LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 278/2014 R.G. proposto da:
L.P., c.f. *****, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Nicola Ricciotti, n. 9, presso lo studio dell’avvocato Vincenzo Colacino che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Antonio Massari la rappresenta e difende in virtù di procura speciale a margine del ricorso.
– ricorrente –
contro
L.D., c.f. ***** – rappresentata e difesa in virtù di procura speciale a margine del controricorso dall’avvocato Stefano Pardini ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via Giovambattista Vico, n. 22, presso lo studio dell’avvocato Carlo Picarone.
– controricorrente –
e L.M., LA.DI.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 633 dei 15.2/24.4.2013 della corte d’appello di Firenze;
udita la relazione nella Camera di consiglio dell’8 maggio 2018 del Consigliere Dott. Luigi Abete.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO Con atto del 23.2.1999 L.D., figlia ed erede di L.L., deceduto in data *****, citava a comparire dinanzi al tribunale di Lucca il fratello Di. e le sorelle M. e P..
Chiedeva che si facesse luogo alla divisione dell’eredità paterna conformemente alle disposizioni del testamento pubblico dell’8.7.1994, con cui era stata devoluta ad ella attrice l’intera disponibile.
Si costituiva L.P..
Deduceva che la sottoscrizione del testatore non era autografa e proponeva querela di falso.
Non si costituivano La.Di. e M..
Ammessa la querela di falso, espletata c.t.u. grafologica, con sentenza non definitiva n. 854/2007 l’adito tribunale rigettava la querela e disponeva con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio.
Proponeva appello L.P..
Resisteva L.D..
Venivano dichiarati contumaci La.Di. e M..
Con sentenza n. 633 dei 15.2/24.4.2013 la corte d’appello di Firenze rigettava l’appello e condannava l’appellante alle spese del grado.
Evidenziava la corte che il consulente aveva concluso per la autografia della sottoscrizione del testatore; che, sentito a chiarimenti, l’ausiliario aveva precisato che l’anomalia relativa alla prima lettera del cognome del testatore, ben poteva essere ascritta al “grafismo del L. senza l’ausilio di terzi”, sicchè del tutto ingiustificata era la richiesta di rinnovo della c.t.u..
Evidenziava inoltre che risultava generico il riferimento dell’appellante alle condizioni di salute del testatore.
Evidenziava infine che il consulente aveva utilizzato un numero sufficiente di scritture di comparazione e dal relativo esame aveva desunto il fermo convincimento dell’autenticità della sottoscrizione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso L.P.; ne ha chiesto sulla scorta di quattro motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.
L.D. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimità. La.Di. e L.M. non hanno svolto difese.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..
Deduce che la corte di merito ha omesso la valutazione del terzo motivo d’appello.
Deduce segnatamente che con il terzo motivo di gravame aveva addotto, a censura del primo dictum, che il consulente non si era attenuto alle istruzioni impartitegli dal giudice istruttore – a seguito di apposita istanza da ella formulata – con l’ordinanza in data 31.3.2004, istruzioni alla cui stregua il raffronto grafico doveva operarsi altresì con gli originali di taluni documenti; che invero l’ausiliario aveva “operato sulle sole fotocopie presenti in atti” (così ricorso, pag. 15) ed aveva omesso l’esame di una delle scritture di comparazione, di cui non era stata allegata fotocopia.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c..
Deduce che, qualora si reputi che la corte distrettuale abbia respinto il terzo motivo d’appello, la sentenza è nulla, perchè nulla esplicita in ordine alla addotta inosservanza dell’ordinanza del giudice istruttore in data 31.3.2004.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo.
Deduce che la corte territoriale ha omesso di pronunciarsi su di un fatto decisivo, ovvero sul mancato rispetto da parte del c.t.u. delle istruzioni impartitegli dal g.i. con l’ordinanza in data 31.3.2004.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..
Deduce che la corte di Firenze ha omesso la valutazione del quinto motivo d’appello.
Deduce segnatamente che con il quinto motivo di gravame aveva censurato il primo dictum per aver del tutto obliterato le risultanze delle consulenze tecniche di parte, alla cui stregua era da disconoscere l’autografia della sottoscrizione del testatore.
Il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono strettamente connessi. Il che ne suggerisce la disamina contestuale. I medesimi motivi in ogni caso sono destituiti di fondamento.
Spiega questa Corte che, in materia di procedimento civile, tutte le ipotesi di nullità della consulenza tecnica – ivi ricompresa quella dovuta all’eventuale allargamento dell’indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge conferisce al consulente – hanno carattere relativo e devono essere fatte valere nella prima udienza successiva al deposito della relazione, restando altrimenti sanate (cfr. Cass. 15.4.2002, n. 5422; Cass. (ord.) 15.6.2018, n. 15747).
Su tale scorta si rappresenta che la ricorrente non ha addotto, neppure in ossequio al disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di aver assolto a tempo debito – si ribadisce, alla prima udienza successiva al deposito della relazione – il surriferito onere di tempestiva deduzione della pretesa nullità o comunque della pretesa inosservanza delle istruzioni impartite dal giudice istruttore all’ausiliario d’ufficio con l’ordinanza del 31.3.2004.
Si rappresenta in ogni caso quanto segue.
Con precipuo riferimento al primo motivo, che il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte della sentenza impugnata, di questioni di merito e non già nel caso di mancato esame di eccezioni pregiudiziali di rito (cfr. Cass. 23.1.2009, n. 1701; Cass. 26.9.2013, n. 22083, secondo cui il vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali; cfr. Cass. 25.1.2018, n. 1876).
Con precipuo riferimento al secondo motivo, che contrariamente all’assunto della ricorrente la corte d’appello ha motivato e pronunciato al riguardo, giacchè ha reputato esaustiva la circostanza per cui il consulente avesse dato conto di aver utilizzato un numero sufficiente di scritture di comparazione.
Tanto a prescindere dal rilievo per cui nel segno del novello n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, l’omessa motivazione (al di là delle ipotesi della “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, della “motivazione apparente”, del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e della “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”) riveste valenza propriamente sub specie di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (cfr. Cass. sez. un. 7.4.2014, n. 8053).
Con precipuo riferimento al terzo motivo, che la dedotta, (in sede di appello) sub specie di terzo motivo d’appello, inosservanza da parte del consulente d’ufficio delle istruzioni impartitegli con l’ordinanza in data 31.3.2004, non assurge a “fatto decisivo”.
Così come questa Corte ha avuto cura di puntualizzare in relazione al disposto del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, susseguente alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, puntualizzazione tuttavia appieno correlabile al vigente dettato del n. 5 cit., applicabile alla fattispecie ratione temporis, la locuzione “fatto controverso e decisivo per il giudizio” è da riferire ad un preciso accadimento o ad una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni”, che pertanto risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (cfr. Cass. 8.10.2014, n. 21152).
Destituito di fondamento è pur il quarto motivo di ricorso.
Si rappresenta in primo luogo che la ricorrente non ha assolto (con riferimento alle consulenze di parte, il cui omesso esame, sub specie di omesso esame del quinto motivo d’appello da parte della corte fiorentina, ha lamentato) gli oneri di “autosufficienza” su di ella incombenti.
Questo giudice del diritto spiega che il ricorrente per cassazione, che intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 – di produrlo agli atti (indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione) e di indicarne il contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso); la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile (cfr. Cass. (ord.) 28.9.2016, n. 19048; Cass. 12.12.2014, n. 26174; Cass. sez. lav. 7.2.2011, n. 2966; Cass. (ord.) 3.7.2009, n. 15628, ove si soggiunge che l’inammissibilità prevista dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in caso di violazione di tale duplice onere, non può ritenersi superabile qualora le predette indicazioni siano contenute in altri atti, posto che la previsione di tale sanzione esclude che possa utilizzarsi il principio, applicabile alla sanzione della nullità, del cosiddetto raggiungimento dello scopo, sicchè solo il ricorso può assolvere alla funzione prevista dalla suddetta norma ed il suo contenuto necessario è preordinato a tutelare la garanzia dello svolgimento della difesa dell’intimato, che proprio con il ricorso è posto in condizione di sapere cosa e dove è stato prodotto in sede di legittimità).
Si rappresenta in secondo luogo – ed in ogni caso – che la consulenza di parte, ancorchè confermata sotto il vincolo del giuramento, costituisce una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio, con la conseguenza che il giudice di merito, ove di contrario avviso, non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto, quando ponga a base del proprio convincimento considerazioni con esso incompatibili e conformi al parere del proprio consulente (cfr. Cass. 29.1.2010, n. 2063; cfr. Cass. 11.7.1983, n. 4712, secondo cui il giudice di merito può disattendere senza particolare confutazione la consulenza tecnica di parte, fondando il suo convincimento su considerazioni che ne escludono obiettivamente l’attendibilità).
Non si giustifica quindi la censura di omesso esame del quinto motivo d’appello.
La ricorrente, giacchè soccombente, va condannata a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.
La.Di. e M. non hanno svolto difese. Nessuna statuizione va assunta nei loro confronti in ordine alle spese.
Si dà atto che il ricorso è stato notificato in data 16.12.2013. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit..
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, L.P., a rimborsare alla controricorrente, L.D., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, cit..
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 8 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018