LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. MUCCI Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 695/2014 proposto da:
CO.GE.CO. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, già CO.GE.CO. S.P.A., in persona del liquidatore, elettivamente domiciliata in Roma, viale Giuseppe Mazzini n. 6, presso lo studio dell’Avv. Sergio Lio, rappresentata e difesa dall’Avv. Oreste Natoli giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
FABBRICERIA DEL DUOMO DI MONREALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Gracchi n. 187, presso lo studio dell’Avv. Giovanni Magnano di San Lio, rappresentata e difesa dall’Avv. Nicolò D’Alessandro giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
e contro
CO.GE.CO. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, già CO.GE.CO. S.P.A., in persona del liquidatore, elettivamente domiciliata in Roma, viale Giuseppe Mazzini n. 6, presso lo studio dell’Avv. Sergio Lio, rappresentata e difesa dall’Avv. Oreste Natoli giusta procura a margine del ricorso;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 1620/2012 della CORTE DI APPELLO DI PALERMO, depositata il 17 novembre 2012;
viste le conclusioni scritte del P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE RENZI Luisaha chiesto il rigetto del ricorso principale, assorbito l’incidentale condizionato;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18 aprile 2018 dal Cons. Dott. MUCCI ROBERTO.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Palermo rigettava i gravami interposti da CO.GE.CO. s.p.a. (in via principale) e dalla Fabbriceria del Duomo di Monreale (in via incidentale) avverso la sentenza del Tribunale di Palermo che aveva dichiarato la risoluzione del contratto di appalto stipulato il 7 maggio 1992, avente ad oggetto opere di restauro e consolidamento del *****, per inadempimento della Fabbriceria, condannata al risarcimento del danno per complessivi Euro 33.000,00 oltre spese.
2. Riteneva la Corte di appello, per quel che qui rileva, che: a) non sussisteva la competenza arbitrale invocata dalla Fabbriceria; b) quanto al merito, CO.GE.CO. non aveva interesse a dolersi delle “discrasie” esistenti nella parte motiva (e tra questa e il dispositivo) della sentenza gravata, con riferimento alla qualificazione dell’atto di sottomissione del 12 marzo 1998 ed ai rapporti di questo con l’originario contratto di appalto, nonchè alla ritenuta fondatezza sia della risoluzione per inadempimento della committente che del provvedimento di rescissione da questa adottato, atteso che la sua domanda di risoluzione del contratto per inadempimento della Fabbriceria era stata accolta; c) tale risoluzione andava confermata poichè la Fabbriceria appariva “maggiormente inadempiente rispetto alla controparte” alla luce dei fatti storici globalmente valutati, non elisi dall’intervenuta rinuncia di CO.GE.CO., con l’art. 6 dell’atto di sottomissione del 1998, al risarcimento dei danni dipendenti alle prime due sospensioni dei lavori ad esso antecedenti; d) era infondata la censura di CO.GE.CO. in ordine all’intempestività, rilevata dal Tribunale, della riserva relativa al settimo stato di avanzamento lavori, avendo la Fabbriceria ritualmente formulato la relativa eccezione; e) era inammissibile la doglianza relativa alla quantum risarcitorio liquidato dal Tribunale per difetto di specificità.
3. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione CO.GE.CO. affidato a cinque motivi, cui replica la Fabbriceria del Duomo di Monreale con controricorso e ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo, contrastato da CO.GE.CO. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Giova premettere, secondo quanto consta dalla sentenza e dagli atti delle parti, che il contratto di appalto del 1992 era stato oggetto di due sospensioni dei lavori cui seguiva, nel 1998, la sottoscrizione di un atto di sottomissione con il quale l’appaltatrice CO.GE.CO. rinunciava “esplicitamente a qualsiasi azione di risarcimento danni per il lungo periodo di sospensione dei lavori accettando quale indennizzo l’abbassamento dell’importo limite, di cui al precedente art. 5, per il rilascio degli stati di avanzamento” (art. 6); successivamente i lavori venivano sospesi una terza volta, senza ripresa dei lavori da parte dell’appaltatrice; la Fabbriceria committente procedeva quindi, con comunicazione del 16 ottobre 2001, per la rescissione in danno.
Nel frattempo, con citazione notificata il 26 ottobre 2000 CO.GE.CO. conveniva in giudizio la Fabbriceria per far valere gli inadempimenti della committente; con successiva citazione notificata il 6 novembre 2001, CO.GE.CO. conveniva nuovamente in giudizio la Fabbriceria sull’illiceità della rescissione.
Riuniti i giudizi, il Tribunale di Palermo, ritenuta insussistente la competenza arbitrale eccepita dalla Fabbriceria, accoglieva la domanda di risoluzione dell’appalto del 1992.
In particolare, il Tribunale, disattendendo la prospettazione attorea della rinuncia al risarcimento condizionata tacitamente alla regolare conclusione dell’appalto, riteneva l’atto di sottomissione del 1998 “nuovo contratto”, con valenza transattiva e non novativa, sicchè l’appaltatrice non poteva rimettere in gioco i rapporti precedenti allegandone l’inadempimento e chiedendone il risarcimento, la cui quantificazione in favore dell’appaltatrice veniva pertanto limitata ai soli danni correlati alla terza sospensione dei lavori, successiva all’atto di sottomissione; a tal fine il Tribunale riteneva la fondatezza tanto della domanda di risoluzione quanto del provvedimento di rescissione, affermando poi che “nella valutazione complessiva (…) la maggior responsabilità è da attribuire al convenuto, perchè il comportamento dell’attore ha rappresentato una reazione all’importante carenza progettuale, manifestatesi anche dopo l’accordo transattivo del marzo 1998”.
5. Ciò richiamato, con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dei principi di ermeneutica contrattuale, nonchè omesso esame di fatti decisivi: si sostiene che il rapporto negoziale in questione rimarrebbe disciplinato dal contratto del 1992, mentre l’atto di sottomissione del 1998 non varrebbe a porre nel nulla l’originario contratto, nè avrebbe natura transattiva, e la rinuncia di CO.GE.CO. ai danni correlati alle illegittime sospensioni, in esso contenuta, dovrebbe ritenersi travolta dalla mancata corretta esecuzione della prestazione da parte della Fabbriceria committente, da considerarsi quale condizione “implicita” presupposta.
Con il secondo motivo si deduce omesso esame di fatto decisivo, nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 1453e 1458 c.c.: avendo il Tribunale ritenuto estinto il contratto del 1992 e – ad onta della formulazione del dispositivo – erroneamente circoscritto la risoluzione al solo contratto (atto di sottomissione) del 1998, la Corte d’appello, nel ritenere la carenza di interesse di CO.GE.CO. ad impugnare la sentenza, avrebbe travisato il contenuto della sentenza del Tribunale azzerando i diritti maturati da CO.GE.CO. anteriormente alla stipula dell’atto di sottomissione; peraltro, la Corte di appello avrebbe male interpretato la domanda di CO.GE.CO., che mirava a conseguire la risoluzione del solo contratto del 1992 per inadempimento della Fabbriceria al fine di vedersi riconoscere i danni correlati al detto inadempimento per i fatti anteriori all’atto di sottomissione del 1998; quanto alla violazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., la risoluzione del contratto del 1992 avrebbe dovuto travolgere anche la clausola dell’atto di sottomissione del 1998 relativa alla rinuncia al risarcimento.
Con il terzo motivo si deduce omesso esame di fatto decisivo e violazione dell’art. 342 c.p.c.: la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile, per difetto di specificità, una doglianza (il ricalcolo del quantum risarcitorio) che tale non era, trattandosi di mera logica conseguenza dell’accoglimento dell’appello.
Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. per non essere stata esaminata la censura relativa al ritenuto concorso di colpa di CO.GE.CO. nella valutazione dell’inadempimento della Fabbriceria, concorso incidente sulla liquidazione del risarcimento.
Con il quinto motivo si deduce, infine, omesso esame e violazione dell’art. 1362 c.c. e ss.: mai la Fabbriceria avrebbe sollevato l’eccezione di decadenza dalla riserva n. 3 (relativa al settimo stato di avanzamento lavori), sicchè andava riconosciuto a CO.GE.CO. il relativo risarcimento, indipendentemente dalla sussistenza e tempestività della riserva, in forza della risoluzione.
6. Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato la Fabbriceria torna ad eccepire la competenza del collegio arbitrale: avendo le parti espressamente richiamato nel contratto, con rinvio materiale, il capitolato generale di appalto delle opere pubbliche, la fonte dell’arbitrato sarebbe non già la legge, bensì la convenzione compromissoria intercorsa tra le parti, sicchè non rileverebbe la facoltatività dell’arbitrato in forza del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 47 ripristinata a seguito della sentenza della Corte costituzionale 9 maggio 1996, n. 152.
7. Va in primo luogo esaminato il motivo di ricorso incidentale condizionato, dovendo ritenersi l’attualità dell’interesse della Fabbriceria allo scrutinio del mezzo alla luce sia della pronuncia esplicita dei giudici di merito sulla relativa questione (da ultimo, Sez. 5, 22 settembre 2017, n. 22095), sia della fondatezza – per quanto si dirà – del ricorso principale. Si afferma infatti, sia pure con riferimento al ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel merito, che il ricorso incidentale che investa questioni preliminari di merito o pregiudiziali di rito ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del principale, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, sicchè, laddove le medesime questioni siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte solo in presenza dell’attualità dell’interesse, ovvero unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale (Sez. U, 25 marzo 2013, n. 7381; conf. Sez. 3, 14 marzo 2018, n. 6138 e Sez. 1, 6 marzo 2015, n. 4619).
7.1. Il motivo non ha pregio e deve essere complessivamente respinto in quanto in parte inammissibile ed in parte infondato.
7.2. La Corte di appello si diffonde lungamente (pp. 2-7 della sentenza) sull’esame della censura, affrontando il tema della relatio contrattuale alle norme del capitolato generale alla luce della natura privata del soggetto committente e dell’opera oggetto del contratto, per concludere (pp. 6-7) che “Nel caso di specie, dunque, il richiamo operato dalle parti, nel contratto, al Capitolato Generale delle Opere Pubbliche (…) non ha valore meramente ricognitivo ma negoziale, nel senso che le norme richiamate devono ritenersi applicabili non già “ex lege” ma in virtù della concorde volontà delle parti, indipendentemente dalle successive modifiche e dalle successive pronunzie della Corte costituzionale. Tuttavia, non v’è dubbio che nel contratto le parti non hanno richiamato specificamente l’art. 43 del Capitolato Generale (…) – che prevedeva il deferimento delle controversie agli arbitri – ma tutte le norme del Capitolato Generale e, quindi, anche l’art. 47, che statuisce la possibilità di escludere la competenza arbitrale con apposita clausola inserita nel bando di gara, sì che avendo, per l’appunto, la Fabbriceria del Duomo di Monreale escluso nel bando di gara espressamente la competenza arbitrale, la presente controversia non può ritenersi demandata alla cognizione degli arbitri”.
7.3. Ne consegue la chiara infondatezza del mezzo in considerazione dell’espressa esclusione nel bando di gara della competenza arbitrale rilevata dalla Corte di appello, con autonoma ratio decidendi per vero nemmeno colta dalla ricorrente incidentale.
8. Passando all’esame dei motivi del ricorso principale – che possono essere esaminati congiuntamente, afferendo tutti, per vari rispetti, al tema dei nessi tra l’originario contratto di appalto del 1992 e l’atto di sottomissione del 1998 ai fini della corretta individuazione dei danni risarcibili – deve preliminarmente respingersi la censura di inammissibilità per genericità svolta dalla Fabbriceria, atteso che, al contrario di quanto dalla stessa dedotto, il ricorso risulta debitamente confezionato alla stregua del paradigma dell’art. 366 c.p.c. con la sufficiente esposizione dei fatti, la specifica indicazione dei vari profili di doglianza, il richiamo ai motivi di appello e ai documenti rilevanti, nonchè con la puntuale riproduzione dei passi motivazionali oggetto di critica.
8.1. E’ fondato il secondo motivo del ricorso principale, nei sensi di seguito precisati.
8.2. Come riportato retro sub par. 2 b), la Corte di appello (pp. 78 della sentenza), pur consentendo con i rilievi svolti dall’appellante CO.GE.CO. circa le “palesi contraddizioni” in cui era incorso il Tribunale (“laddove ha talora escluso il carattere novativo della scrittura del 12 marzo 1998 e talora ha invece osservato che, con il predetto atto, le parti avevano dato vita ad un nuovo rapporto, talvolta ha asserito che la mancata ripresa dei lavori da parte dell’impresa doveva ritenersi reazione alla terza illegittima sospensione dei lavori, e talvolta ha osservato invece che il provvedimento di rescissione adottato dalla committente doveva ritenersi fondato, tenuto conto dell’omessa ripresa dei lavori imputabile all’impresa”), ha affermato che CO.GE.CO. non aveva interesse a dolersi delle “discrasie esistenti nella stessa parte motiva e, dunque, tra alcune parti della motivazione ed il dispositivo, essendo stata, nel medesimo, accolta la domanda della predetta appellante, volta ad ottenere la dichiarazione di risoluzione del contratto di appalto stipulato il 7 maggio 1992 per inadempimento della fabbriceria del Duomo di Monreale”.
8.3. Tale motivazione è carente sotto un duplice profilo. Essa risulta affatto insufficiente poichè, trascurando del tutto la questione della natura e degli effetti dell’atto di sottomissione rispetto all’originario contratto di appalto, ritiene la carenza di interesse di CO.GE.CO. all’impugnazione semplicemente perchè la stessa è risultata comunque vittoriosa quanto alla domanda di risoluzione del contratto di appalto del 1992, ma tale assunto è errato in quanto all’evidenza frutto di errata interpretazione della domanda svolta da CO.GE.CO., invero volta al risarcimento dei danni derivati dall’inadempimento della Fabbriceria agli obblighi di cui al contratto di appalto.
L’assunto pertanto confligge con il principio secondo cui, in tema di impugnazioni, l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c. postula la soccombenza nel suo aspetto sostanziale, correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della decisione, e va apprezzato in relazione all’utilità giuridica che può derivare al proponente il gravame dall’eventuale suo accoglimento (Sez. 1, 12 aprile 2013, n. 8934), nè è in termini il richiamo operato dalla Corte di appello a Sez. 6-2, 27 giugno 2012, n. 10747 – secondo cui “Nell’ipotesi in cui vi sia insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo e la sentenza sia ancora impugnabile, prospettandosi la possibilità non tanto della sentenza inesistente (che radicherebbe nell’attore l’interesse all’impugnazione), quanto del passaggio in giudicato della pronunzia sulla base del dispositivo, interessata ad impugnare la decisione è unicamente la parte la cui domanda sia stata rigettata, la quale deve lamentare il vizio logico della sentenza costituito dalla mancanza di una motivazione idonea a sorreggerla.” – che non vale ad escludere l’interesse concreto di CO.GE.CO. all’impugnazione in considerazione delle ricadute risarcitorie della risoluzione, ricadute che la sentenza impugnata aggancia, come detto senza motivarne le ragioni, soltanto all’atto di sottomissione del 1998.
9. Dall’accoglimento del secondo motivo consegue l’assorbimento degli altri.
10. In conclusione, in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Palermo che, in diversa composizione, provvederà a nuovo esame.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo del ricorso principale, per quanto di ragione, assorbiti gli altri e rigettato l’incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 18 aprile 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018
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