Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.26678 del 22/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14662/2017 proposto R.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G MAZZINI 6, presso lo studio degli Avvocati SILVANA PATANELLA e VITO PATANELLA, che lo rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

SICILIA E SERVIZI SPA, in persona del legale rapp.te pt, elettivamente domiciliata in ROMA, V. CALABRIA 56, presso lo studio dell’Avvocato ANTONIO INGROIA, unitamente all’Avvocato LELIO GURRERA che la rappresenta e la difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 257/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 30/03/2017; R.G.N. 994/2016.

RILEVATO

che, con la sentenza n. 257 pubblicata il 30.3.2017, la Corte di appello di Palermo, in riforma della pronuncia n. 1919/2016 emessa dal Tribunale della stessa città, ha respinto il ricorso, proposto in primo grado da R.F. nei confronti della Sicilia e Servizi spa, con il quale era stato chiesto l’annullamento del licenziamento intimatogli il 22.3.2014 per mancato superamento del patto di prova apposto al contratto a tempo determinato intercorso tra le parti; che avverso la decisione di 2^ grado il suddetto R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi;

che la Sicilia e Servizi spa ha resistito con controricorso; che il PG non ha formulato richieste scritte;

che è stata depositato dal ricorrente atto di rinunzia notificato alla società ma non accettato.

CONSIDERATO

che, in via preliminare, con riguardo all’esito del presente giudizio, deve essere rilevata la incidenza della rinuncia, in quanto il legislatore di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, inequivocamente volto al rafforzamento della funzione nomofilattica della corte di legittimità, a sua volta agevolata da una definizione del giudizio di cassazione alternativa alla decisione, e dalla nuova formulazione dell’art. 391 c.p.c., comma 2, per il quale il ricorrente può (e non più deve) essere condannato alle spese, ha avallato l’ipotesi che si sia voluto dar luogo ad una sorta di incentivazione della rinuncia, che prevale quale manifestazione della volontà abdicativa rispetto ad altre forme decisionali (in termini Cass. 26.7.2008 n. 19514; Cass. 7.11.2008 n. 26850; Cass. 28.12.2009 n. 27425);

che la fattispecie in esame, in relazione al suddetto profilo, è disciplinata dall’art. 390 c.p.c., nella formulazione vigente, applicabile, ai sensi del D.L. n. 69 del 2013, art. 75, comma 2, ai giudizi dinanzi alla Corte di Cassazione nei quali il decreto di fissazione dell’udienza o dell’adunanza in Camera di consiglio sia adottato a partire dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione dello stesso decreto legge (L. 9 agosto 2013, n. 98, entrata in vigore il 21.8.2013). Ai sensi della citata disposizione, la rinuncia deve farsi con atto sottoscritto dalla parte e dal suo avvocato o anche da questo solo se è munito di mandato speciale a tale effetto. L’atto di rinuncia è notificato alle parti costituite o comunicato agli avvocati delle stesse che vi appongono il visto. Nel giudizio di cassazione, diversamente da quanto previsto dall’art. 306 c.p.c., la rinuncia al ricorso è produttiva di effetti a prescindere dalla accettazione delle altre parti, che non è richiesta dall’art. 390 c.p.c.. La rinuncia al ricorso per cassazione, essendo atto unilaterale recettizio, produce quindi l’estinzione del processo, senza che occorra l’accettazione, perchè determina il passaggio in giudicato della sentenza impugnata e comporta il conseguente venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione (Cass. Sez. Un. n. 1923/1990; Cass. n. 4446/1986; Cass. n. 23840/2008); gli adempimenti previsti dalla norma sono finalizzati, invece, soltanto ad ottenere l’adesione delle altre parti ad evitare la condanna alle spese del rinunziante ex art. 391 c.p.c. (cfr. Cass n. 2317/2016);

che nel caso de quo, pertanto, va dichiarata l’estinzione del processo; che ricorrono le condizioni di cui all’art. 92 c.p.c., vigente ratione temporis, per compensare le spese processuali, in considerazione dell’esito alterno dei giudizi di merito, del comportamento delle parti ed in specie della circostanza che la società – con determina dell’Amministratore Unico del 30.1.2018 – dopo avere ripercorso tutte le vicende delle posizioni lavorative dei dipendenti ex SISEV scrl poi confluiti nella SISE spa, ha ritenuto di mantenere l’odierno ricorrente nel posto di lavoro a tempo indeterminato;

che in materia di impugnazioni, la declaratoria di estinzione del giudizio esclude la applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, relativo all’obbligo della parte impugnante non vittoriosa di versare una somma pari al contributo già versato all’atto della proposizione dell’impugnazione (Cass. 30.9.2015 n. 19560).

P.Q.M.

La Corte dichiara estinto il processo e compensa tra le parti le spese processuali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 22 ottobre 2018

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