LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SISTINA 48, presso lo studio dell’avvocato ORLANDO MARCO, rappresentato e difeso dall’avvocato PIGNATIELLO NICOLA;
– ricorrente –
contro
M.I., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 7, presso lo studio dell’avvocato SABBATINI SIMONA, rappresentato e difeso dall’avvocato CAMPANILE GIACOMO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3650/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 10/07/2018 dal Consigliere Dott.ssa RUBINO LINA.
RILEVATO
che:
1. B.G. ha proposto ricorso per cassazione illustrato da memoria contro M.I., avverso la sentenza n. 3650/2015 della Corte di Appello di Napoli.
2. L’intimato resiste con controricorso.
3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di inammissibilità dello stesso. Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati notificati.
CONSIDERATO
che:
1. Il Collegio, esaminata anche la memoria del ricorrente, condivide le valutazioni contenute nella proposta del relatore nel senso della inammissibilità del ricorso.
2. M.I. conveniva in giudizio il B., per ottenerne la condanna al pagamento di un importo a titolo di provvigione per l’attività di mediatore svolta in relazione alla cessione di quote di una società. In primo grado il B. rimaneva contumace e veniva condannato al pagamento. Proponeva appello, chiedendo accertarsi la nullità della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio in primo grado, ed il suo appello veniva dichiarato inammissibile (il ricorrente non chiarisce, non riporta, neppure accenna, sulla base di quale motivazione).
Con il motivo proposto, lamenta la correttezza della decisione adottata, sostenendo che il suo appello avrebbe dovuto essere accolto, con rimessione degli atti al primo giudice. Inserisce un riferimento testuale all’art. 327 c.p.c., comma 2, ma all’interno del motivo sviluppa alcune argomentazioni sulla nullità della notifica dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado. Non è dato comprendere, dalla sola lettura del ricorso, perchè l’atto di appello del ricorrente sia stato dichiarato inammissibile, nè tanto meno perchè tale dichiarazione (che potrebbe discendere da diverse ipotesi di inammissibilità) dovrebbe essere stata resa in violazione di norme di legge.
Il ricorso è quindi inammissibile, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6.
Manca sostanzialmente l’esposizione sommaria dei fatti di causa rilevanti ai fini del giudizio di legittimità, inoltre sussiste anche la violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4: anche con riguardo alla deduzione della violazione di una norma afferente allo svolgimento del processo nelle fasi di merito, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, il rispetto dell’esigenza di specificità del ricorso per cassazione, che concerne anche la deduzione degli “errores in procedendo”, non cessa di essere necessario per il fatto che la Corte di Cassazione, essendo sollecitata a verificare se vi è stato errore nell’attività di conduzione del processo da parte del giudice del merito e dovendo giudicare il fatto processuale, debba esaminare direttamente gli atti processuali. (v., tra le tante, Cass. n. 12664/2012, 4741/2005).
Infine, vi è anche violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 in quanto l’illustrazione del ricorrente dovrebbe fondarsi su documenti e/o atti processuali, ma non osserva nessuno dei contenuti dell’indicazione specifica prescritta dall’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto: a) non ne trascrive direttamente il contenuto per la parte che dovrebbe sorreggere la censura, nè lo riproduce indirettamente indicando la parte del documento o dell’atto in cui troverebbe rispondenza l’indiretta riproduzione; b) non indica la sede del giudizio di merito in cui il documento venne prodotto o l’atto ebbe a formarsi; c) non indica la sede in cui, in questo giudizio di legittimità, il documento, in quanto prodotto (ai diversi effetti dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), sarebbe esaminabile dalla Corte, anche in copia, se trattisi di documento della controparte; d) non indica la sede in cui l’atto processuale sarebbe esaminabile in questo giudizio di legittimità, in quanto non precisa di averlo prodotto in originale o in copia e nemmeno fa riferimento alla presenza nel fascicolo d’ufficio (Cass., sez. un., n. 22716/2011, n. 7161/2010, n. 28547/2008).
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.
Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Liquida le spese di lite in Euro 3.500,00 per compensi, oltre 200,00 per esborsi, oltre accessori e contributo spese generali.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 10 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2018