LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22548-2016 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SESTO RUFO 23, presso lo studio dell’avvocato LUCIO VALERIO MOSCARINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI ERCOLE MOSCARINI giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI, 128, presso lo studio dell’avvocato EMILIO TRUCCO, rappresentato e difeso dall’avvocato CESARE GERVASI giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 331/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 29/02/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/05/2018 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.
RILEVATO
che:
con atto di citazione dell’11 settembre 2009, C.S. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso il 25 agosto 2009 con cui era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 154.937, oltre interessi, in favore di A.A. deducendo che, con scrittura privata del 30 maggio 2003, C.S., quale amministratore della S.r.l. Alba aveva promesso di acquistare da A.A. un terreno sito in ***** per il prezzo di Euro 1.540.000 circa versando un acconto. Aggiungeva che poichè A. riteneva il prezzo del preliminare eccessivamente basso, C. avrebbe riconosciuto ad A. l’ulteriore importo di Euro 154.937 a titolo di compenso per una serie di attività che A. avrebbe svolto, ma che in realtà non erano mai state poste in essere. Aggiungeva altresì che la S.r.l. Alba, nell’ambito di un altro giudizio, aveva evocato in causa A. per ottenere l’adempimento del contratto preliminare e che le parti avevano concluso una transazione in virtù della quale per il trasferimento del terreno si era raggiunto l’accordo per la più elevata somma di Euro 2.280.000 circa. Tuttavia A., approfittando della scrittura precedente all’atto di transazione aveva chiesto, con l’ingiunzione di pagamento, anche l’ulteriore importo di Euro 154.937. Tutto ciò premesso rilevava che l’obbligazione contenuta nella scrittura doveva ritenersi estinta perchè superata dall’accordo transattivo del 19 luglio 2007 e che pertanto il decreto ingiuntivo doveva essere revocato;
si costituiva A.A. il quale contestava le deduzioni avversarie rilevando che la somma ingiunta, oggetto della scrittura di riconoscimento del 30 maggio 2003, era dovuta in quanto corrispettivo di attività svolta nell’interesse di C.S. per “una serie di attività ed interventi ben difficilmente identificabili e quantificabili”;
il Tribunale di Siracusa, con sentenza dell’8 maggio 2013, riteneva infondata l’opposizione poichè l’opponente, a fonte di una ricognizione di debito, non aveva fornito una specifica prova contraria circa l’inesistenza del rapporto fondamentale;
avverso tale sentenza proponeva appello C.S. con atto di citazione delta 19 dicembre 2013 ritenendo errata la decisione per avere, invece, dato prova attraverso una molteplicità di testi escussi e documentazione prodotta, che nessuna delle prestazioni indicate nella scrittura privata di riconoscimento di debito era stata espletata dall’opposto. Si costituiva in giudizio A.A. che contestava la fondatezza del gravame;
la Corte d’Appello di Catania, con sentenza del 29 febbraio 2016, in accoglimento dell’impugnazione revocava il decreto ingiuntivo, condannando l’appellato al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio. Secondo la Corte territoriale, nella fattispecie in esame si era in presenza di una ricognizione di debito “titolata”, che rendeva più agevole l’onere probatorio del dichiarante, in quanto la prova doveva riguardare esclusivamente la insussistenza dello specifico rapporto dedotto nella scrittura del 30 maggio 2003. Nel caso di specie l’appellante aveva dimostrato, attraverso le univoche risultanze della prova testimoniale, che nessuna attività era stata svolta da A. in favore di C.S.;
avverso tale decisione propone ricorso per cassazione A.A. affidandosi a due motivi, che illustra con memoria. Resiste in giudizio, con controricorso, C.S..
CONSIDERATO
che:
come dedotto in narrativa, la Corte d’Appello di Catania ha rilevato che nella fattispecie in esame si è in presenza di una ricognizione di debito nella quale il fatto costitutivo della obbligazione è contenuto nella dichiarazione e ciò consente al promittente di fornire una prova agevolata, poichè riferita soltanto allo specifico rapporto dedotto. Tale rapporto è quello individuato originariamente nel ricorso per ingiunzione, con riferimento alla scrittura del 30 maggio 2003 e poi, diversamente connotato nella comparsa di costituzione e risposta, facendo riferimento ad una serie di attività ed interventi “ben difficilmente identificabili e quantificabili, ma comunque essenziali per il buon esito del progetto”. Tali attività sono state ulteriormente rivisitate con la comparsa di costituzione del nuovo procuratore, depositata il 23 gennaio 2012, ben oltre i termini previsti all’art. 183 c.p.c. sulla base di un contratto datato 10 marzo 2003 che l’opposto individua quale fonte della pretesa creditoria. Documento depositato, quindi, tardivamente. La Corte rileva che l’appellante aveva provato attraverso dichiarazioni testimoniali univoche che nessuna attività era stata svolta da A. in favore di C.S.. Pertanto, con una prima motivazione la Corte osserva che l’opponente ha fornito la piena prova dell’inesistenza delle prestazioni descritte nel ricorso monitorio e di quelle diverse individuate nella comparsa di costituzione e risposta di primo grado. Con una seconda argomentazione rileva che, avendo l’opposto più volte mutato la descrizione del rapporto fondamentale, non poteva più godere dell’agevolazione probatoria derivante dalla ricognizione di debito, sicchè gravava sull’opposto, quale attore sostanziale, l’onere di provare i fatti costitutivi del credito. Onere che A. non aveva assolto. La Corte territoriale osserva, altresì, che ove l’attività espletata da A. fosse riferibile ad adempimenti diversi rispetto a quelli individuati nell’atto ricognitivo, si tratterebbe di attività sulle quali “residuerebbero fondati dubbi di liceità e, quindi, sulla stessa validità della rapporto sottostante”;
con il primo motivo A.A. lamenta la violazione dell’art. 1988 c.c. e di ogni altra norma in materia di riconoscimento del debito, nonchè la violazione degli artt. 125,163,183 c.p.c. e art. 633 c.p.c. e ss. e dell’art. 2697 e di ogni altra disposizione in materia di non modificabilità dell’oggetto della domanda introduttiva, e ciò ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. In particolare, dall’esame del contenuto della scrittura privata del 30 maggio 2003 emerge che le prestazioni riferibili al ricorrente sarebbero già state espletate, con la conseguenza che non era possibile fornire una prova contraria, se non limitatamente a fatti sopravvenuti che avrebbero potuto far venire meno l’obbligo. Secondo l’orientamento giurisprudenziale in materia, nelle ipotesi di rapporto fondamentale già svolto, spetterà al promittente fornire la prova di fatti impeditivi, rappresentati dall’invalidità del negozio;
sotto altro profilo la decisione della Corte territoriale risulterebbe errata per avere fatto discendere dalla circostanza che A. aveva più volte mutato la descrizione della rapporto fondamentale, la perdita del beneficio della agevolazione probatoria derivante dalla ricognizione di debito. Al contrario avrebbe dovuto ritenere inammissibili le modifiche introdotte dallo stesso ricorrente A. alla causa petendi e petitum fissati con il ricorso per decreto ingiuntivo. In ogni caso, si tratterebbe soltanto di precisazioni delle attività riportate nella scrittura;
la censura non è specifica. Parte ricorrente non affronta la questione centrale relativa alla violazione delle norme in tema di confessione. Nella fattispecie la dichiarazione del 30 maggio 2003 contenente la ricognizione di debito “titolata”, riferita a fatti specifici, costituisce confessione. Ma in ricorso non si deduce che la Corte territoriale ha errato per non avere risolto la controversia sulla base delle regole probatorie in tema di confessione, escludendo la possibilità da parte del giudice di merito di contrastare l’efficacia della confessione con la prova testimoniale. Nell’intestazione del motivo non si denuncia la violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2735 c.c., comma 1, in relazione all’art. 2733 c.c., comma 2. Inoltre, nell’illustrazione del motivo, non si discute di tali norme in maniera esplicita o implicita, poichè parte ricorrente si limita a evidenziare, a pagina 13, che “ha errato la Corte di merito nel ritenere che il C. potesse avvalersi della prova testimoniale acquisita nel giudizio per dimostrare l’esistenza del rapporto fondamentale”. Nello stesso senso milita l’affermazione precedente (contenuta in ricorso) secondo cui, per sottrarsi al pagamento, il medesimo “avrebbe dovuto dedurre l’invalidità per nullità, violenza, dolo o errore”. Tutti profili giuridici differenti da quello della confessione;
dal mancato riferimento al carattere confessorio di quella dichiarazione deriva l’infondatezza della tesi sostenuta dal ricorrente secondo cui non si dovevano utilizzare le prove testimoniali e ciò in quanto non viene individuata la ragione giuridica che vietava di dare rilievo alle stesse;
quanto detto risulta assorbente rispetto al secondo rilievo contenuto nel primo motivo. In ogni caso con tale ultima censura il ricorrente eccepisce la propria decadenza rispetto ad una attività di modificazione dell’oggetto della pretesa, attraverso deduzioni che sono contrarie alla propria posizione e che, comunque, riguardano un profilo rilevabile d’ufficio. Sotto tale aspetto sia la prospettata ipotesi di decadenza dalla mutatio, che qualificabilità in termini di emedatio libelli delle modifiche apportate alla descrizione del rapporto fondamentale, sono assolutamente generiche oltre che viziate ex art. 366 c.p.c., n. 6, non facendo il ricorrente alcuno riferimento al contenuto del ricorso per decreto ingiuntivo e alle modifiche inserite nella comparsa di costituzione depositata dal primo e dal secondo difensore;
con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 1988 c.c. e delle altre norme in materia di riconoscimento del debito, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 rilevando che dalla scrittura privata di riconoscimento del debito del 30 maggio 2003 emerge il riferimento, da parte di A., a due differenti attività: la prima, relativa a procedimenti amministrativi; la seconda, tesa all’acquisizione di altri venditori. La motivazione della Corte fa riferimento alla prova della insussistenza di attività riferibili alla prima tipologia di incarico;
il secondo motivo è destituito di fondamento in quanto il ricorrente si duole di una circostanza che non è posta a fondamento della decisione, cioè che la Corte abbia ritenuto il venir meno delta riconoscimento di debito per effetto del mutamento della descrizione del rapporto fondamentale. Al contrario, i giudici di appello hanno affermato che quanto dedotto con tale mutamento non poteva essere provato a causa del contenuto della scrittura;
ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; in considerazione delle alterne vicende e della circostanza che il ricorrente, tra le più motivazioni poste a sostegno della sentenza, non ha censurato la valutazione, errata e decisiva, della Corte territoriale, ricorrono i presupposti per compensare integralmente le spese processuali. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e dichiara integralmente compensate tra le parti le spese processuali.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 17 maggio 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018
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