Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.26674 del 22/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5134/2016 proposto da:

STATI UNITI D’AMERICA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, FORO TRAIANO 1/A, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO COSMELLI, che li rappresenta e difende, giusta procura speciale notarile in atti;

– ricorrente –

contro

S.S., elettivamente domiciliata in ROMA, LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE MARIANI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 905/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 17/12/2015, R.G.N. 812/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/07/2018 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PULESO FRANCESCA per delega verbale Avvocato GIORGIO COSMELLI;

udito l’Avvocato BOZZI CARLO per delega verbale Avvocato ARTURO MARESCA.

Con sentenza in data 17 dicembre 2015, la Corte d’appello di Firenze rigettava il reclamo proposto dal Governo USA avverso la sentenza di primo grado, che aveva annullato, ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 8, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (a causa di riduzione del personale con soppressione della posizione lavorativa per ristrutturazione del Department of the Army ex art. 57 CCNL del personale civile non statunitense delle Forze Armate USA in Italia) intimato il 30 maggio (e con decorrenza dal 30 settembre) 2012 alla dipendente S.S.; condannato il datore di lavoro alla riassunzione o al risarcimento del danno in suo favore, liquidato in misura di quattordici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (per la sua anzianità lavorativa, in quanto addetta alla base di Camp Darby dal 1982).

Preliminarmente ritenuta l’ammissibilità della pronuncia del Tribunale di annullamento del licenziamento per violazione dei criteri di scelta, senza vizio di ultrapetizione (per la chiara deduzione dalla lavoratrice dei parametri di anzianità di servizio e di carichi di famiglia, ancorchè in riferimento alla disciplina dei licenziamenti collettivi e non di violazione dell’art. 57 CCNL cit.) e pure della proposizione con il rito Fornero anche di una domanda di tutela obbligatoria, la Corte territoriale ribadiva l’illegittimità del licenziamento per omessa comparazione della lavoratrice con tutti i colleghi esercenti funzioni fungibili con quelle svolte dalla medesima, essendovene alcuni in posizione deteriore (per anzianità e carichi familiari): con il conseguente legittimo rifiuto opposto dalla predetta al trasferimento presso la base di *****.

Essa escludeva quindi che S.S., una volta tempestivamente impugnato in via stragiudiziale il licenziamento, vi avesse poi fatto acquiescenza, per avere richiesto (ed ottenuto), in evidente funzione di sostentamento personale e familiare, l’indennità di disoccupazione e di essere assunta dallo Stato italiano ai sensi della L. n. 98 del 1971, con assegnazione dal dicembre 2014 al Ministero della Giustizia: per giunta avendo diritto alla sola tutela obbligatoria. Infine, la Corte fiorentina negava la ripetibilità del pagamento compiuto dal Governo statunitense ai sensi dell’art. 57 CCNL cit., siccome dovuto in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, indipendentemente dalla sua legittimità o meno.

Con atto notificato il 15 febbraio 2016, Governo USA ricorreva per cassazione con cinque motivi, cui il lavoratore resisteva con controricorso; entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. come error in procedendo e violazione dell’artt. 57 Condizioni di Impiego e L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 47 e 51, per nullità della sentenza in relazione alla pronuncia, in assenza di domanda (inammissibile per l’introduzione, siccome nuova, nella fase di opposizione del rito cd. “Fornero”, neppure applicabile), di illegittimità del licenziamento della lavoratrice, in violazione dei criteri convenzionali indicati nella norma negoziale denunciata, non sovrapponibili a quelli legali esclusivamente dedotti a fondamento dell’impugnazione del recesso datoriale, oltre che per inammissibilità della trattazione della pretesa di tutela obbligatoria con rito cd. “Fornero”.

2. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2113 e 2118 c.c., della L. n. 98 del 1971 e succ. mod. ed omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, per la non ritenuta acquiescenza della lavoratrice al licenziamento per la presentazione, pur dopo l’impugnazione stragiudiziale, della domanda di assunzione dallo Stato italiano ai sensi della L. n. 98 del 1971, assimilabile all’opzione, da parte dei dipendenti di istituti di credito nell’ambito di procedure di riduzione del personale, di accesso al Fondo di Solidarietà, ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità comportamento di tacita acquiescenza al licenziamento.

3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, commi 1 e 3 e art. 24, comma 1 quater, dell’art. 57 Condizioni di Impiego ed omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per l’erronea statuizione di illegittimità del recesso per violazione dei criteri di scelta, nonostante la sua natura di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, in riferimento al quale essa integra inosservanza dei principi di correttezza e buona fede, comportante una responsabilità datoriale risarcitoria: nel caso di specie pure insussistente, in assenza di danno della lavoratrice, dapprima percipiente l’indennità di mobilità dall’Inps e quindi assunta alle dipendenze dello Stato italiano.

4. Con il quarto, il ricorrente deduce violazione dell’art. 57 Condizioni di Impiego, nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., ed omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per erronea assunzione dell’omessa comparazione dal Governo USA delle mansioni della lavoratrice licenziata con quelle di colleghi, che pure la prima avrebbe potuto svolgere, avendo invece a ciò provveduto sulla base delle professionalità di ciascun dipendente e verificata la fungibilità di mansioni soltanto tra le due colleghe addette al Budget Assistant U-4 presso la base di Camp Darby, licenziate entrambe.

5. Con il quinto, il ricorrente deduce violazione dell’art. 57 Condizioni di Impiego, per erronea esclusione di illegittimità del rifiuto opposto dalla lavoratrice alla proposta di Procurement Technician (Tecnico addetto agli approvvigionamenti) di livello U-4 presso il Direttorato della Logistica di stanza a *****.

6. Il primo motivo, relativo a nullità della sentenza in relazione alla pronuncia, in assenza di domanda, di illegittimità del licenziamento della lavoratrice, in violazione dei criteri convenzionali indicati nella norma negoziale denunciata e per inammissibilità della trattazione della pretesa di tutela obbligatoria con rito cd. “Fornero”, è infondato.

6.1. Come la Corte territoriale ha accertato, nella fase sommaria il Tribunale non ha violato il principio di corrispondenza della pronuncia alla domanda per vizio di ultrapetizione della sentenza resa (sull’erroneo presupposto di un difetto di domanda di illegittimità del licenziamento “sulla base della “residua disciplina limitativa dei licenziamenti”… di cui alla L. n. 604 del 1966” per violazione dei criteri di scelta previsti dall’art. 57 CCNL di settore applicabile: così al p.to b di pag. 19 del ricorso), ma piuttosto qualificato i fatti dedotti a base della domanda. Ed ha pure condiviso la valutazione di sostanziale sovrapponibilità dei criteri legali e convenzionali, che “il giudice della fase sommaria correttamente… aveva ritenuti parametro di verifica della legittimità del recesso anche quanto alla domanda subordinata di tutela obbligatoria” (così, al quart’ultimo e terz’ultimo capoverso di pag. 2, sub p.to 1A della sentenza).

6.2. Non ricorrono pertanto i presupposti della denunciata violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., che sussiste quando il giudice attribuisca, o neghi, ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno virtualmente, nella domanda, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda; non invece quando il giudice non interferisca nel potere dispositivo delle parti nè alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (Cass. 17 gennaio 2018, n. 906). Nel caso di specie, il giudice della fase sommaria nel procedimento con “rito Fornero” si è semplicemente limitato ad una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dalla parte e quindi di fatti allegati quale causa petendi dell’azione esperita, non integrante vizio di ultrapetizione (Cass. 24 marzo 2011, n. 6757; Cass. 22 agosto 2013, n. 19424; Cass. 10 maggio 2018, n. 11289).

D’altro canto, il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve piuttosto avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale (Cass. 14 novembre 2011, n. 23794; Cass. 12 dicembre 2014, n. 26159; Cass. 7 gennaio 2016, n. 118).

6.3. Quanto al profilo di censura di inammissibilità dell’adozione del rito Fornero per una domanda di tutela obbligatoria (sub e, a pag. 22 del ricorso), prima ancora che infondato (ben potendo essere proposta con tale rito anche una domanda avente ad oggetto, in subordine come appunto nel caso di specie, l’applicazione della tutela obbligatoria: Cass. 13 giugno 2016, n. 12094), è inammissibile in quanto generico, in difetto di confutazione dell’argomentazione della Corte territoriale (all’ultimo capoverso di pag. 2 e al primo periodo di pag. 3 della sentenza). Sicchè, esso viola la prescrizione di specificità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustifichino la cassazione della sentenza (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202).

6.4. Ma il medesimo profilo è pure inammissibile in assenza di confutazione della concorrente ed autonoma ratio decidendi sul punto (“In tutti i casi, anche se.. la soluzione non sarebbe la dichiarazione di inammissibilità del ricorso bensì il mero mutamento di rito nell’ambito del presente giudizio”: così al primo capoverso di pag. 3 della sentenza). E’ noto infatti che, qualora la decisione di merito si fondi su una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza (o addirittura mancanza di specifica formulazione) delle censure ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, quelle relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 3 novembre 2011, n. 22753; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 29 marzo 2013, n. 7931; Cass. 19 febbraio 2016, n. 3307).

7. Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 2113 e 2118 c.c., della L. n. 98 del 1971 e succ. mod. ed omesso esame di fatto decisivo controverso per la non ritenuta acquiescenza della lavoratrice al licenziamento, è fondato.

7.1. A parte l’inconfigurabilità del vizio di omesso esame, nell’insussistenza dei presupposti di indicazione del “fatto storico” (rimasto inespresso), secondo il paradigma deduttivo individuato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), la Corte territoriale ha erroneamente applicato le norme di diritto denunciate.

7.2. Nè in sede di legittimità vi è preclusione di sindacato, per la riserva al giudice di merito dell’accertamento in ordine all’inesistenza di atti o comportamenti del lavoratore configurabili come rinuncia all’azione diretta alla declaratoria dell’illegittimità del licenziamento o come acquiescenza alla situazione determinatasi con il recesso, se sorretto da adeguata motivazione (Cass. 9 luglio 1994, n. 6484; principio da ultimo ribadito, in specifico riferimento alla risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso, da: Cass. 12 dicembre 2017, n. 29781). Non si tratta, infatti, di interferire sull’apprezzamento di circostanze di fatto, ma piuttosto di esaminare un vizio di sussunzione, che consiste, nell’ambito della violazione di legge, nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina: fermo e indiscusso l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito, rimanendo ad esso estranea ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (Cass. 13 marzo 2018, n. 6035; Cass. 23 settembre 2016, n. 18715).

7.3. Ed infatti, la Corte territoriale ha escluso che la presentazione da parte della lavoratrice, pur dopo l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento, della domanda di assunzione dallo Stato italiano ai sensi della L. n. 98 del 1971, abbia comportato la rinuncia ad essa, avendola ritenuta non espressiva di una volontà univoca, ancorchè implicita, della sua sicura intenzione di accettare l’atto risolutivo del rapporto (così al punto 5 di pagg. 4 e 5 della sentenza). Essa l’ha assimilata così all’ipotesi di reperimento di una nuova occupazione, temporanea o definitiva, presso altro datore (Cass. 30 marzo 1998, n. 3337; Cass. 6 novembre 2002, n. 15593) ovvero di costituzione ex novo di un rapporto di lavoro con l’impresa subentrante in un rapporto di appalto cessato, in virtù di un sistema di procedure idonee a consentire l’assunzione dei dipendenti dell’impresa in precedenza assegnataria, con loro passaggio diretto e immediato, previsto dal contratto collettivo (Cass. 29 maggio 2007, n. 12613).

7.4. Tuttavia, la fattispecie in esame è affatto diversa da quella della ricerca (prima) e del reperimento (poi) di un’utile collocazione lavorativa in funzione di sostentamento personale e familiare; e non è stata adeguatamente apprezzata (non già in fatto, non essendo contestata la ricostruzione, anche cronologica, della domanda di assunzione alle dipendenze dello Stato italiano dopo il licenziamento e dell’assegnazione dal dicembre 2014 alle dipendenze del Ministero della Giustizia, ma) nella sua specificità in diritto.

Ed infatti, nell’ipotesi in particolare di cambio di gestione dell’appalto con passaggio dei lavoratori all’impresa nuova aggiudicatrice (cd. “cambio appalto), si tratta di un semplice avvicendamento nella gestione di un appalto di servizi che la contrattazione collettiva di settore disciplina in maniera articolata e compiuta prevedendo, in presenza di specifiche condizioni, l’obbligo dell’impresa subentrante di assumere ex novo il personale in forza presso l’impresa cessante (Cass. 25 maggio 2017, n. 13179): con un sistema, di fisiologica coerenza sequenziale, di procedure idonee a consentire l’assunzione degli stessi lavoratori, con passaggio diretto e immediato, alle dipendenze dell’impresa subentrante, a seguito della cessazione del rapporto instaurato con l’originario datore di lavoro e mediante la costituzione ex novo di un rapporto di lavoro con un diverso soggetto. Sicchè, non a torto si è ritenuto che detta tutela non escluda, ma anzi si aggiunga a quella apprestata a favore del lavoratore nei confronti del datore di lavoro che abbia intimato il licenziamento, con i limiti posti dalla legge all’esercizio del suo potere di recesso: senza pertanto incidere sul suo diritto di impugnare il licenziamento intimatogli per ottenere il riconoscimento della continuità giuridica del rapporto originario. E senza che neppure la scelta effettuata per la costituzione di un nuovo rapporto implichi, di per sè, rinuncia all’impugnazione dell’atto di recesso: del tutto analogamente al reperimento di una nuova occupazione, temporanea o definitiva; posto che tali scelte non rivelano in maniera univoca, ancorchè implicita, la sicura intenzione del lavoratore di accettare l’atto risolutivo (Cass. 29 maggio 2007, n. 12613; Cass. 24 febbraio 2006, n. 4166).

7.5. Nel caso di specie, si tratta invece della possibilità di impiego del personale NATO prevista dalla L. n. 98 del 1971, art. 1, comma 1, in forza del quale i cittadini italiani dipendenti di organismi militari della comunità atlantica, licenziati a causa di provvedimenti di ristrutturazione, in possesso dei requisiti prescritti, sono assunti a domanda nelle categorie non di ruolo di cui al R.D. 4 febbraio 1937, n. 100, tabella 1^ o in categorie salariali non di ruolo corrispondenti a quelle previste per gli operai di ruolo dalla L. n. 90 del 1961, in relazione a titolo di studio e alla diversa natura delle mansioni nel biennio anteriore al 30 giugno 1969 o nel minor periodo di servizio prestato anteriormente. Il comma 2 stabilisce quindi l’applicazione al personale assunto nelle categorie impiegatizie delle disposizioni della L. n. 32 del 1966, art. 2, che prevede che gli impiegati non di ruolo assunti in conformità a specifiche disposizioni di legge con l’osservanza delle norme del D.L. n. 262 del 1948 (sei anni di lodevole ed ininterrotto servizio in posizione non di ruolo) debbano essere collocati nella “qualifica iniziale della carriera di ruolo dell’amministrazione di appartenenza corrispondente alla categoria dell’impiego non di ruolo cui appartengono”. Sicchè, tale disciplina regola, a seguito della cessazione del rapporto di lavoro con la NATO, la possibilità dell’assorbimento progressivo nell’amministrazione statale di una particolare categoria di soggetti in deroga al principio dell’assunzione del concorso (Cass. 16 giugno 2016, n. 12437).

Si comprende allora come il fatto obiettivo del licenziamento di cittadini italiani dipendenti da organismi militari della comunità atlantica, a causa di provvedimenti di ristrutturazione (circostanze accertate in fatto ed incontestate tra le parti nel caso di specie), sia requisito costitutivo per la domanda di assunzione nelle categorie suindicate dell’amministrazione statale, con assorbimento, come già ritenuto da questa Corte, in deroga al principio dell’assunzione del concorso. E’ pertanto evidente che non si tratti di una collocazione lavorativa in funzione di mero mantenimento, dal significato equivoco rispetto all’impugnazione di licenziamento proposta. Al contrario, la domanda di assunzione in questione (presentata da S.S. e soddisfatta con l’assegnazione al Ministero della Giustizia) è assolutamente incompatibile con la volontà di coltivarla, posto che un eventuale accoglimento, lungi dall’essere ininfluente, comporterebbe il venir meno del requisito costitutivo della cessazione del rapporto di lavoro.

Sicchè, la normativa scrutinata deve essere interpretata nel senso della natura di rinuncia dell’esperimento dell’iter in essa stabilito per l’impiego del personale NATO, nella ricorrenza dei requisiti suindicati, con valore pertanto di negozio abdicativo di una precedente impugnazione di licenziamento.

8. Dalle superiori argomentazioni, comportanti l’assorbimento degli ulteriori motivi, discende allora, rigettato il primo motivo, l’accoglimento del secondo, con rinvio, per l’accertamento dell’effettiva sussistenza in fatto di una rinuncia oltre che per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bologna, sulla base del seguente principio di diritto:

“La presentazione di una domanda di impiego del lavoratore NATO, licenziato a causa di provvedimenti di ristrutturazione, in possesso dei requisiti prescritti, prevista dalla L. n. 98 del 1971, art. 1, comma 1, seguita dall’assunzione alle dipendenze di un’amministrazione dello Stato, costituisce rinuncia all’impugnazione del licenziamento proposta, in quanto incompatibile con il requisito costitutivo, di cessazione del pregresso rapporto di lavoro, della possibilità di impiego esperita”.

PQM

La Corte:

accoglie il secondo motivo, rigettato il primo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Bologna.

Così deciso in Roma, il 10 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

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