LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MATERA Lina – Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29457/2014 R.G., proposto da:
K.J., e E.J., rappresentati e difesi dall’avv. Guther Lang e dall’avv. Enrico Dante, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma alla Via Tacito n. 10.
– ricorrenti –
contro
H.F., in persona dell’amministratore di sostegno Ho.Ha., rappresentato e difeso dall’Avv. Ivo Tschurtschenthaler e dall’avv. Federica Scafarelli, con domicilio eletto presso quest’ultima in Roma alla Via Borsi n. 4.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento n. 107/2014, depositata in data 19.7.2014.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 3.5.2018, dal Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.
FATTI DI CAUSA
K.J. e E.J. hanno proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Trento n. 107/2014, depositata in data 19.7.2014.
I ricorrenti avevano convenuto in giudizio H.F. dinanzi al Tribunale di Bolzano, sez. distaccata di Brunico, esponendo che con contratto preliminare del 14.12.2001 quest’ultimo aveva promesso di trasferire ai ricorrenti le particelle fondiarie nn. *****, ubicate in *****, stabilendo come corrispettivo il trasferimento e rifacimento di un maso ivi insistente all’infuori del centro abitato con le relative progettazioni ed iscrizioni, disponendo, a titolo di caparra, la consegna del progetto approvato, inclusi i costi accessori; che la clausola sub 6) del contratto prevedeva che, qualora il promittente venditore avesse stipulato con terzi un contratto riguardante le medesime particelle, dovesse pagare ai promissari acquirenti un indennizzo di Lire 200.000.000.
Avevano altresì dedotto che era stato presentato al Comune di Falzes la richiesta di autorizzazione allo spostamento del maso fuori dal centro abitato di ***** e che l’ H. aveva concesso a E.J. una procura generale per atto pubblico per il compimento delle attività necessarie per dare esecuzione agli accordi; che l’amministrazione aveva respinto le richieste di autorizzazione e che il ricorso avverso detto diniego era stato respinto dal Tribunale amministrativo di Bolzano con pronuncia passata in giudicato; che le parti avevano stipulato, in data 10.3.2004, un nuovo contratto preliminare di vendita riguardante le sole partt. *****, per un prezzo di Euro 570.000,00 ma che, in data 20.1.2005, l’ H. aveva revocato la procura e aveva promesso in vendita gli immobili alla Rienzbau s.p.a., intendendo comunque realizzare lo spostamento del maso.
Avevano chiesto di condannare il convenuto al pagamento di Lire 200.000.000 a titolo di penale o, in subordine, la restituzione della caparra e il pagamento delle spese sostenute, per l’importo di Euro 26.601,26, nonchè di emettere sentenza ex art. 2932 c.c., volta all’esecuzione coattiva del preliminare del 10.3.2004.
Il tribunale di Bolzano ha respinto tutte le domande, compensando le spese, e la pronuncia è stata confermata dalla Corte d’appello di Trento.
Il Giudice distrettuale, preso atto che le parti avevano sottoscritto il preliminare del 2001 relativo alle particelle facenti parte del maso chiuso denominato “*****” dietro l’impegno dei promissari acquirenti di trasferire il maso fuori dai centro abitato, ha rilevato che tale trasferimento era divenuto impossibile a seguito del provvedimento con cui l’amministrazione comunale aveva respinto la richiesta di autorizzazione del trasferimento, nonchè della successiva pronuncia, passata in giudicato, con cui il Tribunale amministrativo di Bolzano aveva respinto il ricorso avverso il suddetto diniego, accertando che l’ H. non aveva diritto a realizzare un nuovo mano con una nuova ubicazione poichè, ai sensi dell’art. 107, commi 7 e 8, della legge sulla pianificazione del territorio nazionale n. 13/1997, ciò era possibile solo per esigenze produttive dell’azienda che non potessero essere soddisfatte mediante l’ampliamento e l’ammodernamento del maso esistente.
Quanto alla domanda di esecuzione in forma specifica del preliminare del 10.3.2004, la sentenza ha considerato che il contratto era stato prodotto solo in copia e che l’ H. ne aveva disconosciuto la sottoscrizione ed aveva asserito che il documento conteneva clausole aggiunte successivamente a mano, che non erano state oggetto di accettazione.
Ha escluso che l’originale del contratto potesse esser prodotto in appello ed ha ritenuto irrilevante, in mancanza del tempestivo deposito del predetto documento, la produzione di copia del verbale relativa alle dichiarazioni con cui il resistente aveva ammesso, nel giudizio di verificazione proposto in via autonoma dai ricorrenti, di aver firmato il preliminare.
Il ricorso si sviluppa in tre motivi.
L’intimato ha depositato controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo censura – letteralmente – la violazione dell’art. 37 c.p.c., nonchè l’omessa pronunzia e l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la Corte distrettuale omesso di pronunciare sull’eccezione, riproposta in appello, con cui il resistente aveva invocato la clausola compromissoria di cui all’art. 5) del contratto preliminare del 10.3.2004.
Il motivo è inammissibile per carenza di interesse.
Per quanto asserito dagli stessi ricorrenti era stato l’ H. ad invocare la clausola compromissoria ex art. 5 del contratto del 10.3.2004.
Il Giudice del merito ha invece pronunciato nel merito, disattendendo implicitamente l’eccezione, e tale pronuncia non ha determinato alcuna soccombenza dei ricorrenti, per cui questi ultimi non hanno alcun interesse di dolersene, avendo anzi essi stessi richiesto al tribunale e poi al giudice di appello di pronunciare nel merito e di emettere sentenza di esecuzione in forma specifica del contratto, ai sensi dell’art. 2932 c.c. (Cass. 24.10.2017, n. 25235; Cass. 27.9.2002, n. 14006).
2. Il secondo motivo censura la violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sostenendo che la sentenza, con motivazione illogica, contraddittoria e gravemente carente, non avrebbe tenuto conto del fatto che, riguardo al preliminare del 10.3.2004, l’ H., in data 19,12.2012, aveva riconosciuto dinanzi al tribunale di Brunico di aver sottoscritto il contratto e che, pertanto, la produzione del relativo verbale di causa doveva essere ammessa nel giudizio di impugnazione dato che i ricorrenti non avevano potuto produrlo in primo grado, poichè la causa era stata definita dal Tribunale in data 25.6.2012.
Il motivo è infondato.
Si è detto che il Tribunale di Brunico aveva respinto la domanda di esecuzione in forma specifica del preliminare del 10.3.2004, ritenendo che l’istanza di verificazione non fosse stata proposta tempestivamente e che la verificazione non potesse aver luogo sulla copia, non avendo gli attori prodotto l’originale del documento disconosciuto.
La Corte d’appello ha respinto il gravame non già ritenendo che il verbale di causa non potesse esser prodotto a norma dell’art. 345 c.p.c., ma giudicando irrilevante quanto dichiarato dal resistente, poichè questi aveva contestato l’autenticità della propria sottoscrizione e – di conseguenza – i ricorrenti avrebbero dovuto farsi carico di produrre tempestivamente l’originale, in mancanza del quale era preclusa la verificazione delle firme.
La sentenza impugnata non ha, quindi, affatto violato l’art. 345 c.p.c., non avendo ritenuto inammissibile la produzione del verbale, ma avendola giudicata irrilevante nell’impossibilità di procedere comunque alla verificazione.
3. Il terzo motivo censura, letteralmente, la violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, nonchè l’errata, illogica e contraddittoria motivazione, per aver la sentenza dichiarato d’ufficio la nullità del contratto del 14.12.2001 per l’impossibilità dei promissari acquirenti di trasferire il maso al di fuori del centro abitato, senza che la questione fosse stata sottoposta al contraddittorio delle parti.
Si asserisce – inoltre – che il contratto non poteva ritenersi nullo poichè non contemplava termini di adempimento nè era stata mai comunicata alcuna diffida ex art. 1454 c.c., avendo, anzi, la stessa Corte distrettuale affermato che il trasferimento del maso sarebbe stato possibile dopo l’entrata in vigore della legge provinciale n. 3/2007, sicchè il contratto poteva essere attuato successivamente. Il motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata ha respinto la domanda di risoluzione proposta dai ricorrenti verso il promittente venditore per aver accertato che l’ H. non era incorso in alcun inadempimento, in quanto il contratto non poteva essere adempiuto già al momento in cui l’ H. aveva promesso di vendere i beni alla Rienzbau s.p.a., dato che, come detto, l’amministrazione comunale aveva negato l’autorizzazione al trasferimento del maso ed il ricorso avverso detto diniego era stato respinto dal tribunale amministrativo di Bolzano con pronuncia passata in giudicato (cfr. sentenza pagg. 17-24).
L’affermazione, contenuta alla pag. 24 della sentenza, secondo cui l’impossibilità giuridica di attuare il trasferimento del maso costituiva una causa di nullità del preliminare, non ha costituito la ratio decidendi della sentenza ma una mera argomentazione ad abundantiam che i ricorrenti non hanno interesse a contestare, senza che la Corte distrettuale fosse comunque tenuta a sottoporre la questione al contraddittorio delle parti.
Difatti anche quando il giudice, dopo aver rilevato in motivazione una questione preliminare o pregiudiziale astrattamente decisiva, abbia comunque esaminato i motivi di impugnazione ed abbia respinto il gravame nel merito, deve ritenersi che, con quella prima argomentazione, abbia solo inteso rafforzare la propria decisione di mancato accoglimento del gravame con una ragione alternativa che tuttavia è rimasta fuori dalla decisione finale dell’impugnazione (Cass. 18.12.2017, n. 30354).
Il ricorso è quindi respinto anche agli effetti delle spese, che si liquidano in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dichiarare che i ricorrenti sono tenuti a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5000,00 per compenso, oltre ad iva, cnap e rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%.
Si dà atto che i ricorrenti sono tenuti a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13.
Così deciso in Roma, il 3 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018
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