LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24611/2014 proposto da:
M.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51, presso lo studio dell’avvocato NICOLA MAROTTA, rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO FALZEA;
– ricorrente –
contro
C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 53, presso lo studio dell’avvocato CARMELA GIUFFRIDA, rappresentata e difesa dall’avvocato MANUELA MINCIULLO;
– controricorrente –
e contro
CO.GR., A.E., I.M., R.D., RA.GI., I.P., M.A., S.A., P.R., MI.GR., M.N., M.M., ME.LI.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 251/2011 del TRIBUNALE di PATTI, depositata il 25/10/2011;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/04/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.
PREMESSO che:
C.P. e CO.GR., in qualità di proprietaria e usufruttuaria di un fondo che asserivano essere intercluso, proponevano domanda di costituzione di servitù di passaggio coattivo attraverso il fondo dei convenuti. I convenuti si costituivano e, eccepita la mancata integrità del contraddittorio (non essendo stata chiamata in giudizio l’usufruttuaria del preteso fondo servente), chiedevano il rigetto della domanda, asserendo di avere già proposto alle attrici un percorso di accesso al fondo, da esse rifiutato. Integrato il contraddittorio, espletata una consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale di Patti, con sentenza 25 ottobre 2011, n. 251, ha accolto la domanda delle attrici. Il Tribunale, sulla scorta della relazione del consulente d’ufficio, ha accertato la sussistenza di uno stato di oggettiva interclusione del fondo di parte attrice e, in ordine alle concrete modalità di esercizio della servitù, ha ritenuto quale percorso più idoneo quello proposto e individuato come tracciato n. 3 dalla relazione di consulenza tecnica e ha così costituito giudizialmente la servitù di passaggio pedonale e veicolare lungo il tracciato n. 3.
La sentenza è stata appellata da M.L., intervenuta nel giudizio di primo grado quale acquirente del fondo servente. La Corte d’appello di Messina, con ordinanza depositata il 1 luglio 2014, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c..
M.L. ricorre per cassazione, ex art. 348-ter c.p.c., avverso la sentenza del Tribunale di Patti.
Resiste con controricorso C.P., eccependo l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso.
Gli intimati indicati in epigrafe non hanno proposto difese.
La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis 1 c.p.c..
CONSIDERATO
che:
1. Il ricorso di cui va affermata l’ammissibilità, è articolato in due motivi.
a) Il primo motivo fa valere “violazione o falsa o errata applicazione dell’art. 1051 c.c., con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, con particolare riguardo “in punto di sussistenza del giustificato motivo oggettivo””: il Tribunale, dopo aver correttamente individuato, alla stregua dei criteri enunciati dall’art. 1051 c.c., i criteri da seguire per la costituzione della servitù, ha poi tali criteri violato nel costituire la servitù di passaggio sul tracciato n. 3, invece che sul tracciato n. 2, suggerito dalla ricorrente, con motivazione errata e contraddittoria.
Il motivo non può essere accolto. Il Tribunale, premessi i criteri enunciati dall’art. 1051 c.c., comma 2, ha ritenuto che il tracciato n. 2, proposto dai convenuti, risultava sì meno gravoso per il fondo servente della ricorrente, ma richiedeva interventi comportando spese notevolmente superiori rispetto a quelle previste per il tracciato n. 3 ed esigeva un sacrificio (in termini di sottrazione di una parte del terreno e di interventi su un bene immobile) per il proprietario di una particella che sì non era presente in giudizio, ma i cui interessi dovevano comunque essere considerati nel valutare quale fosse il percorso che meglio contemperi i contrapposti interessi. Il Tribunale, quindi, ha correttamente applicato i criteri di cui all’art. 1051 c.c., con motivazione ampia e coerente, non discostandosi dagli orientamenti espressi in materia da questa Corte di legittimità (in particolare ha seguito l’orientamento per cui la servitù deve costituirsi, da un lato, in modo che ne risulti garantita la libera esplicazione per l’utilità e la comodità del fondo dominante e, dall’altro, in modo che la condizione dei fondi serventi sia aggravata nel minor grado possibile e questo “anche quando una delle soluzioni, in ipotesi, più conveniente riguardi un proprietario di fondo non parte in causa, senza che, nella specie, sia necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti di lui”, così Cass. 10045/2008).
b) Il secondo motivo contesta violazione o errata applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, con particolare riguardo “in punto di sussistenza del giustificato motivo oggettivo””: il Tribunale, “con decisione in parte poco chiara e in parte errata”, ha posto le spese a carico delle controparti costituite e quindi anche a carico della ricorrente, “che non si è opposta alla costituzione della servitù, ma si è opposta fermamente a che la stessa venisse costituita sul tracciato n. 1 e sul tracciato n. 3”, quando invece le spese andavano poste a carico delle attrici o al massimo compensate.
Il motivo non può essere accolto. La ricorrente non è risultata interamente vittoriosa in primo grado – che altrimenti sarebbe stata priva di interesse a proporre il primo motivo di ricorso avverso la relativa pronuncia – e pertanto poteva essere condannata al pagamento delle spese. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in “tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse”, così che, “con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa” (Cass. 19613/2017).
Il ricorso va quindi rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente in solido al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente che liquida in Euro 3.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-bis, i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 6 aprile 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018