LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12726/2017 proposto da:
R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AJACCIO 12/14, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO COLAVINCENZO, rappresentato e difeso dagli avvocati UMBERTO D’ARAGONA, FRANCESCO BRESCIA;
– ricorrente –
contro
C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALSESIA 40, presso lo studio dell’avvocato ANIELLO MARIA D’AMBROSIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GAETANO D’AMBROSIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 605/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 03/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/04/2018 dal Consigliere Dott. VINCENZO CORRENTI.
FATTO E DIRITTO
R.G. propone ricorso per cassazione, illustrato da memoria, contro C.A., che resiste con controricorso, avverso la sentenza della corte di appello di Salerno 3.11.2016 che ha rigettato l’appello a sentenza del tribunale di Nocera Inferiore che, in accoglimento della domanda del C. di rimozione di manufatti e contatori apposti in una intercapedine tra i due edifici, lo aveva condannato alla riduzione in pristino del muro eretto e dei contatori installati all’estremità dell’intercapedine di proprietà di quest’ultimo, sul presupposto che il R. aveva genericamente eccepito l’usucapione senza provarla.
Il ricorrente denunzia: A) omesso esame di fatto decisivo e vizi di motivazione sulla richiesta di rinnovazione della ctu; B) nullità della sentenza ed omessa pronunzia circa la richiesta di rinnovazione della ctu e/o di chiarimenti al ctu; C) errata e/o omessa valutazione dei titoli di acquisto prodotti in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5; D) errata valutazione della ctu in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ed all’interpretazione dei titoli.
Il relatore ha proposto la manifesta infondatezza del ricorso, trattandosi di doppia conforme con sostanziale richiesta di riesame del merito.
Il Collegio condivide la richiesta non ravvisandosi i vizi denunziati. Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, preclude le censure come formulate ed il giudice non è tenuto a motivare specificamente i motivi del mancato rinnovo della ctu tanto più che ha statuito sulla mancata prova dell’usucapione.
Ai sensi dell’art. 360, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, è inammissibile il motivo di ricorso per l’omesso esame di elementi istruttori ove il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione.
Il nuovo testo dell’art. 360, n. 5, deve essere interpretato, alla luce dei canoni di cui all’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione con riferimento alla mancanza assoluta dei motivi, alla motivazione apparente, al contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, alla motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di motivazione (Cass. 14324/15, S.U. 8053/14).
La ctu descrive solo i luoghi, non ha il potere di accertare i fatti posti a fondamento di domande ed eccezioni e non può supplire all’onere probatorio che incombe sulla parte (Cass. n. 1020/2006).
Ciò consente di rigettare i primi due motivi mentre, in ordine al terzo ed al quarto, fermi restando i rilievi sul nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, a prescindere dalla incompatibilità della duplice deduzione di errata od omessa valutazione di documenti, la doglianza richiedeva una puntuale censura ex art. 1362 c.c..
L’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 c.c. e ss., oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.
Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04n. 753).
In tema di ermeneutica contrattuale l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di interpretazione di cui agli artt. 1362 e ss.
Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Cass. 15.11.2017 n. 27136).
In particolare, poi, in ordine al quarto motivo ed alla valutazione dalla ctu ed alla interpretazione dei titoli, la valutazione fatta dal tribunale è stata confermata dalla corte di appello sulla base della ctu.
Non vi è omesso esame di fatto decisivo e la valutazione confermativa della corte di appello vale come congruo rigetto della istanza di rinnovo della ctu.
Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese liquidate in Euro 2700 di cui 200 per esborsi, dando atto dell’esistenza dei presupposti ex D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.
Così deciso in Roma, il 10 aprile 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018