LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 18513/2014 proposto da:
*****, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI 14, presso lo studio dell’avvocato GIAMPIERO DINACCI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CINZIA FRANCA MARIA FERRADINI giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
SECLE SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO 34, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PETRUCCI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ELISABETTA BANDIRALI in virtù di procura in calce al controricorso;
– ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 319/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/01/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 03/07/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
Lette le memorie depositate dalla controricorrente.
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Il ***** in ***** conveniva in giudizio la Secle S.r.l. al fine di ottenere la risoluzione del contratto di appalto del ***** avente ad oggetto il rifacimento della pavimentazione della rampa carraia (corsello carraio) e del cortile box dello stabile condominiale, con la restituzione delle somme versate, chiedendo altresì, in via subordinata, la riduzione del prezzo dell’opera alla luce dell’incidenza dei vizi e dei difetti sull’effettivo valore degli interventi eseguiti.
Deduceva che già in corso di esecuzione dei lavori si era verificato un parziale cedimento del massetto posato sulla zona del passo carraio, che aveva determinato l’immediata contestazione da parte del committente circa la non corretta esecuzione dei lavori.
Successivamente, a lavori ultimati, venivano eseguite delle analisi sul materiale utilizzato per il sottofondo della zona cortile box ed il collaudatore riteneva che le opere non fossero collaudabili in quanto non erano state eseguite secondo le regole dell’arte e con l’utilizzo di materiali di pessima qualità.
Di conseguenza il condominio in data 2 maggio 2005 aveva comunicato la risoluzione del contratto, chiedendo la restituzione degli acconti versati, e con riserva di chiedere anche il risarcimento dei danni.
La società, dopo avere chiesto ed ottenuto un accertamento tecnico preventivo, si costituiva in giudizio e concludeva per il rigetto della domanda, chiedendo in via riconvenzionale il pagamento del residuo ammontare del corrispettivo dovuto.
Il Tribunale di Milano con la sentenza n. 12448/2010 accoglieva la domanda del condominio, dichiarando la risoluzione del contratto di appalto per inadempimento della società appaltatrice, che era altresì condannata alla restituzione della somma di Euro 55.989,38.
La Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 319 del 27 gennaio 2014 accoglieva parzialmente l’appello della società, dichiarando la risoluzione del contratto di appalto limitatamente ai lavori relativi al cortile box, con la condanna del condominio al pagamento in favore dell’appellante della somma di Euro 76.781,63, previa detrazione di quanto trattenuto dalla stessa società a titolo di capitale in conseguenza del parziale accoglimento della richiesta di sospensione degli effetti della sentenza di primo grado; infine compensava per la metà le spese del doppio grado, condannando il condominio al rimborso delle residua parte.
I giudici di appello, esclusa la nullità della CTU per avere la stessa anche espresso delle valutazioni circa l’idoneità dell’opera e quantificato il suo valore (trattandosi di indagini consequenziali a quelle relative al mandato finalizzato all’accertamento della risoluzione del contratto), passando ad esaminare le contestazioni relative al cortile box, evidenziavano che dalle indagini del CTU era emersa l’assoluta inidoneità della pavimentazione posta in opera dalla società, inidoneità che non era suscettibile di correzione se non previa, demolizione del manufatto e suo integrale rifacimento.
Inoltre, la società non poteva andare esente da responsabilità adducendo che il capitolato era stato predisposto dai committente, in quanto, anche a voler ritenere provata tale circostanza, era suo specifico dovere quello di dissentire dalle modalità esecutive richieste dal condominio, ovvero di formulare delle inequivoche riserve, sicchè mancando la prova altresì che fosse stata obbligata ad eseguire le opere secondo le indicazioni del committente, venendo quindi ridotta al rango di nudus minister, era comunque chiamata a rispondere dell’inidoneità dell’opera realizzata rispetto all’uso al quale era destinata.
In relazione alla rampa carraia, la sentenza di appello riteneva che le indagini del CTU avevano evidenziato che l’opera era comunque fruibile, in relazione all’uso cui era destinata, essendo state espresse delle riserve solo in merito alla sua durabilità, avendo altresì aggiunto che per ovviare a tale inconveniente era necessario effettivamente demolire e ricostruire la pavimentazione.
Dell’assenza di durevolezza non poteva quindi tenersi conto ai fini del giudizio circa la risoluzione del contratto ex art. 1668 c.c., comma 2 e conseguentemente non era invocabile nemmeno la clausola contrattuale di cui all’art. 9 del contratto, in quanto la necessità di un previo intervento demolitorio non poteva essere riferito ad una caratteristica, quale quella della durevolezza nel tempo dell’opera che non era stata approfondita dal CTU ed era smentita anche dal parere del coadiutore del CTU oltre che dal fatto che l’opera a distanza di anni era ancora utilizzata.
Per l’effetto doveva essere pronunciata la risoluzione parziale del contratto, e limitatamente al cortile box, dovendosi quindi rideterminare le somme dovute alla società, al netto di quelle riferibili all’esecuzione del passo carraio, e tenuto conto di quanto la stessa società aveva trattenuto, per effetto della solo parziale sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza di primo grado.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il ***** in ***** sulla base di tre motivi.
La società intimata ha resistito con controricorso proponendo a sua volta ricorso incidentale affidato a quattro motivi.
2. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata dalla società controricorrente in ragione del fatto che nelle conclusioni avrebbe chiesto la cassazione della sentenza per la parte relativa ai lavori riguardanti il cortile box, laddove invece i motivi farebbero esclusivamente riferimento alla mancata pronuncia di risoluzione per la rampa carraia, emergendo invece con evidenza che l’indicazione contenuta nelle conclusioni mira solo a riassumere il contenuto della decisione gravata, ribadendo la volontà di ottenere, previa cassazione, una pronuncia di risoluzione estesa anche ai lavori concernenti la rampa di accesso, con la conferma della già pronunciata risoluzione per i lavori afferenti al cortile box.
3.1 Il primo motivo di ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1668 c.c., in quanto la norma è stata costantemente interpretata nel senso che per pronunciare la risoluzione occorre di norma avere riguardo a criteri obiettivi, considerando quindi la destinazione che l’opus riceverebbe dalla generalità delle persone, potendosi far ricorso anche a criteri soggettivi, quando la possibilità di un particolare impiego o di un determinato rendimento siano specificamente dedotti in contratto.
Nel caso di specie i giudici di appello non hanno tenuto conto di quanto previsto dall’art. 9 del contratto che imponeva che l’opera dovesse essere esente, pena la risoluzione dell’appalto, da anomalie esecutive e difformità rispetto al capitolato, laddove tali anomalie o difformità imponevano un rifacimento totale dell’opera.
La presenza di un’opera eseguita in violazione delle regole dell’arte e delle prescrizioni del capitolato, con difformità suscettibili di rimozione solo con il rifacimento della pavimentazione, giustificava quindi la risoluzione di diritto del contratto.
Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453,1455 e 1456 c.c., nella parte in cui è stata esclusa la possibilità di fare applicazione della clausola risolutiva espressa di cui al citato art. 9 del contratto che così recita: “Per gravi inadempienze dell’appaltatore si intendono i lavori eseguiti al di fuori delle normali tecniche esecutive e difformi da quelle indicate in capitolato, per i quali non sia sufficiente un intervento di adattamento, bensì sia necessario un rifacimento totale…. In tal caso il committente potrà recedere dal contratto”.
Assume il ricorrente che ancorchè il CTU, come riconosciuto dalla stessa sentenza d’appello, avesse evidenziato che l’appaltatore aveva utilizzato dei materiali diversi rispetto a quanto previsto in capitolato, eseguendo l’opera difformemente dalle regole dell’arte, la decisione gravata ha però interpretato la clausola contrattuale del senso che la fruibilità dell’opera per un tempo inferiore rispetto a quello garantito dall’esecuzione a regola d’arte, non integrava il requisito che legittimava l’applicazione della clausola risolutiva espressa, con ciò violando anche le ordinarie regole di ermeneutica contrattuale. Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio costituito dalle conclusioni rese dal CTU le quali denotavano come l’opera fosse stata realizzata in maniera difforme rispetto a quanto previsto nel capitolato, sottolineando come tale difformità fosse rimediabile solo con il totale rifacimento della pavimentazione.
3.2 Il primo motivo del ricorso incidentale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1668 c.c., quanto alla pronuncia di risoluzione relativa ai lavori concernenti il cortile box.
Si rileva che nella specie non poteva riscontrarsi un’assoluta inidoneità dell’opera tale da impedire la sua fruizione, trascurando però che a distanza di molti anni l’opera stessa è ancora utilizzata dal condominio senza che abbia posto in essere alcun intervento di rifacimento.
Il secondo motivo del ricorso incidentale lamenta l’insufficiente e contraddittorio esame circa un punto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto avrebbe insufficientemente valutato quanto oggettivamente emergeva dalle fotografie versate in atti che attestavano come l’area in questione fosse ancora nello stato in cui era stata consegnata al condomino al termine dei lavori.
Il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia l’omesso accoglimento della domanda di rinnovo della CTU, con la conseguente omissione di pronuncia, essendo stata altresì omessa ogni motivazione al riguardo.
Il quarto motivo del ricorso incidentale lamenta la violazione degli artt. 1665 e 1176 c.c., nella parte in cui i giudici di appello hanno escluso che la società avesse agito quale nudus minister, con il conseguente esonero da responsabilità per le difformità riscontrate.
In tal senso non si è considerato che il capitolato era stato predisposto dallo stesso condominio che aveva in tal modo superato l’offerta presentata dalla società, e senza tenere in adeguata considerazione quanto emergeva dalle dichiarazioni rese dall’amministratore di condominio in sede di interrogatorio formale.
4. I tre motivi del ricorso principale possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, e sono fondati nei limiti di cui in motivazione.
La sentenza gravata nell’esaminare la domanda di risoluzione relativa ai lavori alla rampa carraia, in premessa ha evidenziato come dagli accertamenti compiuti dall’ausiliario di ufficio emergesse l’esistenza di uno strato intermedio di sabbia e cemento non previsto nel contratto, che lo stesso ausiliario riteneva non necessario e sconsigliabile; ha inoltre evidenziato che in alcuni punti era assente l’armatura del massetto con rete elettrosaldata pur se contrattualmente prevista e che il calcestruzzo utilizzato presentava in alcuni punti scarsa coesione, con un cedimento residuo molto prossimo a quello massimo raggiunto.
A fronte quindi del rilievo di difformità nell’esecuzione dei lavori rispetto alle prescrizioni contrattuali, ha poi evidenziato che le stesse, sempre a giudizio del CTU, non incidevano sulla fruibilità dell’opera, alla luce della destinazione alla stessa assegnata, ma al più sulla durevolezza del manufatto, potendosi ovviare a tale minore durata solo con la demolizione e ricostruzione della pavimentazione.
Attesa tale situazione ha quindi escluso che potesse farsi applicazione della previsione di cui dell’art. 1668 c.c., comma 2, che presuppone l’inidoneità del bene rispetto alla sua destinazione.
Trattasi in parte qua di soluzione che si conforma alla giurisprudenza di questa Corte che, con specifico riferimento all’art. 1668 c.c., ha affermato (cfr. Cass. n. 26965/2011) che la disciplina in esame, in deroga a quella stabilita in via generale in materia di inadempimento del contratto, consente al committente di chiedere la risoluzione del contratto soltanto nel caso in cui i difetti dell’opera, incidendo in modo notevole sulla struttura e sulla funzionalità della stessa, siano tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione ovvero all’uso cui sia preordinata, non assumendo, al riguardo, rilevanza il profilo estetico dell’opera (conf. Cass. n. 886/2002; Cass. n. 9078/1994; Cass. n. 715/1989).
Meno condivisibile è invece l’argomentazione del giudice di appello quanto all’esclusione dell’applicabilità della clausola di cui all’art. 9 del contratto, il cui contenuto è stato sopra riportato, che sebbene non consenta di ravvisare la volontà delle parti di individuare delle caratteristiche soggettive sulla scorta delle quali valutare la funzionalità dell’opera, individua come idonei a configurare gravi inadempienze quei lavori eseguiti in difformità delle normali tecniche esecutive e delle prescrizioni del capitolato, con un contenuto che si evidenzia come maggiormente rigoroso rispetto a quanto invece previsto dall’art. 1668 c.c., comma 2.
La sentenza impugnata ha ritenuto che il rispetto della funzionalità dell’opera fosse tale da impedire la possibilità di invocare la clausola de qua, pur a fronte di un diverso ed evidente contenuto del testo della norma codicistica rispetto a quanto manifestato dalla volontà dei contraenti, assumendo altresì che occorresse avere riguardo al carattere della durevolezza dell’opera al fine di verificare la necessità o meno del rifacimento della pavimentazione, necessità che in realtà non emergeva con sicurezza.
La motivazione de qua però tradisce evidentemente quello che era il contenuto della clausola di cui all’art. 9, che faceva riferimento a tutte le lavorazioni eseguite al di fuori delle normali tecniche esecutive ed in difformità da quanto previsto in capitolato, prevedendo la valutazione in ordine alla necessità del rifacimento proprio in relazione alle difformità esecutive ed alla possibilità di poter porre loro rimedio, e non anche alla necessità di ovviare ad uno degli effetti derivanti dalla inesatta esecuzione delle prestazioni dell’appaltatore.
Sarebbero dunque le stesse difformità a giustificare l’eventuale accoglimento della domanda di risoluzione di diritto, e la necessità del rifacimento va valutata in relazione alle difformità, e non anche alla diversa esigenza di assicurare una durevolezza del bene conforme a quella che sarebbe conseguibile ordinariamente.
D’altronde la stessa sentenza, pur contestando il giudizio del CTU in ordine all’effettiva possibilità di riscontrare una minore durata per l’opus eseguito, nella premessa della disamina del motivo di appello non aveva potuto non rilevare come dalle indagini del CTU emergesse l’esecuzione di opere in contrasto con le prescrizioni contrattuali e con le ordinarie regole esecutive.
La sentenza deve pertanto essere cassata, ed il giudice del rinvio, previa verifica della specificità della clausola risolutiva di cui all’art. 9 (occorrendo a tal fine ribadire che per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell’inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, restando estranea alla norma di cui all’art. 1456 c.c. la clausola redatta con generico riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto, cfr. Cass. n. 4796/2016; Cass. n. 1950/2009; Cass. n. 11055/2002), verifica che è rimasta assorbita dall’erronea assimilazione delle previsioni ivi contenute al dettato dell’art. 1668 c.c., comma 2, circa l’idoneità dell’opus ad assolvere alla sua destinazione, dovrà riscontrare se le difformità esecutive compiute dall’impresa appaltatrice, così come accertate dal CTU, impongano o meno il rifacimento totale al fine di provi rimedio.
5. Passando al ricorso incidentale, reputa il Collegio che possa procedersi alla disamina congiunta del primo e del secondo motivo, i quali sono però infondati.
Ed, invero quanto alla valutazione compiuta dal giudice di appello in relazione alla corretta esecuzione dei lavori di pavimentazione del cortile box, deve ritenersi che la sentenza impugnata abbia fatto corretta applicazione dei principi espressi da questa Corte in relazione all’applicazione dell’art. 1668 c.c., comma 2. In motivazione sono stati puntualmente individuati gli aspetti di difformità dell’opus rispetto alle ordinarie regole esecutive che imponevano all’appaltatore di doversi discostare dalle erronee prescrizioni contenute nel capitolato.
La decisione gravata, con valutazione evidentemente di fatto, e come tale non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che il ridotto spessore del massetto di sottofondo rispetto a quanto invece imposto dalle regole dell’arte, rendeva la pavimentazione del tutto inidonea rispetto all’uso al quale era destinata.
La censura mossa con il primo motivo si risolve quindi nella sollecitazione a questa Corte di un diverso apprezzamento dei fatti di causa, non potendo rilevare in senso favorevole alla tesi della ricorrente incidentale la circostanza che il condominio non abbia ancora provveduto al rifacimento dell’opus, in quanto il perdurante utilizzo del bene non denota di per sè che l’opera stessa sia conforme alla sua destinazione.
Quanto, invece, al secondo motivo con il quale si lamenta l’erronea valutazione delle fotografie in atti, che attesterebbero che il bene sia ancora nelle medesime condizioni nelle quali versava al momento della fine dei lavori, lo stesso deve ritenersi inammissibile in quanto non formulato conformemente alla previsione del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che lungi dal contemplare, come dedotto in motivo, l’insufficiente e contraddittorio esame di un fatto decisivo per il giudizio (formula questa che evidentemente richiama la vecchia lettera del n. 5 in questione, con riferimento al contenuto della motivazione della sentenza impugnata), presuppone l’omessa disamina del fatto stesso, omessa disamina che nel caso di specie non sussiste, avendo la sentenza d’appello chiaramente riferito che le valutazioni tecniche compiute circa l’erronea esecuzione della pavimentazione, non erano sminuite dalla visione delle fotografie prodotte dalla società, che riproducevano l’aspetto meramente esteriore, e quindi non le loro caratteristiche intrinseche.
6. Deve essere rigettato anche il terzo motivo del ricorso incidentale.
In tal senso va ricordato che (cfr. Cass. n. 13716/2016) il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e non anche in relazione ad istanze istruttorie per le quali l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (conf. Cass. n. 24830/2017, nonchè con specifico riferimento proprio alla nomina di un CTU, Cass. n. 6715/2013, per la quale l’omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione).
Una volta esclusa la ricorrenza di una violazione del principio di cui all’art. 112 c.p.c. (ben potendosi comunque ritenere che la valutazione circa la validità della CTU, ed il costante richiamo all’operato dell’ausiliario d’ufficio costituiscano implicito rigetto della richiesta di rinnovo della consulenza d’ufficio), deve escludersi anche la ricorrenza di un vizio motivazionale, peraltro denunciato sulla base della vecchia formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (omessa motivazione) che non è più applicabile alla fattispecie, atteso che, sempre secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 22799/2017) in tema di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova ctu, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito, sicchè non è neppure necessaria una espressa pronunzia sul punto (conf. Cass. n. 17693/2013).
7. Infine va disatteso anche il quarto motivo del ricorso incidentale La decisione gravata ha fatto puntuale applicazione dei principi costantemente ribaditi da questa Corte secondo cui (cfr. da ultimo Cass. n. 23594/2017) l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, nè l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori (conf. Cass. n. 8016/2012, citata anche dai giudici di appello). La sentenza gravata, con giudizio in fatto, non suscettibile di sindacato in questa sede, ha rilevato che, anche a voler ritenere provato che i capitolati furono predisposti unilateralmente da parte del condominio, non era stato dimostrato che la società avesse espressamente dissentito dalle modalità esecutive ivi dettate e che fosse stato indotto a porle in opera per le insistenze del committente, aventi caratteri tali da degradare la società al rango di nudus minister.
La sentenza impugnata, oltre ad avere adeguatamente valutato gli esiti dell’interrogatorio formale reso dall’amministratore del condominio, che, ad avviso dei giudici di merito, denotavano unicamente la predisposizione da parte del condominio del capitolato, ma non anche, come invece necessario al fine di andare esente da responsabilità, il dissenso dell’appaltatore manifestato in maniera formale, ha altresì evidenziato che nel contratto di appalto redatto in epoca successiva all’approvazione da parte dell’assemblea del capitolato, in difformità dal preventivo n. ***** presentato invece dalla società appaltatrice, quest’ultima accettava l’incarico senza formulare alcun rilievo, anzi assumendosi l’obbligo di osservare, studiare ed integrare gli elementi contenuti nel contratto alla luce della normale perizia dell’imprenditore edile secondo le migliori norme della tecnica e della pratica edilizia, formula questa che, oltre ad escludere la riduzione della società al livello di mera esecutrice delle prescrizioni del committente, avrebbe imposto il dovere dell’appaltatrice di segnalare in corso di opera l’inidoneità delle scelte progettuali contenute nel capitolato ad assicurare la destinazione e funzionalità dell’opus commesso.
8. Al giudice di rinvio che si designa in una diversa sezione della Corte d’Appello di Milano, è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.
9. Poichè il ricorso incidentale è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione incidentale.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale nei limiti di cui in motivazione e, rigettato il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte d’Appello di Milano;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente incidentale, del contributo unificato dovuto per il ricorso incidentale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018
Codice Civile > Articolo 1176 - Diligenza nell'adempimento | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1453 - Risolubilita' del contratto per inadempimento | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1455 - Importanza dell'inadempimento | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1456 - Clausola risolutiva espressa | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1665 - Verifica e pagamento dell'opera | Codice Civile
Codice Civile > Articolo 1668 - Contenuto della garanzia per difetti dell'opera | Codice Civile