Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.26702 del 23/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7973/2016 proposto da:

Z.Y., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLO BOSSO, GIUSEPPINO BOSSO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.S., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANLUCA MONTELEONE giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

LA DOLCE VITA DI T.F. SAS;

– intimati –

avverso la sentenza n. 233/2016 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 16/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/02/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato CARLO BOSSO;

udito l’Avvocato ALESSANDRO FOSCHIANI per delega.

FATTI DI CAUSA

1. Z.Y. ha proposto ricorso per cassazione contro C.S. e la s.a.s. La Dolce Vita di T.F. avverso la sentenza del 16 febbraio 2016, con la quale la Corte d’Appello di Torino ha dichiarato inammissibile il suo appello avverso l’ordinanza del 3-11 novembre 2014, con cui il Tribunale di Torino, in funzione di Giudice dell’Esecuzione, provvedendo su un’esecuzione forzata per espropriazione di crediti presso terzi incoata dal C. con pignoramento notificato il 5 settembre 2014 ai danni della detta s.a.s. per l’importo di Euro 13.014,46 riguardo alle somme dovute dalla qui ricorrente alla debitrice esecutata quale corrispettivo dell’acquisito di un’azienda, aveva – dopo avere reputato il credito azionato ammontante a complessivi Euro 8.673,31 per capitale e spese sino al precetto, oltre interessi come previsti dal titolo esecutivo successivamente ad esso assegnato dette somme al C..

2. La suddetta ordinanza veniva appellata dalla qui ricorrente adducendosi che, avendo essa aveva dichiarato all’udienza per la sua comparizione di avere rilasciato per il pagamento del credito pignorato cinquantasette pagherò cambiari a favore della s.a.s., che le aveva immediatamente girate ad S.A., ex socio accomandatario della s.a.s. della s.a.s. Ilevan di S.A. & C., la quale aveva nel novembre del 2011 ceduto l’azienda alla s.a.s. La Dolce Vita, il Giudice dell’Esecuzione avrebbe dovuto rilevare: a) per un verso che a seguito dell’emissione dei pagherò, avvenuta il 29 luglio 2014, la ricorrente non era più nella disponibilità delle stesse; b) e, per altro verso che la debitrice pignorata non era più titolare del credito, essendo divenuto tale il prenditore degli effetti, cioè lo S.. Poichè il Giudice dell’Esecuzione nella descritta situazione non avrebbe potuto emettere l’ordinanza di assegnazione ed avendola emessa aveva disapplicato gli artt. 102,100,15 e 18 della Legge Cambiaria, l’ordinanza di assegnazione aveva acquisito il valore sostanziale di sentenza e come tale era impugnabile con l’appello, anzichè con l’opposizione agli atti esecutivi ai sensi dell’art. 617 cod. proc. civ..

3. La Corte torinese ha così motivato l’inammissibilità dell’appello: “Secondo gli orientamenti prevalenti di legittimità (vedi Cass. n. 5529/2011) l’ordinanza di assegnazione di un credito, costituendo l’atto conclusivo del procedimento di esecuzione forzata per espropriazione di crediti, ha natura di atto esecutivo. Pertanto essa va impugnata con il rimedio della opposizione agli atti esecutivi tutte le volte che si facciano valere vizi, ancorchè sostanziali, attinenti all’ordinanza di assegnazione oppure ai singoli atti esecutivi che l’abbiano preceduta, mentre va impugnata con l’atto d’appello qualora il contenuto di tale ordinanza, esulando dal contenuto ad essa proprio, decida questioni che integrano l’oggetto tipico di un procedimento di cognizione. In tal caso non si verte in questa ultima ipotesi, posto che l’ordinanza in questione si limita ad assegnare la somma di cui al precetto, ordinando al terzo pignorato di versare al creditore procedente le somme dichiarale dovute al debitore Dolce Vita sas di T.F.. Nè ad altra conclusione si perviene sulla base del riscontro della presenza in udienza di S.A., il quale avrebbe dedotto di essere a sua volta creditore della debitrice esecutata e di aver ricevuto in cambio taluni degli effetti indicati dall’odierno appellante. Trattasi di presenza non rituale e non assistita da regolare costituzione in giudizio (si veda a verbale l’opposizione dell’avv. Barca), sicchè non è configurabile una decisione del giudice, ancorchè implicita, su una domanda di tale soggetto in effetti non introdotta in giudizio. In considerazione di ciò con v’è dubbio che l’odierna appellante avrebbe dovuto procedere mediante il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi, con conseguente inammissibilità dell’appello.”.

4. Al ricorso per cassazione, che propone due motivi, ha resistito con controricorso il C..

5. Le parti costituite hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia “violazione degli artt. 546,547 e 548 c.p.c., art. 474 c.p.c., comma 2, dell’art. 339 c.p.c., e falsa applicazione dell’art. 617 c.p.c., comma 2, degli artt. 100 – 102 – 15 e 18,R.D. 14 dicembre 1933, n. 1669 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

Vi si censura la motivazione con cui la corte territoriale ha dichiarato inammissibile l’appello e si sostiene in primo luogo che Cass. n. 5529 del 2011, da essa evocata, non sarebbe stata pertinente, in quanto si era occupata di un caso nel quale il provvedimento di assegnazione era stato preceduto dall’accertamento con efficacia di giudicato ai sensi dell’art. 548 cod. proc. civ. del credito pignorato. In secondo luogo si sostiene che non rilevanti sarebbero anche Cass. n. 4505 del 2011 e n. 681 del 2012.

Si argomenta, invece, che nella specie avrebbero dovuto considerarsi le affermazioni di Cass. n. 5895 del 2012, di cui si riporta un ampio brano motivazionale per quasi tre pagine e si invoca, in particolare, l’affermazione che: “Invero il rimedio dell’appello, in luogo del mezzo tipico di controllo degli atti del giudice dell’esecuzione, qual è l’opposizione ex art. 617 c.p.c., è stato ritenuto ammissibile dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 9 marzo 2011, n. 5529; Cass. 23 aprile 2003 n. 6432) solo in ipotesi eccezionali, in cui il contenuto dell’ordinanza di assegnazione fuoriesca da quello ad essa proprio e assuma carattere sostanziale di una sentenza, in quanto decida su questioni che integrano l’oggetto tipico di un procedimento di cognizione, come per esempio quello dell’opposizione all’esecuzione. Al di fuori di tali ipotesi, l’ordinanza di assegnazione – scontato che, proprio perchè comporta il trasferimento del credito dal debitore-esecutato al creditore procedente, coinvolga situazioni di diritto soggettivo – non statuisce su di esse (ergo, non decide, con attitudine al giudicato), risultando, di conseguenza, priva di un requisito imprescindibile per il riconoscimento della sua appellabilità.”.

Quindi si prospetta che nel caso di specie si verterebbe in un’ipotesi di eccezionale ammissibilità dell’appello, in quanto il Giudice dell’Esecuzione aveva emesso l’ordinanza di assegnazione ancorchè la qui ricorrente non avesse dichiarato di essere debitrice, bensì di avere estinto il debito rilasciando le cambiali e, dunque, che quel giudice lo avesse fatto risolvendo una questione di diritto, cioè “ritenendo, contrariamente, al vero, che la somma fosse ancora nella disponibilità” della ricorrente.

Si sostiene ancora che l’esecutante C. avrebbe dovuto abbandonare la procedura “oppure, trattandosi di dichiarazione intorno alla quale erano sorte contestazioni (cfr. art. 548 c.p.c., comma 1), chiedere che fosse disposto l’accertamento del credito previsto dal 2 comma della stessa norma”.

Si insiste poi nella prospettazione che le somme non erano più nella disponibilità della ricorrente, per avere essa emesso prima del pignoramento le cambiali, che la sua creditrice e debitrice esecutata aveva girato allo S., che ne era il portatore.

1.1. Il motivo è privo di fondamento, anche se esige la correzione della motivazione della sentenza impugnata e l’enunciazione di un principio di diritto nuovo (che si rivela necessario, in relazione alla fattispecie all’esame, ad ulteriore precisazione di quanto statuito da Cass. (ord.) n. 7706 del 2017, che pure di recente ha statuito che: “In tema di espropriazione presso terzi, il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi è l’unico esperibile avverso l’ordinanza di assegnazione del credito ex art. 553 c.p.c., anche quando la stessa risolve questioni relative alla partecipazione dei creditori alla distribuzione della somma di cui il terzo si è dichiarato debitore.”).

Va considerato che l’esecuzione per espropriazione presso terzi, avuto riguardo a momento della notificazione del pignoramento, era disciplinata quanto al regime delle contestazioni insorte sulla dichiarazione del terzo dalla norma dell’art. 549 c.p.c., nel testo sostituito, con decorrenza dal 1 gennaio 2013, dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 20, il quale, sotto la rubrica “Contestata dichiarazione del terzo”, così disponeva: “Se sulla dichiarazione sorgono contestazioni, il giudice dell’esecuzione le risolve, compiuti i necessari accertamenti, con ordinanza. L’ordinanza produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione ed è impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’art. 617.”.

Il testo attuale del primo inciso, sostituito dal D.L. n. 83 del 2015, art. 13, comma 1, m-ter, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 132 del 2015, è, invece il seguente, che, però, non rileva (ma che se pure rilevasse, non condurrebbe ad esiti diversi): “Se sulla dichiarazione sorgono contestazioni o se a seguito della mancata dichiarazione del terzo non è possibile l’esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo, il giudice dell’esecuzione, su istanza di parte, provvede con ordinanza, compiuti i necessari accertamenti nel contraddittorio tra le parti e con il terzo.”.

1.2. Ebbene, nel regime dell’art. 549 c.p.c., applicabile al procedimento esecutivo di cui trattasi e succeduto a quello anteriormente vigente, nel quale la norma regolava l’efficacia della sentenza emessa sul giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo pignorato, siccome disciplinato allora dal testo vigente dell’art. 548 cod. proc. civ., il cui testo (a cui la ricorrente ha fatto riferimento), sotto la rubrica “mancata o contestata dichiarazione del terzo”, prevedeva, com’è noto, che in caso di mancata o contestata dichiarazione del terzo seguisse necessariamente il giudizio di accertamento del diritto pignorato, il legislatore ha previsto che qualsiasi contestazione sull’esistenza ed i termini dell’obbligo del terzo debba essere risolta ilico et immediate dal Giudice dell’Esecuzione con un’ordinanza (e nel testo modificato nel 2015 è stato regolamentata la garanzia del contraddittorio) all’esito degli opportuni accertamenti, che si svolgono come subprocedimento interno al processo di esecuzione.

Riguardo all’ordinanza con cui il detto giudice provvede sulle contestazioni si prevede soltanto il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi.

1.3. Ne segue che, qualora tali contestazioni vengano risolte in modo tale da doversi considerare esistente il credito pignorato e, dunque, l’oggetto dell’esecuzione, si verifica la situazione supposta dall’art. 553 cod. proc. civ., per cui il giudice dell’esecuzione deve provvedere all’assegnazione nei termini ivi indicati.

Il giudice dell’esecuzione può provvedervi con la stessa ordinanza di cui all’art. 549 c.p.c., oppure, pronunciata tale ordinanza, se sia necessario provvedere separatamente ai sensi dell’art. 553, può farlo con una successiva ordinanza, il che – lo si rileva esemplificativamente potrebbe essere giustificato dalla necessità di procedere ad un’attività di calcolo oppure dipendere da approfondimenti necessari ai sensi del secondo comma del detto articolo.

Ebbene, avendo il legislatore affidato espressamente al giudice dell’esecuzione il provvedere sulla risoluzione delle questioni insorte in relazione alla “contestata dichiarazione del terzo” con una ordinanza ed avendo stabilito che contro tale provvedere il rimedio sia quello dell’opposizione agli atti esecutivi, risulta palese che esso sia il rimedio unico per far valere, da parte di ognuno dei soggetti coinvolti nell’esecuzione e dunque anche del terzo debitore pignorato, i vizi, quali che essi siano, del provvedimento e, quindi, anche dell’attività procedimentale spiegata o consentita dal giudice dell’esecuzione per pervenire alla pronuncia del provvedimento.

1.4. Poichè il provvedere del giudice deve riguardare anche la risoluzione in via evidentemente sommaria delle questioni circa l’esistenza della situazione creditoria assoggetta all’esecuzione, cioè del credito pignorato, l’esclusività del mezzo di reazione concerne anche ed in ogni caso il relativo sommario accertamento, di modo che, tanto in presenza di dichiarazione totalmente negativa quanto in presenza di dichiarazione parzialmente negativa, il giudice dell’esecuzione, sebbene all’esito “dei necessari accertamenti” (ora assistiti dalle garanzie introdotte dalla riforma del 2015), è abilitato ad accertare in via provvisoria se detta situazione esista e, una volta che l’accertamento sia stato totalmente o parzialmente positivo, a desumerne le conseguenze indicate dall’art. 553, provvedendo all’assegnazione subito, con la stessa ordinanza dell’art. 549 c.p.c., oppure con separata ordinanza.

L’accertamento con le regole della cognizione piena sull’esistenza della situazione giuridica pignorata è previsto che avvenga in via oppositiva ai sensi dell’art. 617 c.p.c., e tale modalità diventa necessariamente il mezzo necessario per provocare detto accertamento.

1.5. Tanto comporta che nel caso di specie, di fronte all’ordinanza di assegnazione che esprimeva necessariamente la risoluzione in senso per lei sfavorevole della questione dell’esistenza del credito pignorato, da lei contestata per essere stato il relativo diritto incorporato in cambiali emesse a favore della debitrice esecutata e da questa girate, la ricorrente aveva soltanto il rimedio necessario dell’opposizione agli atti esecutivi.

Nel regime dell’art. 549, applicabile all’esecuzione di cui trattasi, infatti, essendo prevista la risoluzione in via sommaria delle questioni relative all’esistenza della posizione debitoria del terzo pignorato pur nel caso di dichiarazione negativa del medesimo, deve ritenersi venuta meno la possibilità di ipotizzare che contro l’ordinanza di assegnazione emessa dal giudice dell’esecuzione all’esito della risoluzione di quelle questioni si possa configurare il rimedio dell’appello. Ciò per la ragione che si debbono ritenere venute meno come estranee al rimedio dell’opposizione ex art. 617 ed al contrario con esso deducibili le situazioni in cui si reputava – in relazione al diverso modo di disciplina delle conseguenze della dichiarazione negativa del terzo, che esigevano che di fronte ad essa l’esecuzione non potesse aver corso se non all’esito del giudizio di cognizione piena individuato dall’art. 548 nel testo anteriore alla riforma del 2013 e, dunque, giustificavano il concepire il provvedimento del giudice dell’esecuzione che, di fronte ad una dichiarazione negativa radicale avesse risolto, come diceva la giurisprudenza evocata dalla sentenza impugnata e dalla stessa ricorrente, questioni da risolversi nell’ambito di un procedimento di cognizione – la configurabilità di una sentenza in senso sostanziale come tale appellabile (o ricorribile nel regime dell’art. 616 c.p.c., introdotto dalla L. n. 52 del 2006, e vigente fino alla L. n. 69 del 2009, allorquando il dovuto processo cognitivo fosse stato di opposizione all’esecuzione) e non di una mera ordinanza di assegnazione espressione del potere del giudice dell’esecuzione di provvedere sul processo di esecuzione.

In base alle considerazioni svolte il motivo non può essere accolto e si configura solo una situazione in cui la motivazione della sentenza impugnata, palesemente resa senza la contemplazione del regime dell’art. 549 c.p.c., applicabile all’esecuzione, deve solo correggersi ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., essendo il dispositivo della sentenza impugnata conforme a diritto.

La correzione va disposta sulla base del seguente principio di diritto: “Nella vigenza del regime dell’art. 549 c.p.c., introdotto dalla riforma di cui alla L. n. 228 del 2012, il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi è l’unico esperibile contro l’ordinanza del giudice dell’esecuzione che, all’esito della risoluzione delle questioni indicate dallo stesso art. 549, e, dunque, anche qualora con il relativo procedimento si sia sommariamente accertata l’esistenza della situazione debitoria del terzo pignorato in presenza di una sua dichiarazione negativa, abbia assegnato le somme pignorate. Non è più concepibile ipotizzare invece il rimedio dell’appello, previa qualificazione come sentenza sostanziale dell’ordinanza, nei casi che nel regime antecedente si individuavano come risolutivi da parte del giudice dell’esecuzione di questioni da decidersi in base ad un procedimento di cognizione, atteso che il giudice dell’esecuzione è abilitato dal nuovo art. 549 a risolvere con un accertamento sommario ogni questioni insorta in relazione alla dichiarazione del terzo”.

Nel caso di specie il giudice dell’esecuzione era legittimato a risolvere la contestazione della qui ricorrente circa il non essere più debitrice delle somme per avere rilasciato le cambiali ed ogni censura contro il modo in cui la questione è stata risolta, ivi compreso eventualmente il non aver dato corso ad eventuali accertamenti, doveva farsi dalla ricorrente con il rimedio dell’art. 617 (e, se ciò fosse avvenuto, si sarebbero dovuti considerare i principi di cui a Cass. n. 19485 del 2017).

2. Il secondo motivo deduce “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5”, e si duole che la corte territoriale non abbia esaminato la deduzione che la ricorrente, avendo rilasciato le cambiali, risultava esposta al rischio di pagare due volte.

2.1. Il motivo, al di là del fatto che avrebbe dovuto denunciarsi ai sensi dell’art. 360, n. 4, cioè come omessa pronuncia su motivi di appello, è privo di fondamento, giacchè, avendo la corte territoriale ritenuto inammissibile l’appello, bene si è astenuta dal pronunciarsi.

3. Il ricorso è rigettato.

4. Le spese, attesa la novità della questione, che ha anche comportato la correzione della motivazione, possono compensarsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 19 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018

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