Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26564 del 22/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8545/2016 proposto da:

IRETI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 7, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA BARBANTINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO SIBOLDI;

– ricorrente-

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S. (S.C.C.I.) S.p.A., *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMENAUELE DE ROSE;

– controricorrente –

ricorso successivo MEDITERRANEA DELLE ACQUE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 7, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA BARBANTINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO SINIBOLDI;

– ricorrente successivo –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S. (S.C.C.I.) S.p.A., *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE;

– controricorrente successivo –

avverso la sentenza n. 278/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 30/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO.

RILEVATO

che:

con sentenza depositata il 30 settembre 2015, la Corte d’appello di Genova ha rigettato gli appelli proposti da Iren Acqua Gas s.p.a. e da Mediterranea delle Acque S.p.A., riuniti i rispettivi ricorsi, contro le sentenze del Tribunale di Genova che avevano rigettato le opposizioni proposte da ciascuna società contro distinti avvisi di addebito aventi ad oggetto crediti dell’Inps per contribuzione dovuta a titolo di CIGS, CIGO e contribuzione di mobilità;

la Corte, a fondamento del decisum, e per quanto qui ancora di interesse, ha argomentato sulla base della natura delle società che, in quanto a capitale misto, non possono usufruire delle esenzioni contributive previste per le imprese industriali degli enti pubblici;

inoltre, ha ritenuto che le somme aggiuntive non potessero essere elise in ragione di un preteso contrasto interpretativo sul debito contributivo, rappresentando esse conseguenza automatica del mancato versamento dei contributi, sicchè non sussistevano i presupposti per l’applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 13, così come non poteva applicarsi il medesimo art., comma 13, non ravvisandosi “contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo”; infine, ha ritenuto che non potesse applicarsi il medesimo art. 116, comma 10, perchè la riduzione ivi prevista era condizionata al pagamento dei contributi nel termine fissato dagli enti impositori, condizione che nella specie non si era verificata;

contro la sentenza la Ireti s.p.a., così nuovamente denominata la società originata dalla fusione per incorporazione della Iren Acqua Gas S.p.A., propone ricorso per cassazione, cui resiste con controricorso l’Inps, anche per conto della società di cartolarizzazione dei crediti;

anche la Mediterranea delle Acque S.p.A., con successivo ricorso, chiede la cassazione della sentenza; resiste l’Inps con controricorso;

la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

CONSIDERATO

che:

preliminarmente, deve darsi atto che i due ricorsi, in quanto proposti contro la medesima sentenza, sono stati riuniti sotto un medesimo numero di ruoli) generale, al fine della loro trattazione congiunta ai sensi dell’art. 335 c.p.c.;

1. con il primo motivo entrambe le ricorrenti, denunciando la violazione di un complesso di norme (D.Lgs. CPS 12 agosto 1947, n. 869, art. 3, come successivamente modificato; L. n. 1115 del 1968, art. 2; L. n. 164 del 1975, art. 1; L. n. 223 del 1991, art. 16; art. 2093 c.c., L. n. 142 del 1990, art. 22, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), censurano la sentenza per avere ritenuto dovuti i contributi per CIGS e CIGO: rilevano che, in base al disposto della L. n. 448 del 2001, art. 35, gli enti locali, per la gestione di servizi, reti, impianti e beni, sono tenuti ad avvalersi di soggetti costituiti nella forma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati; sostengono che la partecipazione di soggetti pubblici al capitale sociale comporta che le società medesime debbano essere annoverate nell’ambito delle “imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate”, esonerate, in base al disposto del D.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3, dall’applicazione delle norme sull’integrazione dei guadagni degli operai dell’industria.

2. Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 14, si censura la decisione per avere affermato la sussistenza dell’obbligo al contributo di mobilità e si richiamano le stesse considerazioni già svolte nel primo motivo, considerata la natura della contribuzione, al cui pagamento sono tenute soltanto le aziende obbligate al versamento della contribuzione CIGO-C1GS.

3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, commi 10, 13 e 15, lett. a), nonchè gli artt. 1175, 1227 e 1375 c.c. e L. n. 241 del 1990, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e si rileva che sussistevano i presupposti per una riduzione delle somme aggiuntive, versandosi in una situazione di oggettiva incertezza connessa a contrastanti e sopravvenuti orientamenti giurisprudenziali e disposizioni normative in merito alla sussistenza dell’obbligazione contributiva, sicchè anche sotto il profilo della correttezza e buona fede sussisteva il diritto alla non applicazione o, comunque, alla riduzione delle sanzioni civili e degli interessi.

4. I primi due motivi sono manifestamente infondati.

E’ pacifico che entrambe le società ricorrenti siano società partecipate per una quota da soggetti pubblici. Si tratta pertanto di società a capitale misto.

Trova applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza ormai costante di questa Corte secondo cui, in tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali, sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico (cfr., ex. Aliis, 20 aprile 2016, n. 7981; Cass. 15 gennaio 2016, n. 600; Cass. 2 ottobre 2015, n. 19761; Cass. 29 agosto 2014, n. 18455; Cass. 10 dicembre 2013, n. 27513; Cass. 30 ottobre 2013, n. 24524; Cass. 11 settembre 2013, n. 20818; Cass. 10 marzo 2010, n. 5816; da ultimo, Cass. 4 aprile 2017, n. 8704; Cass. 25 settembre 2018, n. 22730).

Le argomentazioni della ricorrente ripropongono questioni già esaminate e disattese dai precedenti giurisprudenziali richiamati ai quali, pertanto, va data continuità.

4.1. L’orientamento non può dirsi contraddetto dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali per le ragioni già espresse in numerosi precedenti di questa Corte ai quali si rinvia (v. Cass. ord. 12 maggio 2016, n. 9816; Cass. 31 dicembre 2015, n. 26202; Cass., 29 dicembre 2015, n. 26016, Cass. n. 8704/2017, e, da ultimo, Cass. 15088/2017).

5. Il terzo motivo è manifestamente infondato. La Corte di merito ha escluso la riduzione delle somme aggiuntive in assenza del presupposto rappresentato da contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo.

5.1. La decisione in tema di sanzioni è conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (v., anche Cass. 5088 del 1995, e Cass. n. 16093 del 2014; da ultimo, Cass. n. 15088/2017, cit.).

La elisione delle somme aggiuntive ai sensi della L. cit., art. 116, comma 13, non può essere disposta in quanto esse rappresentano una conseguenza automatica del mancato versamento dei contributi. Ne consegue che – anche nel caso in cui l’omissione sia indotta da interpretazioni giurisprudenziali o amministrative più favorevoli allo stesso debitore – resta preclusa ogni indagine sull’elemento soggettivo del debitore della contribuzione al fine di escludere o ridurre l’obbligo (Cass. n. 16093/2014); neppure può operarsi la loro riduzione ai sensi dell’art. 116, comma 10, in mancanza dei “contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo”, stante la consolidata giurisprudenza di segno contrario rispetto alle posizioni della società; infine è inapplicabile il medesimo art. 116, comma 15, richiedendosi a tal fine l’integrale pagamento delle contribuzioni dovute, nel termine fissato dagli enti impositori, condizione che non risulta essersi verificata (Cass. 26/6/2017, n. 15897; Cass. 27/2/2018, n. 4560).

6. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato e le ricorrenti devono essere condannate al pagamento in favore dell’Inps controricorrente, anche nella qualità di procuratore speciale della SCC1, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato notificato in data successiva al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1.

PQM

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascuna delle ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 2.000,00 per compensi professionali e Euro 200 per esborsi, oltre al 15% di rimborso forfettario delle spese generali e altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

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