Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.26629 del 22/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29568-2014 proposto da:

P.S., M.M.T., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato BENITO PANARITI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO LOVATTI;

– ricorrenti –

contro

PO.TA.EL., B.M., BO.EM.AD., PA.OT., D.G., MA.CA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 925/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 04/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/06/2018 dal Consigliere RAFFAELE SABATO.

RILEVATO

che:

1. Con sentenza depositata il 04/07/2014 la corte d’appello di Brescia, rigettando l’appello proposto da P.S. e M.M.T. nei confronti di Po.Ta.El., B.M., Bo.Em.Ad., Pa.Ot., D.G. e Ma.Ca., ha confermato la sentenza con cui il tribunale di Mantova aveva dichiarato l’inesistenza – sia per titolo sia per usucapione- di servitù di scarico di acque luride a carico del fondo dei signori Po.Ta. e altri, condannando alla cessazione dello scarico e al risarcimento dei danni.

2. A sostegno della decisione, condividendo la sentenza del tribunale, la corte d’appello ha interpretato l’atto divisionale per notar A. del 19/02/1954 – da cui secondo i signori P. e M. avrebbe dovuto emergere la servitù – nel senso che in esso si rinviene clausola meramente costitutiva di servitù di scarico di acque meteoriche, non già invece delle acque luride per cui è causa; ciò in base alla previsione testuale nell’atto di una “servitù di scarico dell’acqua piovana e scoli, secondo il declivio naturale della corte, nelle fognature sotterranee preesistenti”, in cui – oltre alla menzione esplicita delle acque piovane – anche il termine “scoli”, secondo la corte locale, è usato nel senso di acque defluenti naturalmente, di cui agli artt. 913 e 908 c.c.; anche il riferimento al “declivio naturale” della corte, come luogo di transito delle acque, si riferisce secondo la corte territoriale alle sole acque meteoriche, mentre sarebbe stato necessario prevedere un allacciamento di tubazioni per quelle luride.

3. Avverso òdetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione P.S. e M.M.T., articolando quattro motivi. Po.Ta.El. e altri non hanno svolto difese.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 908 c.p.c., commi 1 e 2 e art. 913 c.c., comma 1. Si sostiene che la distinzione esistente nella clausola del,rogito divisionale tra “scarico dell’acqua piovana” e “scoli” rimanderebbe, diversamente da quanto ritenuto dalla corte territoriale, con l’uso del plurale per il secondo termine riferito a qualunque acqua defluente naturalmente, anche alle acque luride che all’epoca della stipula defluivano attraverso la corte nelle fognature.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2 e art. 161 c.p.c., comma 1, nonchè omessa motivazione e nullità della sentenza. Si indica come carente la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui è stata tratta dalla lettera del comune di ***** del 26/04/2001 la conseguenza che nel 1990 sarebbe intervenuta modifica della linea fognaria (per cui da tale epoca è stato fatto decorrere il termine per usucapire); si sostiene che, ove ammessa c.t.u., sarebbe stato accertato quanto necessario in ordine al se e in che modo una siffatta modifica fosse intervenuta.

3. Con il terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 161 c.p.c., primo 1, nonchè omesso esame delle prove, omessa motivazione, nullità della sentenza e violazione di norme di diritto non meglio indicate. Il giudice di seconde cure non avrebbe tenuto conto del fatto decisivo costituito dal doc. n. 10, costituito dall’autorizzazione del comune di ***** a Pl.Fi., da cui si desumerebbe che egli non aveva immutato l’allaccio rispetto a quello di cui alla precedente licenza degli anni ‘70.

4. Con il quarto motivo si deduce violazione degli artt. 1061 e 1158 c.c.. Si contesta la ulteriore motivazione addotta dalla corte d’appello, per cui la servitù non sarebbe stata usucapibile in quanto difetterebbe di apparenza.

5. I quattro motivi, strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente e dichiarati inammissibili per analoghe ragioni.

5.1. Invero con essi, sotto la veste di censure per violazione di legge e omesso esame, i ricorrenti avanzano in effetti inammissibili istànze di riesame, nel merito, del convincimento raggiunto dalla corte locale circa la portata della volontà delle parti nello stipulare clausola di un negozio divisionale, nonchè circa le caratteristiche dell’impianto fognario nella sua evoluzione temporale (anche ai fini dell’apparenza della servitù di scarico fognario).

5.2. Al riguardo, va richiamato che il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa corte dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 65), mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

5.3. Quanto, poi, a tale ultimo vizio (declinato nel presente procedimento ratione temporis secondo il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 successivo alla modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, che limita al minimo costituzionale dell'”omesso esame” di fatti storici il controllo sulla motivazione), esso sussiste in presenza di indicazione di effettivi “fatti storici” del tutto trascurati.

5.4. Nel caso di specie, fermo restando che nessuna erronea applicazione della legge la corte d’appello ha posto in essere, avendo fatto corretto governo della disciplina in tema di ermeneutica contrattuale (norme di cui agli artt. 1362 c.c. e ss., neppure indicate come violate, essendo invece dedotte nel primo motivo violazioni di norme di legge in tema di scarichi e scoli nei diversi rapporti di vicinato non regolati da contratto) e di usucapione, dopo avere desunto dagli elementi istruttori – con apprezzamento incensurabile di merito – il significato di una clausola contrattuale e l’evoluzione nel tempo degli impianti, che il ricorrente tenta di sminuire e smentire, le censure dedotte per violazione di legge attengono, piuttosto, alla ricognizione della fattispecie concreta, non ponendo questioni in tema di interpretazione di norme giuridiche. Quanto ai presunti omessi esami, di nessun fatto storico i motivi indicano la totale pretermissione da parte della corte d’appello. Trattasi, infatti, di doglianze relative non già a un fatto storico rilevante (il consenso sulla clausola, il mutamento dell’impianto fognario), trattandosi piuttosto di rilievi di omesso esame di elementi istruttori (documentazione in ordine allo stato dei luoghi, oltre a una interpretazione alternativa della volontà delle parti). Tali deduzioni però, secondo la giurisprudenza, non integrano, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa (nel caso di specie, in sostanza, la stipula della clausola e il mutamento dell’impianto), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. sez. U, n. 8053 del 07/04/2014).

5.5. Tanto esime questa corte dall’esaminare se sussistano ulteriori cause di inammissibilità dei motivi (ad es. quanto alla indicazione delle norme violate, come detto rinvenute quanto al primo motivo in norme in materia di rapporti di vicinato utilizzate dalla corte di merito solo a fini di comprensione dei vocaboli impiegati nel rogito, nonchè non appieno indicate nel quarto motivo; ecc.).

6. In definitiva, il ricorso va rigettato, senza che debba provvedersi sulle spese, posto che gli intimati non hanno svolto difese. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto pèr il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

P.Q.M.

la corte rigetta il ricorso e ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13 cit., comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 28 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

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