Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26554 del 22/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22304/2016 proposto da:

COMUNE DI FROSINONE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 76, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE NACCARATO, rappresentato e difeso dall’avvocato MARINA GIANNETTI;

– ricorrente –

contro

UNIONE SINDACATI DI BASE USB, ICA SRL;

– intimati –

avverso la sentenza n. 764/2016 del TRIBUNALE di FROSINONE, depositata il 28/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 08/03/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO.

RITENUTO

che:

il Comune di Frosinone ricorre avverso la sentenza d’appello di cui in epigrafe, la quale rigettò l’impugnazione avanzata dall’odierno ricorrente avverso la sentenza di primo grado, emessa dal Giudice di pace, la quale aveva accolto l’opposizione avanzata avverso l’ordinanza ingiunzione emessa dal predetto Comune nei confronti dell’USB Unione Sindacati di Base, per avere abusivamente affisso taluni manifesti in violazione dell’art. 34 regolamento locale;

che il ricorso risulta essere ulteriormente illustrato da memoria;

che la controparte non ha svolto difese;

ritenuto che il primo motivo di censura denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 113 c.p.c., comma 2 e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il Tribunale di Frosinone, investito dell’appello, ritenuto che il Giudice di pace si fosse pronunciato secondo equità, ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2, trattandosi di causa non eccedente i 1.000,00 Euro, non tenendo conto che il D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 12, che espressamente vieta, in materia di opposizione ad ordinanza ingiunzione, il ricorso al giudizio equitativo davanti al giudice di pace; dovendosi, inoltre, aggiungere che una tale conclusione era comunque obbligata già in base al disposto della L. n. 689 del 1981, art. 22, che assegna, per i casi contemplati, il giudizio di opposizione in parola al giudice di pace ratione materiae e non ratione valoris.

CONSIDERATO

che:

la critica deve dirsi manifestamente fondata sulla scorta degli esatti argomenti esposti dalla parte ricorrente, sopra riportati, come, peraltro, già chiarito in passato da questa Corte (cfr., Sez. 2, n. 21075, 28/9/2006, Rv. 593027);

considerato che il secondo motivo, con il quale si denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 6,D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 24 e art. 2697 c.c., per avere la statuizione censurata affermato che l’abusiva affissione non poteva attribuirsi all’associazione sindacale intestataria dei manifesti, deve essere dichiarata inammissibile per le ragioni di cui appresso:

a) qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere nè l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale cd è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata (S.U., n. 3840, 20/2/2007, Rv. 595555; cfr., pure, S.U., n. 8087, 2/4/2007, Rv. 595928);

b) non è dubbio che nel caso di specie, nonostante il dissonante epilogo di rigetto, la sentenza del Tribunale ha ritenuto l’appello inammissibile, poichè non erano state indicate violazioni di principi regolatili la materia del giudizio secondo equità, siccome dispone l’art. 339 c.p.c., comma 3 e, pertanto, le ulteriori valutazioni sul merito debbono apprezzarsi “tamquam non esset”;

considerato che la terza censura, con la quale il Comune ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per avere la sentenza impugnata posto a carico del predetto Comune, rimasto soccombente, ulteriore importo pari al contributo unificato già versato, resta assorbita dall’epilogo;

considerato che, in ragione a quanto esposto la sentenza deve essere cassata con rinvio, assegnandosi al Giudice del rinvio anche il compito di regolare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo e dichiara inammissibili e assorbiti gli altri; cassa e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Frosinone, in persona di altro giudice.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

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