LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5700/2016 proposto da:
S.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 66, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SPAGNUOLO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1353/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 02/11/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO.
RILEVATO
che:
S.E., lavoratrice agricola alle dipendenze del “Il Miracolo S.r.l.”, ha chiesto al Tribunale di Salerno di essere reiscritta per gli anni 2001-2005 negli elenchi dei braccianti agricoli, dai quali era stata illegittimamente cancellata;
il Tribunale ha accolto in parte la domanda, ordinando all’Inps l’iscrizione della lavoratrice solo per gli anni dal 2001 a 2004; ha quindi condannato l’Istituto al pagamento delle spese del giudizio nella misura di 4/5 e compensato la restante parte;
la Corte salernitana, sull’appello della lavoratrice, ha confermato il rigetto della domanda di iscrizione per l’anno 2005, rilevando che la ricorrente, sulla quale gravava il relativo onere, non aveva offerto la prova dell’effettivo svolgimento dell’attività lavorativa in quell’anno, stante la inidoneità della prova assunta ad inficiare i fatti appurati dall’Inps in sede ispettiva; ha invece accolto il motivo di appello riguardante la liquidazione delle spese processuali, che ha rideterminato, ferma restando la compensazione di 1/5; ha infine ha compensato per intero le spese del giudizio di secondo grado;
ricorre per la cassazione della sentenza la S. la quale deduce un unico complesso motivo; l’Inps resiste con controricorso;
la proposta del relatore e stata comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata;
la ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.
CONSIDERATO
che:
con l’unico articolato motivo di ricorso la S. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c. per omesso esame della prova offerta, e dell’art. 2909 c.c. “in ordine al giudicato relativo al risultato del quinquennio dedotto”, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5: deduce che l’Inps aveva disconosciuto la natura subordinata delle prestazioni lavorative da lei rese, ma non era in discussione che una prestazione di servizio fosse stata resa per tutto il periodo 2001-2005, com’era documentalmente provato (attestato del datore di lavoro, buste paga, registro d’impresa, CUD, retribuzioni mensili) e confermato dai testimoni escussi in primo grado; riguardando l’accertamento dell’Inps l’intero quinquennio (2001-2005) ed essendo stata per contro riconosciuta la veridicità e la non fittizietà del rapporto di lavoro agricolo per i quattro anni (2001-2004), si era verificato il giudicato sul riconoscimento dell’intero rapporto quinquennale; il verbale di accertamento del *****, in forza del quale l’Inps aveva provveduto alla cancellazione, costituiva nell’ambito del processo un fatto nuovo, non oggetto di esame in primo grado e contraddittoriamente valutato dal giudice dell’appello, in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) e di decisione in base alle prove offerte (artt. 115 – 116 c.p.c.).
Il ricorso è in parte infondato e in parte inammissibile.
Non è ravvisabile alcuna violazione del giudicato, essendosi in presenza di un’azione di accertamento del diritto della ricorrente, bracciante agricola, all’iscrizione nei relativi elenchi il quale, ai sensi del D.Lgs. 9 aprile 1946, n. 212, presuppone l’esistenza d’un rapporto di lavoro svolto annualmente in regime di subordinazione (Cass. 15/09/2017, n. 91514; Cass. 2/8/2012, n. 13877): l’annualità della iscrizione e dei relativi effetti comporta che, in presenza di contestazione da parte dell’Inps, il rapporto di lavoro per il periodo controverso deve essere oggetto di prova con onere gravante sulla lavoratrice; il riconoscimento del diritto per un anno – proprio per la natura temporanea del rapporto in esame – non può esplicare effetti vincolanti sugli anni successivi, potendosi atteggiare il rapporto di lavoro in termini diversi, di autonomia, anzichè di subordinazione, ed in mancanza di un diritto cosiddetto “stipite”.
Sotto un secondo profilo il motivo di ricorso è inammissibile: in tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorchè si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (da ultimo, Cass. 27/12/2016, n. 27000).
Tali circostanze non sono riscontrabili nella fattispecie in esame in cui la censura opera interamente sul piano dell’apprezzamento delle prove, insindacabile in sede di legittimità, e senza che sia riscontrabile alcuna violazione delle norme suindicate.
In realtà, attraverso la denuncia di violazione delle norme suindicate la parte intende ottenere una rivalutazione del materiale probatorio, non più riconducibile al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo vigente a seguito della sua riformulazione ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile ratione temporis nel presente giudizio, il quale si esaurisce, nell’interpretazione datane da questa Corte nella sentenza delle sezioni unite n. 8053/2014, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. 13/08/2018, n. 20721).
Inoltre, l’omesso esame di elementi istruttori (prova testimoniale, registro d’impresa, buste paga, riconoscimento da parte dell’Inps dell’indennità di disoccupazione agricola, erronea lettura del verbale di accertamento ispettivo dell'*****, assunto nel contraddittorio delle parti) non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass., SU, 7 aprile 2014, n. 8053/8054).
Contrariamente all’assunto della ricorrente, la corte territoriale ha dato conto delle risultanze istruttorie, e in particolare del verbale ispettivo del ***** da cui era emerso che il titolare dell’impresa agricola “Il Miracolo S.r.l.” non era stato in grado di fornire idonea documentazione relativa all’attività di impresa espletata, a fronte di un numero di giornate lavorative sproporzionato rispetto alla estensione dei fondi, al tipo di colture praticate, ai materiali acquistati; ha quindi preso in esame le prove testimoniali raccolte, ritenendo generiche o inattendibili le deposizioni testimoniali e palesandone le ragioni (lavoratori destinatari di analoghi provvedimenti di disconoscimento, il teste G. socio del titolare dell’azienda e compartecipe del meccanismo fraudolento evidenziato dagli accertamenti ispettivi), sicchè la motivazione è certamente esistente, non solo sotto il profilo grafico ma anche sotto quello della coerente esposizione dell’iter logico che ha condotto alla decisione.
Quanto alla censura riguardante la inammissibilità del verbale ispettivo del *****, in quanto “nuovo” e assunto al di fuori del contraddittorio tra le parti, essa si profila del tutto priva di specificità, a fronte dell’affermazione della corte territoriale secondo cui era “pacifico in giudizio, oltre che documentato in atti” che la cancellazione era venuta sulla base degli accertamenti ispettivi di cui al verbale di accertamento del *****, e la parte non indica gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione, precisando quando il documento sarebbe stato prodotto in giudizio, le sue eventuali eccezioni ed il loro tenore, precisazioni che appaiono vieppiù necessarie ove si consideri che, nel riportare i motivi di appello sottoposti alla corte di merito, la parte ricorrente si è esplicitamente riferita al verbale ispettivo dell'***** (pag. 6 e 7 del ricorso) così confermando che il documento era entrato nel dibattito processuale.
Il ricorso deve dunque essere rigettato e la parte condannata al pagamento delle spese del presente giudizio, nella misura liquidata in dispositivo. Non può infatti apprezzarsi la sussistenza delle condizioni per l’esonero dal pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., pure richiesto nella memoria e art. 380 bis c.p.c., in mancanza di una idonea dichiarazione sottoscritta dalla parte con l’espressa assunzione di responsabilità, non delegabile al difensore Cass. 10/11/2016, n. 22952; Cass. 15/01/2015, n. 545).
Poichè non risulta agli atti il provvedimento di ammissione della ricorrente al gratuito patrocinio, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello versato per il contributo unificato, a norma D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 1800,00 per compensi professionali e Euro 200 per esborsi, oltre al 15% di rimborso forfettario delle spese generali e agli altri accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 113 del 2002, art. 13, comma 1, quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 25 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018
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