LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – rel. Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20187/2017 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
C.E.L.;
– Intimata –
avverso la sentenza n. 2559/2/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di PALERMO SEZIONE DISTACCATA di MESSINA, depositata il 05/08/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26/09/2018 dal Consigliere Dott. MARIA ENZA LA TORRE.
RITENUTO
che:
Con ricorso del 28 luglio 2017 l’Agenzia delle entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR della Sicilia, n. 2889/2/2016, dep. il 5/8/2016, che in relazione a impugnazione da parte di C.E.L., titolare della omonima ditta individuale, di avviso di accertamento analitico induttivo per Irpef, Irap, Iva, anno 2003 – col quale a seguito di verifica fiscale era stato rettificato, D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, il reddito d’impresa – ha accolto l’appello della contribuente. La CTR ha in particolare rilevato che non era stato indicato a quale tipologia dell’art. 39 cit. fosse riferibile l’accertamento, e che la percentuale di ricarico era stata erroneamente calcolata (sulla base del prezzo medio desunto solo su pochi prodotti, con una media di dodici fatture di acquisto), in modo da non riflettere “in modo puntuale la realtà economica dell’esercizio commerciale sito in *****”; ciò anche tenuto conto che i prezzi ricavati dai cartellini di vendita erano riferiti ad anno diverso (2004).
La contribuente è rimasta intimata.
CONSIDERATO
che:
1. Con l’unico motivo si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), ex art. 360 c.p.c., n. 3, essendo agevole collegare l’accertamento all’ipotesi di cui al comma 1, lett. d), ed essendo sufficiente a fondare la presunzione di maggior reddito anche un solo elemento, purchè preciso e grave, spettando peraltro al contribuente provare di aver venduto a prezzi inferiori.
2. Va premesso, in relazione alla mancata indicazione nell’accertamento della specifica fattispecie di cui al D.P.R. n . 600 del 73, art. 39, che essa non incide sulla sua legittimità, confermando la giurisprudenza che ha ritenuto sufficiente che l’atto impositivo assolva a determinati requisiti motivazionali, senza per questo dover espressamente enunciare la norma di riferimento o il metodo applicato (v. Cass. n. 4851/15). Per il resto il motivo (a parte i profili di inammissibilià, incidendo su questione di fatto congruamente motivata e in assenza di puntuali contestazioni) è infondato nei termini di cui in prosieguo.
La giurisprudenza è consolidata nel ritenere, in materia di determinazione della percentuale di ricarico dei prezzi di vendita, che il controllo di logicità sulla scelta ed applicazione del criterio di calcolo per il ricarico si estende anche alla congruità del campione selezionato per la comparazione tra i prezzi di rivendita e di acquisto, dovendo comprendere un “gruppo significativo, per qualità e quantità dei beni” oggetto dell’attività d’impresa, anche senza estendersi necessariamente alla totalità dei beni (cfr. Cass. 13816/2003, conf. n. 16499 del 19/07/2006, per cui la “insufficienza o inadeguatezza del campione” è oggetto di sindacato da parte del giudice del merito che può determinare una riduzione del reddito accertato induttivamente dall’Ufficio).
In sostanza, il riscontro di incongrue percentuali di ricarico sulla merce venduta costituisce – sia in tema di imposte dirette (v. Cass. 7871/12, 7653/12, 13319/11), sia in tema di IVA (v. Cass. 26177/11 e 26312/09) – costituisce legittimo presupposto dell’accertamento induttivo, purchè la determinazione della percentuale di ricarico sia coerente con la natura e le caratteristiche dei beni venduti, sicchè, qualora il contribuente, in sede di giudizio, contesti il criterio di determinazione della percentuale di ricarico, il giudice di merito è tenuto a verificare la scelta dell’Amministrazione in relazione alle critiche proposte, alla luce dei canoni di coerenza logica e di congruità, tenuto conto della natura, omogenea o disomogenea, dei beni-merce nonchè della rilevanza dei campioni selezionati, e la loro rispondenza al criterio di media (aritmetica o ponderale) prescelto (Cass. 673/2015, v. anche n. 30276/2017).
Nella specie, i giudici d’appello, hanno ritenuto insufficiente il campione rappresentativo di merci (“desunto solo da pochi tra i tanti prodotti venduti”) e la percentuale di ricarico prescelta ed estesa al totale delle merci, riferita anche la specifica realtà economica dell’esercizio commerciale, con motivazione pertanto congrua, sufficiente ed esente da vizi.
Il ricorso va pertanto rigettato. Nulla sulle spese in mancanza di costituzione dell’intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 26 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018