Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26578 del 22/10/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24264/2016 proposto da:

M.D., D.A.C., nella qualità di eredi di MA.PE.SE., elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato TINA CHIARELLI;

– ricorrenti –

contro

CEP SPA CONSORZIO ENTI PUBBLICI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2894/2/16 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA, depositata il 12/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 12/09/2018 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197/2016, osserva quanto segue;

Con sentenza n. 2894/02/2016, depositata il 12 maggio 2016, non notificata, la CTR del Lazio respinse l’appello proposto dal sig. MA.PE.SE. nei confronti di C.E.P. (Consorzio enti pubblici) S.p.A., concessionario della riscossione per il Comune di Gallicano nel Lazio, nonchè nei confronti del Comune medesimo, avverso la sentenza di primo grado della CTP di Roma, che aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso avviso di accertamento ICI relativo all’anno 2008 per area fabbricabile.

Avverso la sentenza della CTR la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

La società intimata non ha svolto difese.

1. Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2 e del D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248 del 2006, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la decisione impugnata ha affermato la natura edificabile dell’area in oggetto sulla base di variante al P.R.G. del Comune di Gallicano nel Lazio adottata dal Consiglio Comunale con Delib. n. 25 del 2002, sebbene l’approvazione della relativa Delibera da parte della Regione Lazio fosse avvenuta solo nel 2011.

2. Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, quanto all’omessa allegazione della delibera di giunta, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato il valore venale in comune commercio sulla base di delibera comunale che fondava la relativa valutazione su perizia tecnico estimativa redatta dall’arch. P., in quanto non contenente alcuna specifica valutazione del bene di proprietà della contribuente.

3. Con il terzo motivo le ricorrenti lamentano infine “Error in procedendo in relazione all’art. 112 c.p.c.: omessa pronuncia su uno dei motivi di ricorso di primo e secondo grado. Contrasto di giudicati”, dolendosi del fatto che, sebbene fossero state indicate pronunce favorevoli alla parte contribuente tanto da parte della Commissione provinciale quanto alla Commissione Regionale riguardo a controversie tra le parti del tutto analoghe, riferite a diverse annualità d’imposta, nulla ha osservato al riguardo la sentenza impugnata, incorrendo tanto nel vizio di omessa pronuncia quanto determinando un contrasto di giudicati.

4. Preliminarmente va dato atto che il ricorso è stato indirizzato nei confronti del solo concessionario per l’accertamento e la riscossione dei tributi del Comune di Gallicano e non anche nei confronti di quest’ultimo, quale ente impositore e già parte in ciascun grado del giudizio di merito.

Tuttavia, poichè, alla stregua delle osservazioni di seguito esposte, il ricorso si palesa come manifestamente infondato, può evitarsi, in guanto non essenziale, la formalità relativa all’integrazione del contraddittorio nei confronti del suddetto Comune, in ragione dell’osservanza del principio della ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost. (cfr., tra le molte, Cass. sez. unite ord. 22 marzo 2010, n. 6826; Cass. sez., 10 maggio 2018, n. 11287).

5. Il primo motivo è inammissibile in relazione al disposto dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1 (cfr. Cass. sez. unite 21 marzo 2017, n. 7155), avendo la decisione impugnata giudicato in conformità al principio di diritto secondo cui l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicazione del criterio di determinazione della base imponibile, fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita dal piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione di esso da parte della Regione e dell’adozione di strumenti urbanistici attuativi, affermato dalla Sezioni Unite di questa Corte 30 novembre 2006, n. 25506, anche alla stregua della succitata norma d’interpretazione autentica; principio, giova qui ricordare, costantemente ribadito dalla successiva giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra le altre, Cass. sez. 5, 27 luglio 2007, n. 16174; Cass. sez. 5, 16 novembre 2012, n. 20137; Cass. sez. 5, 5 marzo 2014, n. 5161; Cass. sez. 5, 27 febbraio 2015, n. 4091), in un quadro di riferimento segnato anche da pronuncia della Corte costituzionale (ord. 27 febbraio 2008, n. 41), che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della succitata norma d’interpretazione autentica.

Nè le ricorrenti hanno addotto argomenti idonei a giustificare un mutamento d’indirizzo interpretativo al riguardo.

6. Il secondo motivo è in parte manifestamente infondato, in parte inammissibile.

6.1. Risulta infondato con riferimento al denunciato vizio di violazione o falsa applicazione di diritto.

Questa Corte, in relazione a contenzioso analogo riferito allo stesso ente impositore, ebbe già ad osservare, con riferimento ad avviso di accertamento del tutto sovrapponibile a quello oggetto d’impugnazione davanti al giudice tributario nel giudizio ancora qui pendente tra le parti, che – essendo incontestato tra le parti, così come nel presente giudizio, che l’avviso di accertamento impugnato contenesse il puntuale riferimento alla delibera comunale di determinazione dei valori per aree omogenee e che a sua volta quest’ultima avesse recepito la stima operata da perizia demandata dal comune medesimo all’arch. P., il cui contenuto parte contribuente è stata posta in condizione di conoscere – deve ritenersi che l’avviso di accertamento contenga i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo giustificano, al fine di porre il contribuente in condizione di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale e, in caso positivo, di contestare efficacemente l’an ed il quantum debeatur (cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 24 luglio 2014, n. 16836). Ciò è sufficiente ad integrare le condizioni di legittimità dell’atto in relazione all’osservanza dell’obbligo di motivazione, ed a consentire, quindi, la puntuale delimitazione del thema decidendum quanto alla pretesa impositiva dell’Amministrazione.

6.2. Quanto alla pretesa violazione del riparto dell’onere della prova sul valore dell’area, il motivo è inammissibile, non tenendo conto la censura della giurisprudenza di questa Corte in materia, secondo cui la delibera comunale di determinazione del valore per aree omogenee, tra le quali è compresa quella oggetto di accertamento, ha valore presuntivo sulla corrispondenza al valore venale in comune commercio dell’area con riferimento all’anno d’imposizione, spettando al contribuente superare detta presunzione, dimostrandone in concreto il minor valore rispetto a quello assunto come base imponibile dell’ICI dovuta per l’anno di riferimento (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 5 luglio 2017, n. 16620; Cass. sez. 5, 30 giugno 2010, n. 15555).

7. Il terzo motivo, a prescindere anche dall’evidente carenza di autosufficienza nella parte in cui, in relazione al denunciato vizio di omessa pronuncia, omette di riportare il contenuto del relativo motivo d’impugnazione avverso l’atto impositivo, che, secondo le ricorrenti, sarebbe stato reiterato come motivo di appello (cfr. Cass. sez. 2, 20 agosto 2015, n. 17049; Cass. sez. lav. 17 agosto 2012, n. 14651), risulta in ogni caso manifestamente infondato, atteso che per nessuna delle annualità pregresse per le quali il dante causa delle odierne ricorrenti aveva ottenuto pronunce favorevoli da parte del giudice di merito, tanto in primo grado quanto in appello, le ricorrenti hanno comprovato l’intervenuto passaggio in giudicato delle medesime, non avendo prodotto la relativa attestazione (cfr. Cass. sez. lav. ord. 29 novembre 2017, n. 28515).

8. Il ricorso va pertanto rigettato.

9. Nulla va statuito in ordine alle spese di lite, non avendo la società intimata svolto difese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472