Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26571 del 22/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10650/2016 proposto da:

MEDITERRANEA DELLE ACQUE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 7, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA BARBANTINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO SIBOLDI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S (S.C.C.I.) S.p.A, *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE;

– controricorrente –

sul ricorso 10658/-2016 proposto da:

LABORATORI IREN ACQUA GAS spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO 7, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA BARBANTINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO SIBOLDI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S.- ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale procuratore speciale della SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S. (S.C.C.I.) S.p.A., *****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA D’ALOISIO, ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 305/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 19/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO.

RILEVATO

che:

1. con sentenza pubblicata il giorno 19/1/2015, la Corte d’appello di Genova ha rigettato gli appelli proposti da Mediterranea delle Acque s.p.a. e da Laboratorio Iren Acqua Gas s.p.a. contro due sentenze del tribunale che avevano accolto solo in parte le opposizioni proposte dalle società contro due avvisi di addebito aventi ad oggetto crediti dell’Inps per contribuzione dovuta a titolo di CIGS, CIGO e mobilità;

1.1. la Corte, a fondamento del decisum, ha argomentato sulla base della natura delle società, che in quanto a capitale misto, non possono usufruire delle esenzioni contributive previste per le imprese industriali degli enti pubblici;

1.2. inoltre, ha rigettato il motivo di gravame avente ad oggetto la misura delle sanzioni civili, ritenendo insussistenti i presupposti per usufruire della loro riduzione, in particolare rimarcando l’irrilevanza dello stato soggettivo del debitore in merito alla debenza della contribuzione, a nulla rilevando che l’omissione contributiva fosse stata indotta da interpretazioni giurisprudenziali o amministrative più favorevoli allo stesso debitore; ha altresì escluso l’applicabilità della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 10, pur essendo intervenuto il pagamento dei contributi in questione, ritenendo insussistenti i contrastanti o sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali, laddove la riduzione prevista dall’art. cit., comma 15, lett. a), supponeva un provvedimento di competenza dei consigli di amministrazione degli enti impositori, i quali agiscono sulla base di direttive impartite in sede ministeriale, nella specie non intervenuto.

1.3. Contro la sentenza le due società hanno proposto separati ricorsi per cassazione, iscritto il primo, della Mediterranea delle acque S.p.A, al n. di R.G. 10650/2016, e il secondo, della Laboratori Iren Acqua Gas S.p.A., al n. di R.G. 10658/2016, ai quali ha resistito con separati controricorsi l’Inps, anche per conto della società di cartolarizzazione dei crediti.

1.4. La proposta del relatore art. 380 bis c.p.c. è stata comunicata alle parti, unicamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata.

CONSIDERATO

che:

1. preliminarmente deve disporsi la riunione dei due ricorsi, entrambi chiamati all’odierna adunanza camerale, trattandosi di impugnazioni contro la stessa sentenza ex art. 335 c.p.c..

1.1. Con il primo motivo, le società ricorrenti, denunciando la violazione di un complesso di norme (D.Lgs.C.P.S. 12 agosto 1947, n. 869, art. 3, come successivamente modificato; L. n. 1115 del 1968, art. 2; L. n. 164 del 1975, art. 1; L. n. 223 del 1991, art. 16; art. 2093 c.c., L. n. 142 del 1990, art. 22), censurano la sentenza per avere ritenuto dovuti i contributi per CIGS e CIGO: rilevano che, in base al disposto della L. n. 448 del 2001, art. 35, gli enti locali, per la gestione di servizi, reti, impianti e beni, sono tenuti ad avvalersi di soggetti costituiti nella forma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli enti locali, anche associati; sostengono che la partecipazione di soggetti pubblici al capitale sociale comporta che le società medesime debbano essere annoverate nell’ambito delle “imprese industriali degli enti pubblici, anche se municipalizzate”, esonerate, in base al disposto del D.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3,dall’applicazione delle norme sull’integrazione dei guadagni degli operai dell’industria.

1.2. Deduce altresì parte ricorrente che tale interpretazione confortata dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, il quale dispone che la disciplina delle integrazioni salariali ordinarie e dei relativi contributi si applica anche alle “imprese industriali degli enti pubblici, salvo il caso in cui il capitale sia interamente di proprietà pubblica” (art. 10, comma 1, lett. l); inoltre, il D.Lgs. cit., art. 46, contempla tra le abrogazioni espresse il D.Lgs.C.P.S. 12 agosto 1947, n. 869, (comma 1, lett. b) e dispone altresì l’abrogazione di ogni altra disposizione contraria o incompatibile con il decreto.

Assume la parte ricorrente che la norma dell’art. 10 avrebbe disposto solo per l’avvenire, nel senso che solo a far tempo dalla sua entrata in vigore (24 settembre 2015) può dirsi sorto l’obbligo contributivo per la cassa integrazione ordinaria per le imprese industriali degli enti pubblici il cui capitale non sia interamente di proprietà pubblica.

2. Con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 14, si censura la decisione per avere affermato la sussistenza dell’obbligo al pagamento del contributo di mobilità e si richiamano le stesse considerazioni già svolte nel primo motivo, considerata la natura della contribuzione, al cui pagamento sono tenute soltanto le aziende obbligate al versamento della contribuzione CIGO-CIGS.

3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, commi 10, 13 e 15, lett. a), nonchè gli artt. 1175, 1227 e 1375 c.c. e L. n. 241 del 1990, art. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e si osserva che sussistevano i presupposti per una riduzione delle sanzioni o delle somme aggiuntive, versandosi in una situazione di oggettiva incertezza connessa a contrastanti e sopravvenuti orientamenti giurisprudenziali, sicchè anche sotto il profilo della correttezza e buona fede sussisteva il diritto alla non applicazione delle sanzioni civili e degli interessi. Si deduce altresì che vi era stato l’integrale pagamento degli importi di cui all’avviso di addebito, ed si insiste perchè non siano applicate le sanzioni civili e gli interessi, oppure che le stesse siano ridotte alla misura degli interessi legali o comunque applicate nella misura di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 10.

4. I primi due motivi sono manifestamente infondati.

E’ pacifico che le società ricorrenti siano società partecipate per una quota da soggetti pubblici. Si tratta pertanto di società a capitale misto. Trova applicazione il principio affermato dalla giurisprudenza ormai costante di questa Corte secondo cui, in tenia di contribuzione previdenziale, le società a capitale misto, ed in particolare le società per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attività industriali, sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per la cassa integrazione guadagni e la mobilità, non potendo trovare applicazione l’esenzione stabilita per le imprese industriali degli enti pubblici, trattandosi di società di natura essenzialmente privata, finalizzate all’erogazione di servizi al pubblico in regime di concorrenza, nelle quali l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato, e restando irrilevante, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, la mera partecipazione – pur maggioritaria, ma non totalitaria – da parte dell’ente pubblico (cfr., ex aliis, Cass. 20 aprile 2016, n. 7981; Cass. 2 ottobre 2015, n. 19761; Cass. 29 agosto 2014, n. 18455; Cass. 30 ottobre 2013, n. 24524; Cass. 10 dicembre 2013, n. 27513; Cass. 11 settembre 2013, n. 20818; Cass. 10 marzo 2010, n. 5816; da ultimo,; Cass. 15 gennaio 2016, n. 600, Cass. 4 aprile 2017, n. 8704 e Cass. 25 settembre 2018, n. 22730).

Le argomentazioni della ricorrente ripropongono questioni già esaminate e disattese dai precedenti giurisprudenziali richiamati ai quali pertanto, va data continuità.

4.1. L’orientamento non può dirsi contraddetto dal D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 148, recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali Che aveva abrogato il D.L.C.P.S. 12 agosto 1947, n. 869, art. 3, alla luce dei precedenti di questa Corte (v. Cass. ord. 12 maggio 2016, n. 9816; Cass. 31 dicembre 7015, n. 26202; Cass., 79 dicembre 2015, n. 26016, e numerose altre, cui adde Cass. n. 22720/2018), in cui si è affermato, con motivazione che qui si richiama in quanto interamente condivisa, che dall’art. 10, su cit. e dal D.Lgs. cit., art. 20, non può affatto desumersi che, in precedenza, le società a capitale misto non fossero esonerate dalla contribuzione per cassa integrazione ordinaria e straordinaria, avendo la norma natura ricognitiva e di sistemazione della materia, non già un valore innovativo; a ciao deve aggiungersi che con la L. 29 dicembre 2015, n. 208, il legislatore, intervenendo proprio sull’art. 46, ha previsto che l’abrogazione (già disposta alla lett. b) non opera con riguardo al D.Lgs.C.P.S. n. 869 del 1947, art. 3, con ciò ripristinando la norma medesimi (in tal senso Cass. n. 8704/2017).

Ne discende che dagli interventi legislativi del 2015 non possono trarsi elementi che inducano ad un ripensamento della consolidata giurisprudenza di questa Corte in tenia di obbligo contributivo per cassa integrazione guadagli ordinaria e straordinaria delle società il cui capitale sia parzialmente detenuto da un soggetto pubblico (da ultimo, Cass. 15088/2017e Cass. n. 22730/2018).

5. Il terzo motivo è manifestamente infondato. La Corte di merito ha escluso la riduzione delle sanzioni sulla base del disposto della L. cit., art. 116, commi 10 e 15, in assenza del presupposto rappresentato da contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo.

5.1. La decisione in tema di sanzioni è conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale. non è consentita alcuna indagine sull’elemento soggettivo del debitore della contribuzione al fine dell’esclusione o della riduzione di tale obbligo, neanche ove l’omissione sia indotta da interpretazioni giurisprudenziali o amministrative più favorevoli allo stesso debitore (v., anche Cass. 5088 del 1995, e Cass. n. 16093 del 2014; da ultimo, Cass. n. 15088/2017, cit.) 5.2. Deve aggiungersi che la riduzione delle sanzioni non può farsi discendere dal medesimo art. 116, comma 10, in mancanza dei “contrastanti ovvero sopravvenuti diversi orientamenti giurisprudenziali o determinazioni amministrative sulla ricorrenza dell’obbligo contributivo”, stante la consolidata giurisprudenza di segno contrario rispetto alle posizioni della società, e neppure dal medesimo art. 116, comma 15, richiedendosi a tal fine un provvedimento di competenza del consiglio di amministrazione dell’ente impositore, sulla base di direttive impartite in sede ministeriale (Cass. 26/6/2017, n. 15897; Cass. 27/2/2018, n. 4560).

6. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato e ciascuna delle ricorrenti deve essere condannata al pagamento in favore dell’Inps, anche nella qualità di procuratore speciale della SCCI, delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo in ragione del valore della controversia.

Poichè il ricorso è stato notificato in data successiva al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e condanna ciascuna delle ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 7000,00 per compensi professionali e Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% di rimborso fortettario delle spese generali e altri accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

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