Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.26643 del 22/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2497/2017 R.G. proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO CONSAFRAG, in persona del presidente p.t. T.M.

rappresentato e difeso dall’Avv. Carmela Sarnataro, con domicilio eletto in Roma, via Monte Santo, n. 25, presso lo studio dell’Avv. Luigi Cesaro;

– controricorrente –

e CITTA’ METROPOLITANA DI NAPOLI, in persona del Sindaco metropolitano p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Maurizio Massimo Marsico, con domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della Corte di cassazione;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di cassazione n. 15628/16 depositata il 27 luglio 2016;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 giugno 2018 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 27 luglio 2016, questa Corte ha rigettato il ricorso per cassazione proposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri avverso la sentenza del 25 maggio 2010, con cui la Corte d’appello di Napoli aveva rigettato l’appello proposto dalla medesima ricorrente avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Napoli il 23 maggio 2008, che aveva condannato la PCM al pagamento della somma di Euro 111620,52 in favore del Consorzio Consafrag, a titolo di rimborso dell’indennità corrisposta per l’occupazione di un fondo di proprietà di C. e C.P., rigettando invece l’analoga domanda proposta dal Consorzio nei confronti dell’Amministrazione Provinciale di Napoli.

Ha premesso questa Corte che, nell’individuare nella PCM il soggetto tenuto al pagamento, la sentenza di appello aveva affermato che la relativa questione, attinente al merito della controversia, non era rilevabile d’ufficio, ma rientrava nell’onere deduttivo e probatorio della parte interessata, soggetta a tempi e modi previsti per le eccezioni in senso stretto, con la conseguenza che l’eccezione non poteva trovare ingresso in riferimento alla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 22 ed al D.Lgs. 20 settembre 1999, n. 354, tardivamente invocati, ma solo in riferimento al D.L. 23 giugno 1995, n. 244, art. 22, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 8 agosto 1995, n. 341, originariamente richiamato dall’Amministrazione statale.

Ciò posto, e precisato che con riguardo a quest’ultima prospettazione la sentenza di appello aveva rigettato la censura di omessa pronuncia proposta dalla PCM, questa Corte ha rilevato che il principio applicato dal Giudice di merito era stato smentito dalle Sezioni Unite, le quali avevano affermato che la titolarità della posizione giuridica azionata è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, ritenendo pertanto che le relative contestazioni hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, e la carenza di titolarità è rilevabile anche d’ufficio, se risultante dagli atti di causa.

Questa Corte ha tuttavia ritenuto che il richiamo al predetto principio non potesse giovare alla ricorrente, dal momento che l’applicazione della L. n. 144 del 1999, art. 42 e del D.Lgs. n. 354 del 1999 avrebbe dovuto essere valutata sulla base di elementi di fatto, riguardanti la consistenza delle opere non comprese tra quelle poste a carico dello Stato per alloggi ed opere di urbanizzazione, che non potevano essere rilevati d’ufficio, non risultando acquisiti al giudizio nè incontroversi. Ha precisato infatti che il potere officioso del giudice è limitato al riconoscimento degli effetti giuridici di fatti che siano stati legittimamente allegati dalla parte e che risultino legittimamente acquisiti al processo, nonchè provati alla stregua della specifica disciplina processuale in concreto applicabile.

Ha ritenuto infine insussistente il vizio di omessa pronuncia, rilevando che la Corte territoriale aveva delibato la questione relativa al difetto di titolarità passiva sotto il profilo da essa considerato ammissibile ed in riferimento alle censure proposte con l’appello, reputandola risolta in senso sfavorevole all’appellante.

3. Avverso la predetta sentenza la PCM ha proposto ricorso per revocazione, affidato ad un solo motivo. Hanno resistito con controricorsi il Consorzio e la Città Metropolitana di Napoli, in qualità di avente causa dell’Amministrazione Provinciale, la quale ha depositato anche memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Sostiene il ricorrente che, nel ritenere non incontroversa la consistenza delle opere escluse da quelle poste a carico dello Stato per alloggi ed oneri di urbanizzazione, la sentenza impugnata è incorsa in errore di fatto, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, avendo omesso di rilevare che tra le parti risultava pacifica l’inerenza delle opere alla ricostruzione ed al recupero della Circonvallazione esterna di Napoli, allegata dal Consafrag nell’atto di citazione e menzionata sia nelle sentenze di merito che nelle difese di essa ricorrente.

1.1. Premesso inoltre di essersi limitata, nella comparsa conclusionale di primo grado, ad addurre nuovi argomenti a favore della tesi, sostenuta fin dall’origine, secondo cui il trasferimento delle opere infrastrutturali all’Amministrazione Provinciale aveva comportato la successione della stessa nella titolarità dei rapporti giuridici inerenti alla realizzazione delle stesse, la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., affermando che erroneamente la Corte d’appello aveva ravvisato l’allegazione di un fatto nuovo nel richiamo, operato da essa ricorrente, ad una sentenza del Tribunale di Napoli che, in riferimento alla L. n. 144 del 1999, art. 42 aveva riconosciuto natura strutturale ad un’opera analoga; si trattava infatti di un’argomentazione volta a fugare ogni dubbio in ordine all’applicabilità del D.L. n. 244 del 1995, art. 22 caratterizzata da un petitum ed una causa petendi non diversi da quelli delle eccezioni formulate nella comparsa di costituzione, ed il cui esame non richiedeva alcun accertamento in fatto. Essa non era soggetta alla preclusione stabilita dall’art. 345 c.p.c., non costituendo un’eccezione in senso stretto, proponibile esclusivamente dalla parte interessata, e neppure un’eccezione in senso lato, che avrebbe richiesto l’allegazione di fatti impeditivi della pretesa azionata, ma risolvendosi in un’ulteriore argomentazione giuridica volta a negare l’applicabilità della L. n. 144 del 1999.

2. Il motivo è inammissibile.

Nell’escludere la rilevabilità d’ufficio del difetto di titolarità passiva del rapporto controverso, in virtù della mancata allegazione e dimostrazione della consistenza delle opere non comprese nell’ambito degli oneri mantenuti in capo allo Stato per alloggi ed opere di urbanizzazione, la sentenza impugnata non ha infatti compiuto un proprio accertamento, ma si è limitata a prendere atto di quanto affermato dalla sentenza d’appello, trattandosi di una questione di natura sostanziale, distinta da quella processuale concernente la tempestività dell’eccezione, ed in ordine alla quale questa Corte non disponeva di autonomi poteri d’indagine, ma doveva attenersi ai fatti accertati nel giudizio di merito, così come risultanti dalla sentenza impugnata, rimasta incensurata in parte qua.

In quanto estraneo all’ambito della cognizione riservata al Giudice di legittimità, il predetto rilievo non può dar luogo ad un errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione della sentenza ai sensi del combinato disposto dell’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4: tale errore deve infatti riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, ovverosia quelli che questa Corte può esaminare direttamente, senza la mediazione della sentenza impugnata, con propria indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e deve quindi avere carattere autonomo, nel senso d’incidere esclusivamente sulla sentenza di legittimità; una siffatta evenienza, peraltro, in tanto può verificarsi in quanto siano stati dedotti errores in procedendo o siano emerse questioni processuali rilevabili ex officio, laddove quando, come nella specie, l’errore sia stato causa determinante della decisione di merito, in relazione ad atti o documenti che ai fini della stessa sono stati o avrebbero dovuto essere esaminati, il vizio che inficia la sentenza dev’essere fatto valere con i mezzi di impugnazione specificamente esperibili contro le sentenze di merito (cfr. Cass. Sez. lav., 14/04/2010, n. 8907; Cass., Sez. I, 22/11/2006, n. 24860; 22/11/2006, n. 24856).

3. Il ricorso va dichiarato pertanto inammissibile, restando assorbite le ulteriori censure proposte dalla ricorrente, che riproducono quelle già sollevate con il ricorso per cassazione, e disattese dalla sentenza impugnata.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza, e si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

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