Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.26672 del 22/10/2018

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonino – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

A.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE ACACIE 13 (c/o CENTRO CAF), presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO DI GENIO, rappresentata e difesa dall’avvocato FELICE AMATO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. *****, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli Avvocati VINCENZO TRIOLO, ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO STUMPO, giusta delega in calce alla copia notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1665/2013 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 10/12/2013 R.G.N. 1459/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2018 dal Consigliere Dott. ROBERTO RIVERSO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ Stefano, che ha concluso per accoglimento parziale del ricorso;

udito l’Avvocato VINCENZO STUMPO.

FATTI DI CAUSA

Con la sentenza n. 1665/2013, la Corte d’Appello di Salerno accoglieva parzialmente l’appello proposto da A.C. contro la sentenza del tribunale di Salerno che, accogliendo la domanda relativa al riconoscimento di un rapporto di lavoro agricolo intercorso con l’azienda agricola ” C.A.” nell’anno 2006, ed alla conseguente attribuzione dell’indennità di disoccupazione, aveva liquidato le spese processuali in favore della ricorrente, per la metà non compensata, in Euro 1000, di cui Euro 350 per onorario, con attribuzione al procuratore antistatario.

A fondamento della sentenza la Corte d’Appello sosteneva che nella sentenza impugnata non si rinveniva la motivazione della disposta compensazione per la metà, contenuta nel dispositivo, e che anzi si leggeva che le spese di giudizio seguissero la soccombenza; che conseguentemente, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., alla ricorrente totalmente vittoriosa, erano dovute per l’intero le spese del primo grado non essendovi alcuno spazio per la compensazione delle stesse. Non potevano invece trovare accoglimento le doglianze dell’appellante relative al quantum delle spese liquidate dal primo giudice atteso che per quanto concerne il valore della causa esso non poteva ritenersi di valore indeterminabile, essendo stata la domanda rivolta essenzialmente al conseguimento della prestazione di disoccupazione e pertanto doveva farsi riferimento allo scaglione contemplante misure inferiori a quelle applicate dall’appellante (avente tetto massimo Euro 25.900). Inoltre passando all’esame delle voci di attività difensiva indicate dall’appellante, non risultavano dovute, secondo il giudice d’appello, quelle relative alla notifica della sentenza, esame ordinanza per provvedimenti di mero rinvio, assistenza udienza per ben sette udienze; vacazione; corrispondenza cliente; e che la modesta rilevanza della controversia, la quale rientrava in un ampio contenzioso seriale, giustificasse la liquidazione dei compensi in misura pari ai minimi di tariffa; pertanto le spese del giudizio di primo grado venivano liquidate in complessivi Euro 2000, di cui 700 per onorario, oltre accessori. La Corte d’appello condannava inoltre l’Inps al pagamento delle spese del giudizio di appello liquidati in Euro 930 oltre Iva e cpa come per legge.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione A.C. affidando le proprie censure a due motivi illustrati da memoria; l’INPS ha depositato procura.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91, della L. 7 novembre 1957, n. 1501, dell’art. unico della tariffa professionale di cui al D.M. n. 127 del 2004, tabella B, par. 1^, colonna 14; nonchè del principio del rispetto dei minimi previsti dalla stessa, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; violazione falsa applicazione degli artt. 10,11,12,13,14,15,16 e 17 c.p.c. e, in combinazione, del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento al capo della sentenza con cui la Corte territoriale ha ritenuto di dover riliquidare per diritti ed onorario, in relazione al giudizio di primo grado) la somma complessiva di Euro 2000 (oltre rimborso spese generali ed accessori di legge) applicando erroneamente lo scaglione tariffario per le controversie del valore da fino ad Euro 5200 fino a 25.900 (tabella A, paragrafo 2^, colonna 2 per quanto riguardava l’onorario di avvocato, e la tabella B, paragrafo 1, colonna 5, per quanto riguarda i diritti di avvocato, D.M. 8 aprile 2004, n. 127); posto che il valore della controversia, in cui erano state avanzate due domande nei confronti dell’Inps era da ritenersi di valore indeterminabile, atteso che una di esse, la più rilevante, era di richiesta di riconoscimento della sussistenza e validità del contestato rapporto di lavoro agricolo che non può essere valutato economicamente, non sussistendo un criterio sulla base del quale possa darsi una valutazione certa (come peraltro ritenuto dalla stessa corte salernitana in altre sentenze); pertanto lo scaglione tariffario avrebbe dovuto essere individuato ritenendo come valore quello indeterminabile o in subordine quello fino ad Euro 25.900,00 con aumento di diritti ed onorari.

2.- Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 794 del 1992 e succ. mod., art. 91, della L. 7 novembre 1957, n. 1501, art. unico della tariffa professionale di cui al D.M. n. 127 del 2004, n. 127 e tabella A, par. 2 e tabella B, paragrafo 1^; nonchè del principio del rispetto e dell’inderogabilità dei diritti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, avuto riguardo al capo della sentenza con cui la Corte territoriale ha ritenuto non dovuti i seguenti diritti ed onorari esposti nella notula contenuta nell’atto d’appello: notifica della sentenza, accesso in ufficio e ritiro dell’atto notificato, esame della relazione di notifica; esame ordinanza emessa dal giudice all’esito delle udienze tenute in primo grado, assistenza udienza per sette udienze; vacazione; corrispondenza cliente.

3.- Il ricorso è infondato, dato che, contrariamente a quanto si afferma in entrambi i motivi, nel caso di specie andavano applicate le tariffe vigenti al momento della liquidazione delle spese processuali (D.M. 20 luglio 2012), ancorchè il relativo giudizio fosse iniziato nel vigore delle tariffe precedenti (di cui al D.M. n. 127 del 2004); ciò in quanto, alla stregua del chiaro orientamento affermato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 17405/2012, va osservato che: “In tema di spese processuali, agli effetti del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 41, il quale ha dato attuazione del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorchè tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione omnicomprensiva di “compenso” la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata”.

Tale principio si applica anche con riferimento all’attività svolta nei gradi di giudizio conclusi con sentenza prima dell’entrata in vigore del decreto (Cass. sentenza n. 30529 del 19/12/2017).

Deve essere inoltre affermato che, ai fini della quantificazione delle spese processuali, il valore delle cause aventi ad oggetto un rapporto di lavoro agricolo a tempo determinato non può ritenersi indeterminabile posto che invece esso va rapportato nel massimo a quello di una annualità di rapporto.

Tenuto conto di tali principi, e poichè la liquidazione dell’importo di Euro 2000 relativo alle spese processuali del giudizio di primo grado, effettuata dal primo giudice e confermata in appello, non è stata correttamente censurata in relazione alle tariffe di cui al D.M. 20 luglio 2012, n. 140 (applicabili al caso di specie), rispetto alle quali si rivela comunque congrua, il ricorso deve essere rigettato, dovendo solo mutarsi la motivazione della sentenza adottata dalla Corte d’Appello (la quale non ha fatto corretta applicazione delle nuove tariffe nei termini di cui sopra), fermo restando il dispositivo che appare conforme al diritto.

4.- Al rigetto del ricorso segue la condanna della soccombente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità nell’importo di cui al dispositivo. Deve darsi atto inoltre che sussistono le condizioni richieste dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 600,00, di cui Euro 400,00 per compensi professionali, oltre al 15% per spese generali ed oneri accessori. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472