LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –
Dott. CURCIO Laura – Consigliere –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5650/2014 proposto da:
C.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QURINO VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato CARLO SEGNALINI, rappresentata e difesa dall’avvocato ELIO POLITO, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
UTEC S.R.L.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 945/2013 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 03/09/2013 R.G.N. 412/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/06/2018 dal Consigliere Dott. CARLA PONTERIO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Salerno, con sentenza n. 945 pubblicata il 3.9.13, ha respinto l’impugnazione proposta dalla sig.ra C. avverso la sentenza di primo grado che, accogliendo l’opposizione della UTEC s.r.l. al pignoramento presso terzi, aveva accertato l’integrale pagamento di Euro 29.000,00 da parte della società in favore della ex dipendente.
2. La Corte territoriale ha dato atto del verbale di conciliazione sottoscritto tra le parti il 25.1.2008, nel procedimento n. 7113/2007 di impugnativa del licenziamento, in forza del quale la UTEC s.r.l. si era impegnata ad erogare alla sig.ra C. la somma complessiva di Euro 29.000,00.
3. Ha ritenuto dimostrato il pagamento dell’intera somma in favore della predetta e non supportata da idonei elementi di prova l’allegazione di quest’ultima sulla indicazione, nell’accordo conciliativo, di una somma inferiore a quella effettivamente concordata.
4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la sig.ra C., affidato a due motivi, ciascuno articolato in violazione di legge e vizio di motivazione. La UTEC s.r.l. è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo di ricorso la sig.ra C. ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione dell’art. 2697 c.c. e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed erronea valutazione delle risultanze processuali.
2. Ha sottolineato come fosse onere della società dimostrare che il pagamento mediante assegno bancario di Euro 9.000,00 in data 25.2.08, in coincidenza con la scadenza della prima rata di Euro 1.000,00, fosse da imputare al credito oggetto del verbale di conciliazione ed ha sostenuto come tale prova non fosse stata fornita.
3. Ha aggiunto come nel verbale di conciliazione fossero specificate le singole scadenze per il pagamento della somma di Euro 17.000,00 e come erroneamente il giudice d’appello avesse ritenuto mancante una indicazione temporale degli adempimenti.
4. Col secondo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2722 e 1993 c.c. e degli artt. 244,112,115 e 421 c.p.c., nonchè per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.
5. Ha criticato la statuizione del Tribunale, di inammissibilità della prova testimoniale ai sensi dell’art. 2722 c.c., rilevando come la prova dedotta fosse finalizzata a dimostrare non l’esistenza di patti aggiunti contrari al contenuto del verbale di conciliazione, bensì la causa del pagamento di Euro 9.000,00; ha sostenuto come l’inammissibilità non fosse stata eccepita dalla società e come, ai sensi dell’art. 421 c.p.c., il giudice avrebbe potuto ammettere le prove anche al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile. Ha sottolineato come tali censure fossero state ripetute col ricorso in appello e come sulle stesse la Corte di merito avesse omesso ogni decisione.
6. I motivi di ricorso non possono trovare accoglimento.
7. Sul primo motivo, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte secondo cui “quando una parte agisce per l’adempimento di un proprio credito ed il convenuto dimostra di avere pagato delle somme idonee ad estinguere il debito, spetta all’attore, il quale sostenga che quel pagamento doveva essere imputato ad altro credito già scaduto, dare la prova dell’esistenza dell’altro credito e delle condizioni necessarie per la dedotta diversa imputazione”, (Cass. n. 17102 del 2006; Cass. n. 11703 del 2002; Cass. n. 1571 del 2000; Cass. n. 14071 del 1999).
8. La Corte di merito ha dato atto della previsione, nell’accordo conciliativo, di una suddivisione dei pagamenti in tre distinte rateizzazioni (sei rate mensili da Euro 1.000,00 ciascuna con inizio il 25.2.08; quattro rate mensili da Euro 1.500,00 ciascuna con inizio il 25.8.08; residui Euro 17.000,00 in sei rate da Euro 2.500,00 ciascuna ed una rata da Euro 2.000,00), ha correttamente addossato alla società debitrice l’onere di dimostrare l’integrale pagamento delle somme oggetto del verbale di conciliazione e, con motivazione logica e coerente, ha ritenuto assolto il relativo onere.
9. Nè in senso favorevole alla ricorrente depone la sentenza di questa Corte n. 3457 del 2007, richiamata in ricorso, secondo cui il principio sopra esposto “non trova applicazione nel caso in cui il debitore eccepisca l’estinzione del debito per effetto dell’emissione di un assegno bancario negoziato in favore del creditore prenditore in una data significativamente anteriore a quella in cui il credito fatto valere in giudizio sia divenuto esigibile, giacchè proprio la diversità di data, facendo venir meno la verosimiglianza del collegamento tra il credito azionato (nella specie, prima rata di liquidazione della quota in favore del socio uscente) ed il titolo di credito (emesso ancora prima che prendesse effetto il recesso del socio), pone a carico del debitore l’onere di dimostrare la causale dell’emissione dell’assegno e, conseguentemente, che il rilascio del titolo di credito è volto ad estinguere in via anticipata il debito per cui è processo”.
10. Nella fattispecie in esame, secondo quanto statuito dalla Corte di merito, per il pagamento della seconda tranche di Euro 17.000,00 non era stata individuata una specifica scadenza sicchè la stessa doveva considerarsi esigibile alla data in cui è avvenuto il pagamento parziale (di Euro 9.000,00) tramite assegno bancario, data coincidente con lo scadere della prima rata di Euro 1.000,00.
11. Tale statuizione, contenuta nella sentenza impugnata (secondo cui l’adempimento del “maggiore importo (Euro 17.000,00) non viene, a dispetto delle precedenti tranches, dettagliatamente e temporalmente specificato, ma per consequenzialità logica viene rimesso alla disponibilità dell’onerato imprenditore”), è stata solo genericamente censurata da parte ricorrente che non ha neanche provveduto alla trascrizione integrale del verbale di conciliazione (di cui ha riportato alcuni stralci a pag. 25 del ricorso) nè ha indicato l’esatta collocazione dello stesso negli atti processuali.
12. Inammissibile è la censura formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto non rispondente allo schema legale del nuovo testo della disposizione suddetta, applicabile ratione temporis (sentenza d’appello pubblicata il 3.9.13) al ricorso in oggetto, (cfr. Cass., S.U. n. 8053 del 2014).
13. Col secondo motivo la ricorrente ha in sostanza denunciato l’omessa pronuncia della Corte territoriale sul motivo di appello, riprodotto nel ricorso in esame (pag. 13 e ss.), volto a censurare la statuizione del Tribunale di inammissibilità della prova testimoniale perchè in contrasto con l’art. 2722 c.c. e, comunque, la mancata ammissione delle prove reiterate in appello e l’assenza di motivazione sul punto.
14. Occorre precisare come “Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte”, (Cass. n. 321 del 2016; Cass. n. 13649 del 2005; Cass. n. 22860 del 2004; Cass. n. 14670 del 2001);
15. Il mancato esame di un’istanza istruttoria non integra quindi omessa pronuncia, cioè violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè tale norma concerne unicamente le domande attinenti al merito. La mancata pronuncia su un’istanza istruttoria può dar luogo, invece, al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ove ne ricorrano gli estremi.
16. Questa Corte ha più volte precisato come “Nel rito del lavoro, l’esercizio di poteri istruttori d’ufficio, nell’ambito del contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca della verità, involge un giudizio di opportunità rimesso ad un apprezzamento meramente discrezionale, che può essere sottoposto al sindacato di legittimità soltanto come vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”, (Cass. n. 12717 del 2010; Cass. n. 16997 del 2002).
17. Nel caso in esame, in ragione dei limiti imposti dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis (sentenza d’appello pubblicata il 3.9.2013) la censura sul mancato esercizio dei poteri istruttori d’ufficio, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile, non può trovare ingresso in questa sede di legittimità. Peraltro, la sentenza d’appello ha espressamente giudicato irrilevante la “mera dichiarazione sottoscritta dalla C. (N.B.: ma anche da M.D.M.) riferita alla causale – liberalità – del versamento, non espressamente sottoscritta per accettazione da controparte”, e tale valutazione reca in sè una statuizione implicita di non decisività della prova testimoniale dedotta dalla parte appellante proprio a conferma della dichiarazione suddetta.
18. Neppure è fondata la censura di violazione dell’art. 115 c.p.c., che presuppone, come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), il mancato rispetto delle regole di formazione della prova ed è rinvenibile nell’ipotesi in cui il giudice utilizzi prove non acquisite in atti (art. 115 c.p.c.), circostanza non dedotta e non risultante nella pronuncia in esame.
19. Non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità poichè la parte convenuta non ha svolto attività difensiva.
20. Si dà atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012 n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 7 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018
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