Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26568 del 22/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9876/2016 proposto da:

IREN MERCATO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 7, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA BARBANTINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO SIBOLDI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S. (S.C.C.I.) S.p.A., *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 288/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 12/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO.

RILEVATO

che:

1. con sentenza depositata il 12 ottobre 2015, la Corte d’appello di Genova ha rigettato l’appello proposto da Iren Mercato s.p.a. contro la sentenza del tribunale che aveva rigettato l’opposizione proposta dalla società contro un avviso di addebito avente ad oggetto crediti dell’Inps per contributi dovuti a titolo di CIGS, CIGO e mobilità;

1.2. la Corte, a fondamento del decisum, ha argomentato sulla base della natura della società, che in quanto a capitale misto, non può usufruire delle esenzioni contributive previste per le imprese industriali degli enti pubblici;

1.3. ha ritenuto che le somme aggiuntive non potessero essere elise in ragione di un preteso contrasto interpretativo sul debito contributivo, rappresentando esse conseguenza automatica del mancato versamento dei contributi, sicchè non sussistevano i presupposti per l’applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 13, così come non sussistevano i presupposti per l’applicazione della norma cit., comma 10, perchè la riduzione è in tal caso condizionata al pagamento dei contributi nel termine fissato dagli enti impositori, condizione non verificatasi nella specie;

1.4. non poteva applicarsi il medesimo art., comma 15, non sussistendo i contrasti interpretativi richiesti, e non essendo stata soddisfatta la condizione prevista nella norma citata, ovvero l’integrale versamento dei contributi nei termini fissati dall’ente impositore;

1.5. infine ha escluso l’applicabilità dello sgravio previsto dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 67, per l’incentivazione alla contrattazione collettiva di secondo livello, in mancanza della regolarità contributiva relativa al periodo a cui si riferiva l’addebito;

1.6. contro la sentenza la società propone ricorso per cassazione, sostenuto da quattro motivi, cui resiste con controricorso l’Inps, anche per conto della società di cartolarizzazione dei crediti;

1.7. la proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c. stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo la ricorrente, denunciando la violazione di un complesso di norme (D.Lgs.C.P.S. 12 agosto 1947, n. 869, art. 3, come successivamente modificato; L. n. 1115 del 1968, art. 2; L. n. 164 del 1975, art. 1; L. n. 293 del 1991, art. 16; art. 2093 c.c., L. n. 142 del 1990, art. 22, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), censura la sentenza per avere ritenuto dovuti i contributi per CIGS e CIGO: rileva che, in base al disposto della L. n. 448 del 2001, art. 35, gli enti locali, per la gestione di servizi, reti, impianti e beni, sono tenuti ad avvalersi di soggetti costituiti nella torma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati; sostiene che la partecipazione di soggetti pubblici al capitale socialè comporta che le società medesime debbano essere annoverate nell’ambito delle “imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate”, esonerate, in base al disposto del D.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3,dall’applicazione delle norme sull’integrazione dei guadagni degli operai dell’industria.

1.1. Deduce altresì che tale interpretazione è confortata dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, il quale dispone che la disciplina delle integrazioni salariali ordinarie e dei relativi contributi si applichi anche alle “imprese industriali degli enti pubblici, salvo il caso in cui il capitale sia interamente di proprietà pubblica” (art. 10, comma 1, lett. l); inoltre, il D.Lgs. cit., art. 46, contempla tra le abrogazioni espresse il D.Lgs.C.P.S. dello Stato 12 agosto 1947, n. 869, (comma 1, lett. b), e dispone altresì l’abrogazione di ogni altra disposizione contraria o incompatibile con il decreto.

Assume la parte ricorrente che, in base ad una interpretazione complessiva delle norme, l’art. 10 avrebbe disposto solo per l’avvenire, a far tempo dalla sua entrata in vigore (24 settembre 2015).

2. Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 14, si censura la decisione per avere affermato la sussistenza dell’obbligo al contributo di mobilità e si richiamano le stesse considerazioni già svolte nel primo motivo, considerata la natura della contribuzione, al cui pagamento sono tenute soltanto le aziende obbligate al versamento della contribuzione CIGO-CIGS.

3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, commi 10 e 13 e comma 15, lett. a), nonchè degli artt. 1175,1227 e 1375 c.c. e L. n. 241 del 1990, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e si rileva che sussistevano i presupposti per una riduzione delle sanzioni o delle somme aggiuntive, versandosi in una situazione di oggettiva incertezza connessa a contrastanti e sopravvenuti orientamenti giurisprudenziali e disposizioni normative, sicchè anche sotto il profilo della correttezza e buona fede sussisteva il suo diritto alla non applicazione delle sanzioni civili e degli interessi.

4. Con il quarto motivo, si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 1175, nonchè del D.M. 24 ottobre 2007, art. 8, dolendosi la parte che le sue domanda di sgravio per l’incentivazione della contrattazione di secondo livello per gli anni 2010 e 2011 non erano state prese in considerazione dalla Corte d’appello di Genova, nonostante fossero state accettate dall’Inps che, però, non aveva poi proceduto allo sgravio; rileva al riguardo di aver diritto all’agevolazione contributiva del 50% dei contributi a suo carico per l’assunzione a tempo determinato di una lavoratrice, come risultante dalle note di rettifica e dai D.M. 10 del periodo in questione, nonchè dal prospetto prodotto unitamente al ricorso di primo grado. La tesi della Corte secondo cui non sussisterebbe il suo diritto allo sgravio per il mancato possesso del documento unico di regolarità contributiva era erronea, perchè non sussistevano cause ostative al rilascio del detto documento.

5. I primi due motivi sono manifestamente infondati.

E’ pacifico che la società ricorrente sia una società partecipata per una quota da soggetti pubblici. Si tratta pertanto di società a capitale misto. Trova applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza ormai costante di questa Corte secondo cui, in tema di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali, sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico (cfr., ex Cass. 20 aprile 2016, n. 7981; Cass. 15 gennaio 2016, n. 600; Cass. 2 ottobre 2015, n. 19761; Cass. 29 agosto 2014, n. 18455; Cass. 30 ottobre 2013, n. 24524; Cass. 10 dicembre 2013, n. 27513; Cass. 11 settembre 2013, n. 2081; Cass. 10 marzo 2010, n. 5816;; Cass. 4 aprile 2017, n. 8704 e Cass. 25/9/2018, n. 22730).

Le argomentazioni della ricorrente ripropongono questioni già esaminate e disattese dai precedenti giurisprudenziali richiamati ai quali, pertanto, va data continuità.

5.1. L’orientamento non può dirsi contraddetto dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali che aveva abrogato il D.L.C.P.S. 12 agosto 1947, n. 869, art. 3, alla luce dei precedenti di questa Corte (v. Cass. ord. 12 maggio 2016, n. 9816; Cass. 31 dicembre 2015, n. 26202; Cass., 29 dicembre 2015, n. 26016, e numerose altre, cui adde da ultimo, Cass. n. 22730/2018, cit.).

6. Il terzo motivo è manifestamente infondato. La Corte di merito ha escluso la riduzione delle sanzioni sulla base dei disposti dalla L. n. 388 del 2000, art. 116, commi 10 e 15, in assenza del presupposto rappresentato da contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali O determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo.

6.1. La decisione in tema di sanzioni è conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (v., anche Cass. 5088 del 1995, e Cass. n. 16093 del 2014; da ultimo, Cass. n. 15088/2017, cit.).

La riduzione delle sanzioni non può farsi discendere dall’art. 116, comma 10, in mancanza dei “contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo”, stante la consolidata giurisprudenza di segno contrario rispetto alle posizioni della società, e neppure dal medesimo art. 116, comma 15, richiedendosi a tal fine l’integrale pagamento delle contribuzioni dovute, nel termine fissato dagli enti impositori, condizione che come accertato dalla Corte territoriale non si è verificata (Cass. 26/6/2017, n. 15897; Cass. 27/2/2018, n. 4560).

7. Anche il quarto motivo è manifestamente infondato, oltre a evidenziare profili di inammissibilità, dal momento che la parte non trascrive neppure per stralcio la domanda di sgravio e i documenti che indica sostegno del motivo di ricorso (note di rettifica, D.M. 10, prospetto riassuntivo), così violando il disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, che impone la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti sui quali il ricorso si fonda, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione.

7.1. Il motivo è altresì infondato perchè la situazione di irregolarità contributiva è stata ormai accertata dalla Corte d’appello, che statuendo sulla sussistenza dell’obbligazione contributiva a carico della società, ha attestato in modo definitivo che la stessa versava nella situazione di irregolarità contributiva ostativa, ai sensi della L. n. 296 del 2016, art. 1, comma 1175, al riconoscimento del diritto allo sgravio preteso. lauto in ragione del carattere premiale della normativa sugli sgravi contributivi, non rilevando in proposito il riconoscimento in sede amministrativa del Documento Unico di Regolarità Contributiva, attese le peculiari funzioni e finalità cui lo stesso si riconnette (Cass. 23 giugno 2017, n. 15818).

Le censure svolte con i motivi in esame, in quanto espressamente ancorate al presupposto del carattere non definitivo della irregolarità contributiva, risultano quindi superate dal rigetto dei primi due motivi di ricorso (in tal senso Cass. 12 maggio 2016, n. 9816; v. pure Cass. n. 2730/2018, cit.);

8. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento in favore dell’Inps controricorrente, anche nella qualità di procuratore speciale della SCCI, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo in ragione del valore della controversia.

Poichè il ricorso e stato notificato in data successiva al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 6.000,00 per compensi professionali e Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% di rimborso forfettari delle spese generali e altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

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