrente –

contro

FRATELLI P. COSTRUZIONI SNC, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 211, presso lo studio dell’avvocato FABIO PIER GIORGIO CRISCUOLO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

P.F., P.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1060/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 12/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/07/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

C.L. ha proposto ricorso articolato in cinque motivi, a loro volte suddivisi in sottomotivi, avverso la sentenza n. 1060/2014 della Corte d’Appello di Catanzaro, depositata il 12 luglio 2014.

Resiste con controricorso la s.n.c. F.lli P. Costruzioni. Rimangono intimati senza svolgere attività difensive P.F. e P.F..

Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c..

Con citazione del 14 dicembre 2002 la s.n.c. F.lli P. Costruzioni domandò la condanna di C.L., erede di C.C.R., titolare dell’impresa Ing. C. Costruzioni, al pagamento del saldo dei lavori appaltati con contratto dell’8 agosto 1996, pari ad Euro 131.188,32. Il convenuto C. oppose, fra l’altro, che nei preliminari di vendita immobiliare conclusi con i terzi chiamati in causa P.F. e P.C. fosse stato parzialmente simulato il corrispettivo, da intendersi comunque compensato con il prezzo residuo vantato dall’appaltatrice s.n.c. F.lli P. Costruzioni. Il Tribunale di Catanzaro con sentenza del 17 aprile 2009 condannò C.L. al pagamento di Euro 129.115,00 oltre interessi e respinse la domanda riconvenzionale proposta nei confronti dei terzi chiamati. Proposto appello da C.L., la Corte d’Appello di Catanzaro, con sentenza n. 1060/2014, rigettò il gravame.

1. Il primo motivo di ricorso di C.L. censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., per aver la Corte d’Appello operato un’inversione dell’onere della prova a carico del ricorrente, non avendo la s.n.c. F.lli P. Costruzioni nemmeno prodotto nel giudizio di gravame il proprio fascicolo di parte di primo grado.

2. Il primo motivo di ricorso è del tutto infondato. La Corte d’appello di Catanzaro ha affermato che le fatture ed il computo metrico non costituissero prove idonee a dimostrare il credito vantato dall’appaltatrice, mentre tale fondamento probatorio doveva darsi alla scrittura privata del 12 agosto 1996, dalla quale traspariva la volontà delle parti di scomputare dal prezzo pattuito per la vendita degli appartamenti quello dovuto all’appaltatore per le opere già eseguite ed ancora da eseguire. Ulteriore valenza probatoria del credito dell’appaltatrice è stata riconosciuta dai giudici di appello alla deposizione del teste N.S., che aveva indicato quale somma le parti avessero concordato nella compensazione fra prezzo degli appartamenti e corrispettivo dell’appalto.

La Corte di Catanzaro ha così fatto corretta applicazione dei principi giurisprudenziali secondo cui l’appaltatore che chieda il pagamento del proprio compenso ha l’onere di fornire la prova della congruità di tale somma, alla stregua della natura, dell’entità e della consistenza delle opere, non costituendo idonee prove dell’ammontare del credito le fatture emesse dall’appaltatore, trattandosi di documenti di natura fiscale provenienti dalla stessa parte, nè le risultanze della misurazione della quantità di lavori già eseguiti, quali emergono dal certificato sullo stato di avanzamento degli stessi (Cass. Sez. 2, 11/05/2007, n. 10860; Cass. Sez. 3, 21/05/1999, n. 4955). Non può quindi ravvisarsi, a differenza di quanto deduce il ricorrente, nè violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, nè violazione dell’art. 116 c.p.c., configurabile solo quando il giudice di merito disattenda il principio della libera valutazione delle prove in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova legale. Nella sostanza, la censura investe la valutazione delle risultanze probatorie operata dalla Corte di Catanzaro, apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ovvero unicamente per omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le emergenze istruttorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

2. Il secondo motivo di ricorso di C.L. censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 2721 c.c. e segg. e dell’art. 116 c.p.c., avendo la Corte d’Appello ritenuto utilizzabile la testimonianza resa da N.S. e dichiarato tardive e inammissibili le eccezioni sollevate dalla difesa del C.. La Corte d’Appello ha rilevato come nessuna eccezione fosse stata tempestivamente posta all’assunzione del teste con riferimento al limite di cui all’art. 2721 c.c.. Il ricorrente ribadisce nel suo motivo che nella memoria istruttoria del 4 marzo 2005 avesse rappresentato il difetto di indicazione del teste N. e che nel corso dell’udienza di assunzione dello stesso (27 novembre 2006) avesse chiesto la revoca dell’ordinanza di ammissione della prova testimoniale perchè i capitoli di prova “tendono a provare la modifica di atti documentali”. Di seguito, il ricorrente cita i propri “scritti conclusivi” che facevano espresso riferimento all’art. 2721 c.c..

2.1. Il secondo motivo è infondato in quanto opera il principio secondo cui, in tema di prova testimoniale, i limiti di valore, sanciti dall’art. 2721 c.c., non attengono all’ordine pubblico, ma sono dettati nell’esclusivo interesse delle parti private, con la conseguenza che, qualora, in primo grado, la prova venga ammessa oltre i limiti predetti, essa deve ritenersi ritualmente acquisita, ove la parte interessata non ne abbia tempestivamente eccepito l’inammissibilità in sede di assunzione o nella prima difesa successiva, senza che la relativa nullità, oramai sanata, possa essere eccepita per la prima volta in sede di comparse conclusionali, o in appello o nel giudizio di legittimità (Cass. Sez. 1, 19/02/2018, n. 3956; Cass. Sez. 3, 13/03/2012, n. 3959). Qualora, in sede di ricorso per cassazione, venga dedotta l’erronea motivazione del giudice d’appello sull’eccezione di nullità della prova testimoniale (nella specie, per violazione dell’art. 2721 c.c.), il ricorrente ha l’onere, anche in virtù dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di indicare che detta eccezione è stata sollevata tempestivamente ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 2, subito dopo l’assunzione della prova (e, se disattesa, riproposta in sede di precisazione delle conclusioni ed in appello ex art. 346 c.p.c.), dovendo, in mancanza, ritenersi irrituale la relativa eccezione e pertanto sanata la nullità, avendo la stessa carattere relativo (Cass. Sez. 2, 23/11/2016, n. 23896). Nè l’eccezione portata avverso l’ammissione di prova testimoniale relativa ad aggiunte e modificazioni verbali ad un patto scritto (art. 2723 c.c.), come svolta nell’udienza del 27 novembre 2006, vale anche quale invocazione del divieto di prova testimoniale per negozi di valore superiore a quello di cui all’art. 2721 c.c..

3. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e artt. 2700 e 2702 c.c., per avere la Corte d’Appello di Catanzaro privilegiato la rilevanza probatoria della testimonianza resa dal teste N. rispetto alla prova legale rappresentata dalla scrittura privata del 12 agosto 1996 sottoscritta da tutte le parti.

3.1. Il motivo è del tutto infondato. La scrittura privata riconosciuta dalle parti del 12 agosto 1996 prevedeva nel suo contenuto, ed in questi termini costituiva prova legale, che il corrispettivo dei lavori edili oggetto del contratto d’appalto tra la s.n.c. F.lli P. Costruzioni e l’ingegner C. sarebbe stato oggetto di compensazione col prezzo dei due appartamenti contemplati nei preliminari del 2 agosto 1996. Tale accordo, per come interpretato nella sentenza d’appello, con apprezzamento di fatto spettante al giudice del merito, non recava, quindi, un saldo finale liquido tra i crediti reciproci e la Corte di Catanzaro ha dato fede al teste N. quanto alla definitiva determinazione del corrispettivo dovuto all’appaltatrice. Si è trattato, allora, di una testimonianza avente ad oggetto non circostanze contrarie al contenuto della scrittura riconosciuta, quanto elementi chiarificatori del contenuto negoziale, essendo la prova orale diretta ad accertare la reale ed esatta consistenza del definitivo assetto delle operazioni di dare ed avere intercorse tra i contraenti.

4. Il quarto motivo di ricorso censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 244 e 157 c.p.c., in ordine all’eccezione sulla diversità fra il nome ( N.S.) del teste escusso e il nominativo originariamente indicato ( N.F.) dalla difesa della società P.. La Corte d’Appello ha richiamato la valutazione di tardività dell’eccezione operata dal Tribunale ed ha affermato che l’appellante non aveva neppure indicato quale pregiudizio avesse subito dall’assunzione del teste inizialmente identificato con diverso nominativo. Il ricorrente trascrive uno stralcio del verbale di causa dell’udienza del 6 novembre 2007, successiva a quella dell’assunzione del teste N. (27 novembre 2006), ove si contestava l’inutilizzabilità della prova, giacchè resa da S. e non da F..

4.1. Il quarto motivo di ricorso è palesemente infondato. Questa Corte ha già affermato, e va qui ribadito, che la regola di cui all’art. 244 c.p.c., la quale stabilisce che la prova per testimoni deve essere dedotta mediante indicazione specifica delle persone da interrogare (e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna deve essere interrogata), deve essere coordinata con il principio della nullità a rilevanza variabile enucleabile dall’art. 156 c.p.c., comma 2, in base al quale la nullità (oltre a dover essere opposta tempestivamente dalla parte interessata secondo le modalità previste dall’art. 157 c.p.c., comma 2) può essere pronunciata solo quando l’atto manchi dei requisiti di forma-contenuto indispensabili al raggiungimento dello scopo, cosicchè, pur dovendo il teste essere indicato in maniera sufficientemente determinata o comunque determinabile, un’imperfetta o incompleta designazione dei relativi elementi identificativi (nella specie, del nome del testimone) è idonea ad arrecare un vulnus alla difesa e al contraddittorio solo se provochi in concreto la citazione e l’assunzione di un soggetto realmente diverso da quello previamente indicato, così da spiazzare l’aspettativa della controparte (Cass. Sez. 2, 20/11/2013, n. 26058).

5. Il quinto motivo di ricorso censura la violazione dell’art. 100 c.p.c., per aver la Corte d’Appello, e prima ancora il Tribunale, dichiarato inammissibile per carenza d’interesse la domanda riconvenzionale di C.L. volta a far dichiarare la simulazione del prezzo indicato negli atti pubblici di compravendita del 29 luglio 1998, essendo maggiore il corrispettivo realmente voluto dalle parti (ovvero quello stabilito nei preliminari), sicchè alcun credito sarebbe più residuato in favore dell’appaltatrice s.n.c. F.lli P. Costruzioni.

6.1. Anche tale motivo è infondato. L’accertamento in ordine alla sussistenza dell’interesse ad agire – il cui eventuale difetto deve essere rilevato d’ufficio in ogni stato e grado del processo – non può essere compiuto nel giudizio di legittimità qualora esso comporti, in base alla stessa prospettazione del ricorrente, una valutazione di elementi di fatto in precedenza non effettuata, perchè non richiesta, dal giudice di merito. La prospettazione attuale del ricorrente è che il saldo del corrispettivo spettante all’a ppaltatrice s.n.c. F.lli P. Costruzioni si sarebbe rivelato inferiore ove gli fosse stato consentito di dimostrare che il prezzo degli appartamenti stabilito negli atti pubblici era a sua volta ben inferiore a quello fissato nei compromessi. Sennonchè, a base dei calcoli di determinazione del residuo corrispettivo dovuto all’appaltatrice, sulla scorta del contenuto della scrittura del 12 agosto 1996, le parti considerarono proprio i compromessi del 2 agosto 1996, e non gli atti pubblici, ed anzi la prova determinante del saldo della compensazione è stata fornita dal teste N., il quale ha rappresentato comunque quale fosse il reale intento dei contraenti. Se dunque l’interesse del C. ad agire per la simulazione del prezzo degli atti pubblici di vendita intercorsi con P.F. e C. era quello di “riscrivere” il saldo dell’operazione di compensazione delineata nella scrittura del 12 agosto 1996, va soltanto confermata la valutazione dei giudici di merito del difetto dell’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento della domanda.

6. Il sesto motivo deduce la violazione dell’art. 115 e dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 2721 c.c. e l’omesso esame di fatto decisivo, quanto alla mancata ammissione da parte della Corte di Catanzaro delle istanze istruttorie formulate in primo grado e reiterate in appello e quanto all’eccezione di inammissibilità della prova per violazione dell’art. 2721 c.c..

6.1 Il sesto motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, nella parte in cui si duole della mancata ammissione delle prove dedotte in primo grado, senza indicare specificamente nel motivo, al fine di consentire a questa Corte il vaglio di decisività della doglianza, quale fosse il contenuto di tali deduzioni istruttorie, nè se avesse censurato la statuizione di rigetto in primo grado dell’istanza di prova con uno specifico motivo di appello, non essendo sufficiente che egli abbia impugnato la sentenza, lamentando l’omessa pronuncia su domande e l’errata valutazione del materiale probatorio da parte del primo giudice (Cass. Sez. 2, 22/01/2018, n. 1532). Del pari è inammissibile invocare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, relativo all’omesso esame di un fatto storico, per censurare l’omessa ammissione di istanze istruttorie, allorchè il fatto sia stato comunque preso in considerazione dal giudice. Nè costituisce un “fatto”, è cioè una circostanza, un episodio fenomenico, un dato materiale, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, una eccezione di inammissibilità della prova testimoniale, peraltro esaminata dalla Corte d’Appello ed infatti già censurata dal ricorrente nei precedenti motivi sotto il profilo della violazione di norme di diritto.

7. Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione in favore della controricorrente F.lli P. Costruzioni nell’ammontare liquidato in dispositivo, mentre non occorre provvedere al riguardo per gli altri intimati P.F. e P.C., che non hanno svolto attività difensive.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018

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