LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 633/2013 proposto da:
M.G., *****, domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato OSCAR LOJODICE, giusta mandato in atti;
– ricorrente –
e contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato ANTONIETTA CORETTI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati VINCENZO STUMPO, VINCENZO TRIOLO;
– resistente –
avverso la sentenza n. 7040/2011 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 20/12/2011, R.G.N. 3903/2010.
RILEVATO
che:
la Corte d’appello di Bari, giudicando in sede di rinvio da cassazione sull’impugnazione di M.G., con la sentenza n. 7040 del 2011, in parziale riforma della decisione di primo grado che aveva condannato l’INPS alla riliquidazione dell’indennità di disoccupazione agricola e al pagamento delle relative differenze retributive nonchè al pagamento delle spese del giudizio liquidate in complessivi Euro 413,17, oltre accessori di legge, ha confermato tale statuizione e condannato l’Istituto a corrispondere a M.G. “gli interessi anatocistici, maturati sugli interessi di legge già corrisposti dall’Istituto al momento dell’erogazione della prestazione principale richiesta, dal dì dell’iniziale domanda giudiziale del 25.3.2003 sino al soddisfo”. Ha compensato tra le parti le spese del giudizio di appello, di quello di legittimità e del giudizio di rinvio;
contro questa sentenza propone ricorso per cassazione il lavoratore sulla base di tre motivi;
l’INPS è rimasto intimato.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1283 c.c. e degli artt. 100 e 112 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione;
deduce che la Corte di merito, in violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ha condannato l’INPS al pagamento degli interessi anatocistici sugli “interessi di legge già corrisposti dall’Istituto al momento dell’erogazione della prestazione principale richiesta”, mentre avrebbe dovuto condannare l’Istituto “come da domanda giudiziale, al pagamento degli interessi anatocistici dovuti con decorrenza dalla domanda giudiziale e sugli interessi “maturati” a tale data e non sugli interessi ipoteticamente liquidati in corso di causa”;
con il secondo motivo il ricorrente, denunciando le medesime violazioni di cui al primo motivo, deduce che la Corte di merito “ha omesso di decidere e di motivare” in ordine alla domanda con la quale era stata, chiesta, nell’atto di riassunzione in appello, la condanna dell’INPS “a corrispondere gli ulteriori interessi anatocistici ex art. 1283 c.c., con decorrenza dall’odierna domanda giudiziale, sugli interessi a tale data maturati” posto che tale richiesta, ancorchè formulata in appello, era ammissibile come affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e che la Corte di merito ha omesso ogni pronuncia;
con il terzo motivo, subordinato al mancato accoglimento dei primi due motivi – accoglimento che, secondo il ricorrente, comporterebbe un nuovo regolamento delle spese del giudizio -, il ricorrente, denunciando violazione degli artt. 24,38 e 111 Cost., artt. 91 e 92 c.p.c., violazione delle tariffe forensi nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, critica la sentenza impugnata in ordine alla statuizione relativa alle spese processuali e deduce che, nel proporre appello avverso la sentenza di primo grado, aveva chiesto la rideterminazione delle spese processuali perchè liquidate in misura inferiore ai minimi fissati dalle tariffe professionali;
la Corte di merito, nel confermare sul punto la sentenza di primo grado, ha ritenuto che le somme liquidate dal primo giudice non fossero inferiori ai minimi tariffari, escludendo le voci relative alla “corrispondenza informativa” e alla “assistenza all’udienza di trattazione”, che viceversa erano dovute;
aggiunge il ricorrente che la sentenza impugnata è altresì errata per avere compensato, per giusti motivi, le spese del giudizio di appello e di quello di legittimità in considerazione della natura seriale della lite; della modestissima entità del credito preteso; della parziale soccombenza dell’appellante in ordine al riconoscimento degli interessi anatocistici e al ricalcolo delle spese del giudizio di primo grado; dell’evidente sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste;
osserva al riguardo che la presente controversia non ha carattere seriale, avendo il giudizio di appello ad oggetto la domanda di condanna al pagamento degli interessi anatocistici e quello di legittimità la validità della notifica dell’impugnazione eseguita ai sensi dell’art. 330 c.p.c.; che “la modestissima entità del credito” non è stata precisata nella sentenza impugnata; che non v’è stata parziale soccombenza; che è da escludere che vi sia sproporzione tra l’interesse in concreto realizzato e il costo delle attività richieste, “essendo i rimedi del ricorso in appello e del ricorso in Cassazione, gli unici mezzi per ottenere il riconoscimento del diritto vantato”;
i primi due motivi, in conformità ai numerosi precedenti di questa Corte di legittimità resi in fattispecie analoghe (Cass. 17 febbraio 2015, n. 3124; n. 3241 del 2015; n. 3244 del 2015; n. 3313 del 2015; n. 3315 del 2015; n. 3316 del 2015; n. 3317 del 2015; n. 3469 del 2015; n. 3470 del 2015; n. 3531 del 2015; n. 3532 del 2015; n. 3839 del 2015; n. 3967 del 2016), sono inammissibili;
il ricorrente infatti denuncia, con entrambi i motivi, omessa pronuncia (art. 112 c.p.c.) e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ed al riguardo questa Corte ha più volte affermato (Cass. n. 15882/07 e Cass. 13866/14) che, “In tema di ricorso per cassazione, è contraddittoria la denuncia, in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Il primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4, non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5. Il secondo presuppone, invece, l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione e va denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5”;
il terzo motivo con riguardo alle spese del giudizio di primo grado è inammissibile;
la Corte di merito, nell’escludere che fossero dovute le voci relative alla corrispondenza informativa e alla assistenza per l’udienza di trattazione, ha affermato che le somme liquidate dal primo giudice non erano inferiori ai minimi tariffari. Il ricorrente censura tale statuizione, ma non indica, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, quale fosse, nel complesso, l’importo minimo degli onorari e dei diritti previsto dalla tabella professionale, al di sotto del quale la liquidazione non poteva essere effettuata;
diventa quindi irrilevante, in mancanza di tale elemento, stabilire se fossero dovute le voci relative alla corrispondenza informativa e alla assistenza per l’udienza di trattazione;
la censura relativa alle spese del giudizio di appello e di quello di legittimità (la prima sentenza di appello, come esposto nella narrativa, è stata annullata per avere quel giudice erroneamente dichiarato la nullità della notifica del ricorso) è infondata. La presente controversia è stata instaurata con ricorso depositato il 25 marzo 2003 ed è quindi applicabile, ratione temporis, l’art. 92, comma 2, nel testo allora vigente, che così disponeva: “Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti”. Al riguardo, questa Corte ha più volte affermato che in tema di compensazione delle spese processuali ex art. 92 c.p.c. (nel testo anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263), poichè il sindacato della S.C. è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altre giuste ragioni, che il giudice di merito non ha obbligo di specificare, senza che la relativa statuizione sia censurabile in cassazione, poichè il riferimento a “giusti motivi” di compensazione denota che il giudice ha tenuto conto della fattispecie concreta nel suo complesso, quale evincibile dalle statuizioni relative ai punti della controversia (cfr., fra le altre, Cass. 6 ottobre 2011 n. 20457; Cass. 31 gennaio 2008 n. 2397; Cass. 31 luglio 2006 n. 17457);
nella specie la Corte di merito non si è limitata ad affermare la sussistenza di giusti motivi, ma è andata oltre, indicando una serie di ragioni non illogiche o contraddittorie a sostegno del provvedimento di compensazione ed il motivo in esame va dunque respinto;
non si deve provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità in assenza di resistenza al ricorso da parte dell’Inps.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 20 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018
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