LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20521-2017 proposto da:
R.D., S.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TACITO 50, presso lo studio dell’avvocato PAOLO IORIO, rappresentati e difesi dall’avvocato GIANFRANCO TANDURA;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositato il 06/02/2017, R.G.n. 805/2016 V.G.;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2018 dal Consigliere LORENZO ORILIA.
RITENUTO IN FATTO
1 La Corte d’appello di Venezia, con decreto 6.2.2017 ha rigettato l’opposizione proposta da R.D. e S.A. contro il decreto di rigetto della domanda di equa riparazione (depositata il 9.11.2016) ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89 per l’irragionevole durata di un procedimento penale nel quale essi avevano assunto la veste di imputati.
Il rigetto è stato motivato dalla Corte lagunare sul rilievo della intervenuta dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, cui gli imputati non avevano rinunciato; secondo la Corte territoriale inoltre, la prescrizione del reato, dichiarata con la sentenza di appello, aveva sicuramente giovato ai ricorrenti, essendo stata accertata in quella sede l’assenza delle condizioni per una assoluzione nel merito degli stessi (sussistendo i presupposti del delitto di furto aggravato) e non ponendosi in dubbio la responsabilità dei prevenuti in ordine alla consumazione del fatto loro ascritto.
2 Per la cassazione del decreto della Corte d’appello il R. e lo S. hanno proposto ricorso sulla base di un motivo illustrato da memoria, che il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’unico motivo, deducendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001 e in particolare dell’art. 2, comma 2 sexies, lett. a) i ricorrenti criticano le argomentazioni utilizzate dalla Corte d’Appello per respingere la loro opposizione, perchè fondate su una errata interpretazione della norma (esclusione dell’indennizzo in ogni ipotesi di prescrizione e obbligo della rinunzia alla prescrizione per poter ottenere l’indennizzo). Procedono poi ad analizzate il panorama giurisprudenziale con riferimenti anche alla Corte Costituzionale e alle pronunce CEDU.
Il ricorso è infondato.
Certamente, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 6-2, 2 settembre 2014, n. 18498), l’equa riparazione per irragionevole durata del processo penale non può essere esclusa per il sol fatto che il ritardo nella definizione del giudizio abbia prodotto l’estinzione del reato per prescrizione, occorrendo invece apprezzare se l’effetto estintivo sia intervenuto per l’utilizzazione, da parte dell’imputato, di tecniche dilatorie o strategie sconfinanti nell’abuso del diritto di difesa ovvero dipenda, in tutto o in parte (e, in tal caso, con valenza preponderante), dal comportamento delle autorità procedenti, senza che, in quest’ultima ipotesi, la mancata rinuncia alla prescrizione ad opera dell’imputato medesimo valga ad elidere, di per sè, il danno derivante dall’irragionevole durata.
Tuttavia, occorre tener conto della nuova disciplina introdotta dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 777, lett. b).
Ebbene, secondo lo ius superveniens (L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-sexies, introdotto dal citato L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 777), si presume insussistente il pregiudizio da irragionevole durata, salvo prova contraria, nel caso di dichiarazione di intervenuta prescrizione del reato, limitatamente all’imputato.
Nel caso in esame il decreto della Corte d’appello è conforme alla nuova disciplina normativa, avendo escluso il pregiudizio da irragionevole durata, e ciò appunto in ragione della dichiarazione, in appello, di intervenuta prescrizione del reato, ed i ricorrenti omettono di confrontarsi con la chiara previsione normativa che gli fa onere di fornire la prova contraria per superare la presunzione di insussistenza del pregiudizio da irragionevole durata del processo, non bastando certamente limitarsi ad affermare di “avere subito tutte le conseguenze negative del patema d’animo connesso alla durata irragionevole del processo” (v. pagg. 10 ricorso nonchè pag. 9). Le esposte considerazioni, di natura assolutamente assorbente, rendono prive di rilievo tutte le altre argomentazioni spese dagli odierni ricorrenti.
In conclusione il ricorso va respinto con addebito di spese alla parte soccombente.
Risultando dagli atti che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al comma 1-quater del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro. 900 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 22 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018