Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.26647 del 22/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6700/2016 proposto da:

A.E., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO CARBONELLI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SABAF S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato NICOLA DOMENICO PETRACCA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato STEFANO MENDOLIA, giusta procura in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5/2016 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 12/01/2016 r.g. n. 324/15;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/02/2018 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità ed in subordine per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANTONIO CARBONELLI;

udito l’Avvocato ANDREA SOLFANELLO per delega verbale Avvocato NICOLA DOMENICO PETRACCA.

FATTI di CAUSA

Il giudice del lavoro di Brescia, accogliendo l’opposizione proposta da A.E. avverso l’ordinanza ex L. n. 92 del 2012, che aveva respinto l’impugnativa del licenziamento per giusta causa intimato il 29 novembre 2013 da SABAF S.p.A., condannava la società alla reintegrazione al pagamento di un’indennità pari a 8 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre che al versamento dei contributi previdenziali come per legge, ritenendo che l’assenza del lavoratore, recatosi in ***** per assistere il padre dal 7 ottobre al 18 novembre 2013, fosse giustificata, contrariamente a quanto contestato dall’azienda.

La Corte d’Appello di Brescia, con sentenza pubblicata il 12 gennaio 2016 (dispositivo in data 10 dicembre 2015), accoglieva il reclamo proposto da SABAF S.p.a. e in riforma dell’impugnata pronuncia rigettava ogni domanda proposta dal lavoratore, condannando quest’ultimo al rimborso delle spese di lite, osservando che in base all’art. 59 del contratto collettivo applicato era previsto il diritto dei lavoratori a 3 giorni di permesso retribuito all’anno per cause particolari, tra cui la documentata grave infermità di un parente entro il 2^ grado anche non convivente, stabilendo che il lavoratore era tenuto a preavvertire il datore di lavoro dell’evento e a indicare i giorni dell’assenza, salvo poi l’obbligo di presentare, entro i 5 giorni dalla ripresa dell’attività lavorativa, idonea documentazione medica. Quindi, nel caso di specie il 7 ottobre 2013 il lavoratore, avendo dato avviso, aveva diritto senza necessità di autorizzazione di non recarsi al lavoro e di restare assente in permesso retribuito per i soli primi 3 giorni, salvo poi l’obbligo al rientro di produrre idonea documentazione a comprova della grave infermità del padre. Per contro, nel caso in esame, trascorsi i primi 3 giorni, il lavoratore non era rientrato e non aveva inviato alcuna documentazione, ma si era limitato a telefonare, facendo presente di non sapere quando sarebbe potuto rientrare. L’azienda, che a questo punto avrebbe anche potuto contestare l’assenza ingiustificata, aveva scelto di aspettare, tollerando così l’assenza, laddove poi in data 21 ottobre il lavoratore aveva comunicato telefonicamente il miglioramento dello stato di salute del padre, però dichiarando ancora di non sapere per quanto tempo sarebbe dovuto rimanere in *****. Di conseguenza, la società in data 28 – 30 ottobre 2013 decise di contestare l’assenza ingiustificata, inviando lettera raccomandata all’indirizzo del dipendente. Secondo la Corte di appello, tale contestazione disciplinare non era tardiva, poichè il datore di lavoro, che in un primo tempo aveva mostrato di voler attendere prima di contestare l’assenza ingiustificata, ben poteva ad un certo punto – persistendo l’assenza e la totale mancanza di documentazione medica relativa alle infermità dedotta dall’interessato, nonchè la mancanza di qualsiasi domanda diretta a regolarizzare l’assenza – decidere di contestare l’assenza ingiustificata.

In seguito, il 18 novembre 2013 al rientro in Italia al lavoratore era stata consegnata una seconda lettera di contestazione, in cui si faceva espresso riferimento alla precedente del 28 ottobre 2013, inviata a mezzo posta, e al protrarsi dell’assenza ingiustificata sino a tutto 18 novembre, per un totale di 42 giorni, con assegnazione del termine di 5 giorni lavorativi per le giustificazioni.

Con reclamo incidentale il lavoratore a tal proposito aveva rinnovato l’eccezione di tardività del licenziamento per violazione dell’art. 69 del c.c.n.l. (l’eventuale provvedimento disciplinare dovrà essere comminato lavoratore entro 5 giorni dalla scadenza del termine assegnato allo stesso per presentare le sue giustificazioni, termine da indicarsi nella stessa contestazione disciplinare e comunque non inferiore in nessun caso a 5 giorni lavorativi). Secondo il reclamato – reclamante incidentale, ai sensi dell’art. 1335 c.c., il momento di operatività della presunzione di conoscenza coincideva con il rilascio dell’avviso di giacenza della raccomandata presso l’ufficio postale, sicchè da tale momento decorreva il termine di 5 giorni per le giustificazioni, e non già dal 18 novembre, cioè dalla data in cui egli aveva materialmente ritirato la lettera raccomandata presso l’ufficio postale, con l’ulteriore conseguenza che il licenziamento, intimato il 29 novembre 2013, risultava tardivo. Infatti, la seconda lettera di contestazione, in quanto contenente un semplice rinnovo della precedente, non poteva essere considerata, poichè una volta scaduto il termine per irrogare la sanzione ed estintosi così il relativo potere disciplinare, non era consentito a parte datoriale autorimettersi in termini rinnovando la contestazione del medesimo addebito.

Ad avviso della Corte distrettuale, il reclamo incidentale era infondato, dovendo considerarsi che nella lettera di contestazione spedita il 30 ottobre 2013 l’azienda, sul presupposto che il lavoratore si trovava all’estero, lo aveva invitato a presentare giustificazioni “entro il termine di 5 giorni… Che decorrerà dal giorno immediatamente successivo alla data di ricevimento della presente…”, così preoccupandosi di consentire all’interessato di prendere effettiva visione della contestazione, onde fornire idonee giustificazioni. Del resto, il succitato art. 69 del contratto collettivo autorizzava il datore di lavoro, fermo restando il termine minimo di 5 giorni, ad indicare anche una particolare decorrenza del termine al fine di consentire l’esercizio del diritto di difesa. Veniva, inoltre, citata la pronuncia di questa Corte n. 3984 del 2015, secondo cui nell’ambito del procedimento disciplinare la presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c. (presunzione di conoscenza. – La proposta, l’accettazione, la loro revoca e ogni altra dichiarazione diretta a una determinata persona si reputano conosciute nel momento in cui giungono all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.) non opera nell’ipotesi in cui il datore di lavoro sia a conoscenza dell’allontanamento del lavoratore dal domicilio e dunque dell’impedimento dello stesso a prendere conoscenza della contestazione inviata.

In ogni caso, la seconda contestazione non costituiva una mera rinnovazione della precedente, poichè con la stessa dell’azienda aveva espressamente fatto riferimento anche al “protrarsi dell’assenza ingiustificata” sino al 18 novembre, a nulla rilevando che l’oggetto della missiva indicasse “rinnovo contestazione d’infrazione”, trattandosi certamente d’infrazione sopravvenuta alla precedente già contestata. Di conseguenza, anche nell’ipotesi in cui si fosse ritenuto tardivo il recesso rispetto alla prima contestazione disciplinare, lo stesso sarebbe stato da ritenere comunque tempestivo rispetto alla seconda in ordine ad assenze ingiustificate dal 28 ottobre a tutto il 18 novembre.

Per giunta, era infondata anche l’ulteriore tesi circa la tardività del licenziamento (intimato il 29 novembre 2013), oltre il termine di 5 giorni a decorrere dal 19 novembre, data in cui il lavoratore aveva presentato le sue giustificazioni, poichè in tale data l’interessato si era limitato a presentare documentazione medica, mentre il successivo giorno 22 con l’assistenza dei rappresentanti sindacali aveva presentato richiesta scritta di poter avere altri 2 giorni per produrre ulteriore documentazione, richiesta accolta e che aveva quindi comportato il differimento dell’originario termine a difesa, assegnato sino al 27 novembre, con conseguente tempestività del licenziamento.

Quanto, poi, al reclamo in via principale, proposto dall’azienda, lo stesso doveva considerarsi fondato, non condividendo la Corte territoriale l’applicazione degli artt. 59 e 60 c.c.n.l., operata nella specie dal primo giudicante.

Considerato che l’art. 69 del contratto collettivo prevedeva il licenziamento per assenza ingiustificata prolungata oltre 4 giorni lavorativi, non poteva negarsi la sussistenza nella specie della giusta causa di recesso, tenuto conto che la lunga assenza del lavoratore, quantomeno a decorrere dalla data successiva alle dimissioni ospedaliere del padre (*****), era risultata sostanzialmente ingiustificata, non essendo stati acquisiti elementi idonei da cui poter desumere che le condizioni di salute e di vita del genitore del lavoratore fossero state tali da rendere indispensabile per un tempo così lungo la permanenza in ***** del dipendente.

Avverso l’anzidetta pronuncia, n. 5/2016, ha proposto ricorso per cassazione A.E. con atto notificato in data 9 e 10 marzo 2016, affidato a due motivi, cui ha resistito mediante controricorso del 18 aprile 2016 la SABAF S.p.a..

Memoria ex art. 378 c.p.c., è stata depositata dal solo ricorrente.

RAGIONI della DECISIONE

Con il 1 motivo il ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 69 del contratto collettivo nazionale di lavoro piccole e medie industrie metalmeccanica 29 luglio 2013 in relazione all’art. 2119 c.c., per l’errata individuazione dei criteri in base ai quali l’assenza del lavoratore potesse dirsi ingiustificata.

In sintesi, secondo parte ricorrente, di fatto sarebbero state ampiamente e tempestivamente giustificate le assenze in questione, come avvenuto anche formalmente mediante missiva del 19 nov. 2013 e successiva prodotta documentazione in data 20/22 novembre. Dunque, il lavoratore aveva giustificato le proprie assenze, sicchè non rilevava il fatto che fosse mancata apposita autorizzazione da parte datoriale, visto per giunta che l’art. 69 del c.c.n.l. faceva riferimento soltanto alle assenze ingiustificate e non già ad assenze non autorizzate.

Con il 2 motivo è stata lamentata la violazione dell’art. 69 c.c.n.l. in relazione all’art. 1335 c.c., per l’errata individuazione della decorrenza del termine per l’irrogazione di una sanzione disciplinare da parte della sentenza impugnata. In particolare, la società aveva inviato una prima contestazione disciplinare con lettera raccomandata il 30 ottobre 2013, sicchè il termine per le giustificazioni del lavoratore, ex art. 1335 c.c., decorreva dal momento in cui l’atto era stato recapitato al domicilio di quest’ultimo, e non già dal momento (18-11-2013) successivo, in cui il destinatario aveva poi ritirato il plico raccomandato. Di conseguenza, il recesso intimato soltanto il 29 novembre 2013 risultava tardivo, poichè intervenuto ben oltre i cinque giorni lavorativi successivi al termine assegnato al lavoratore per presentare le sue eventuali giustificazioni. Inoltre, la seconda lettera di parte datoriale non conteneva la contestazione di un nuovo addebito, ma il mero “rinnovo contestazione d’infrazione”, donde la decadenza dal potere d’irrogare sanzioni per inosservanza del termine all’uopo prestabilito, non essendo consentita l’elusione della norma contrattuale attraverso la rinnovazione del procedimento disciplinare. Peraltro, il rinnovo della contestazione era avvenuto il ***** mediante consegna all’interessato, che quindi aveva presentato le sue giustificazioni il successivo giorno 19, mentre il licenziamento era stato intimato soltanto il 29 novembre, dunque oltre i cinque giorni lavorativi dalle precedenti giustificazioni. Ne era derivata, pertanto, la consumazione del potere disciplinare, con conseguente operatività dell’art. 18.4 (L. n. 300 del 1970 e ss. modific.) nella formulazione attualmente vigente anche sotto tale autonomo profilo, laddove peraltro il precedente giurisprudenziale, richiamato dalla Corte d’Appello risultava inconferente, riguardando altra diversa fattispecie, laddove nella contestazione de qua, in data 28-10-13, non vi era stata alcuna convocazione a difesa dell’incolpato, ma soltanto un invito a rendere giustificazioni ai sensi dell’art. 7 St. lav. nei riguardi del lavoratore fisicamente assente dal proprio domicilio, ma che ben aveva avuto conoscenza legale della missiva, donde la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c..

Tanto premesso, le anzidette doglianze vanno disattese in forza delle seguenti considerazioni.

Ed invero, riguardo al primo motivo, lo stesso appare inammissibile, pretendendo in effetti di rivedere, irritualmente in questa sede di legittimità, quanto per contro accertato, valutato ed apprezzato dalla competente Corte di merito in ordine ai fatti di causa, per i quali ha ritenuto comunque ingiustificata la prolungata assenza del lavoratore, senza che costui avesse comprovato documentalmente il suo impedimento, segnatamente per il periodo successivo alle dimissioni ospedaliere del proprio stretto congiunto, risultando per altro verso assolutamente pacifica l’assenza dal posto di lavoro a decorrere dal sette ottobre fino a tutto il successivo 17 novembre 2013. Di conseguenza, la prova circa la fondatezza della giustificazione, segnatamente dal 14 ottobre o comunque dai giorni immediatamente successivi, incombeva al dipendente che non aveva reso le prestazioni da egli ordinariamente dovute. Ed in proposito la Corte distrettuale ha considerato i documenti prodotti dal lavoratore (certificato di degenza e di assistenza per l’arco temporale 5 / 14 ottobre 2013 e certificato inerente a prestazioni sanitarie eseguite a favore del padre del ricorrente, affetto da insufficienza renale, limitatamente a visite di controllo per i giorni 21 e 28 ottobre nonchè 4 e 11 novembre). I giudici del reclamo non hanno, quindi, ritenuto che lo stato di salute del congiunto, dopo le suddette dimissioni, fosse particolarmente grave, mancando in particolare la prova sia in merito alla non autosufficienza sia all’assenza di altre persone in grado di fornire assistenza, circostanze non integranti un fatto costitutivo dell’illecito (rectius, inadempimento) contestato, che andavano quindi provate dal lavoratore, onerato di dimostrare che l’assenza, ancorchè non previamente autorizzata, fosse comunque giustificata. Quindi, a giudizio della Corte di merito, considerata la previsione del licenziamento ex art. 69 c.c.n.l. per assenze ingiustificate prolungate oltre i quattro giorni consecutivi, non poteva negarsi la sussistenza della giusta causa del recesso, tenuto conto dell’anzidetta lunga assenza, quanto meno a decorrere da epoca successiva alle anzidette dimissioni ospedaliere, risultata sostanzialmente ingiustificata, non essendo stati acquisiti elementi da cui desumere che le condizioni salute e di vita del padre del reclamato fossero tali da rendere indispensabile per un tempo così lungo la permanenza in *****.

Parimenti, va disattesa la seconda censura mossa dal ricorrente, dovendo escludersi nella specie l’asserito ritardo, nonchè l’ipotizzata consumazione del potere disciplinare.

Correttamente, è stata richiamata la succitata giurisprudenza, secondo cui alla presunzione di cui all’art. 1335 c.c., non può valere nel caso in cui parte datoriale sia a conoscenza, come indubbiamente verificatosi nella specie (viaggio in *****), dell’allontanamento del lavoratore incolpato da proprio abituale domicilio. Inoltre, come puntualizzato a pag. 7 della sentenza de qua, la prima lettera di contestazione disciplinare, spedita il 30 ottobre 2013, sul presupposto dell’anzidetto non temporaneo allontanamento, aveva invitato il destinatario a presentare le giustificazioni entro il termine di cinque giorni, a decorrere da quello immediatamente successivo alla data di ricevimento della missiva, così preoccupandosi di consentire al lavoratore di prendere effettiva cognizione dell’incolpazione, onde poter fornire le pertinenti giustificazioni, peraltro conformemente alla lettera dell’art. 69 del c.c.n.l. circa la necessità di indicare il termine per discolparsi, appunto per garantire il pieno esercizio del diritto di difesa. Peraltro, al riguardo il ricorso in esame non può dirsi nemmeno autosufficiente ex art. 366 c.p.c., visto che non ha specificamente indicato il momento (peraltro neanche aliunde emergente dalla lettura dell’impugnata sentenza) della dedotta presunzione ex art. 1335 cit. (la cui operatività come visto è stata esclusa nella specie dalla Corte bresciana), con riferimento al rilascio dell’avviso di giacenza della raccomandata (spedita il 30 ottobre) presso l’ufficio postale, momento dal quale per l’effetto decorreva il termine dei cinque giorni per le giustificazioni (e dalla cui scadenza, ex art. 69 c.c.n.l., decorreva a sua volta il termine dei 5 gg. per la eventuale comminazione del provvedimento sanzionatorio, e non già dalla ricezione delle giustificazioni ove presentate in data anteriore al termine assegnato al lavoratore). Inoltre, opportunamente la Corte d’Appello osservava come pure nell’ipotesi in cui si fosse ritenuta operante la presunzione ex art. 1335 cit. (la cui decorrenza, però, come visto non è stata indicata da parte decorrente), ad ogni modo il licenziamento sarebbe risultato tempestivo, poichè intimato a seguito della seconda contestazione disciplinare, risalente al 18 novembre – della quale con accertamento di fatto qui insindacabile è stata esclusa la mera ripetizione della precedente, ***** – laddove era stato addebitato il protrarsi dell’assenza ingiustificata (quindi oltre il 28 ottobre 2013 e quanto meno sino al successivo 18 novembre, giorno in cui gli era stata consegnata, a mano, in azienda la seconda missiva, dopo aver ritirato in pari data, presso l’ufficio postale, la raccomandata spedita il 30 ottobre). Ne deriva che, attesa l’anzidetta permanenza dell’inadempimento, non può dirsi affatto consumato il potere disciplinare in capo alla datrice di lavoro, trattandosi di nuova condotta, ulteriore, serbata nel tempo dal dipendente e quindi autonomamente valutabile sotto il profilo disciplinare, indipendentemente dal pregresso addebito, limitato sino al 28 ottobre, data della prima contestazione. L’eventuale pregresso vizio formale risulta, dunque, ad ogni modo superato dalla corrispondente ulteriore preventiva contestazione, peraltro evidentemente tempestiva ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 7, siccome intervenuta in relazione a condotta ancora permanente in atto, o comunque a distanza di un giorno (assenza fino al 17 novembre, rientro al lavoro il successivo 18 e contestuale addebito, valido evidentemente sino al giorno prima). Per giunta, la Corte distrettuale ha rilevato in punto di fatto che il 19 novembre il lavoratore si era limitato a produrre parte di documentazione medica, sicchè il successivo giorno 22 aveva presentato, con l’assistenza di rappresentanza sindacale, una richiesta scritta, volta ad ottenere altri due giorni per la presentazione di altra documentazione, richiesta quindi accolta da parte datoriale, con conseguente differimento dell’originario termine a difesa sino al 27 novembre, giorno in cui venne prodotta dall’interessato l’ulteriore documentazione, cui faceva poi seguito la tempestiva intimazione del recesso in data 29-11-2013, dunque nel termine di giorni cinque dalla precedente consegna avvenuta il giorno 27 da parte istante.

Pertanto, non può dirsi in alcun modo violato il succitato art. 69 del contratto collettivo, nè in ordine alla potestà disciplinare di parte datoriale, nè con riguardo alla tempestività del licenziamento, poichè comminato abbondantemente nel termine di giorni cinque, così come poi prorogato a richiesta del diretto interessato, e perciò necessariamente decorrente dal momento in cui quest’ultimo aveva completato le proprie giustificazioni mediante il deposito di ulteriore documentazione.

Dunque, il ricorso va respinto, essendo inammissibili ed infondate le relative censure, con conseguente condanna del soccombente alle spese di questo giudizio di legittimità.

Non risultando, infine, agli atti di questo procedimento il deposito o l’acquisizione (almeno sino alla chiusura della pubblica udienza) di alcun provvedimento di ammissione, sia pure in via anticipata e provvisoria, al patrocinio a spese dello Stato, in favore del lavoratore, per quanto concerne il ricorso de quo (vedi sul punto anche il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 120, circa i limiti dell’ammissione al beneficio, che di regola non vale a favore del soccombente per le impugnazioni), sussistono i presupposti di legge per il versamento dell’ulteriore contributo unificato (la stessa pronuncia qui impugnata, peraltro, dava atto che, ai fini del pagamento del contributo previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, il reclamo veniva integramente rigettato. Tale norma, in effetti, ha stabilito che all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dopo il comma 1-ter fosse inserito il seguente: “1-quater. Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”).

P.Q.M.

la Corte RIGETTA il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida a favore della controricorrente in Euro 4000,00 per compensi ed in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

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