LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3554/2016 proposto da:
CODACONS, in persona del legale rappresentante p.t. U.G., in nome e per conto nonchè in favore di B.L., in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sulla figlia minore B.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI 73, presso la CODACONS UFFICIO LEGALE NAZIONALE, rappresentati e difesi dagli avvocati MARCO RAMADORI, CARLO RIENZI giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
UNIVERSITA’ CATTOLICA DEL SACRO CUORE, in persona del legale rappresentante pro tempore Prof. A.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PAISIELLO 40, presso lo studio dell’avvocato DAVID MORGANTI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati FABRIZIO ABBATE, VINCENZO ZENO ZENCOVICH, GIULIO PONZANELLI giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/12/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/06/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito l’Avvocato MARCO RAMADORI;
udito l’Avvocato DAVID MORGANTI.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione ai sensi del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 140 bis, notificato in data 7 settembre 2011, Codacons quale “procuratore sostanziale” di B.L. e quest’ultimo in proprio e quale legale rappresentante della figlia minorenne B.G., proponevano azione di classe dinanzi al Tribunale di Roma nei confronti di Università Cattolica del Sacro Cuore allo scopo di accertare la responsabilità del Policlinico Universitario Gemelli “per avere, con comportamento omissivo e violativo degli obblighi di legge e di contratto, provocato il contatto” della suddetta minore con una persona malata di tubercolosi, costringendo la minore a “estenuanti esami e pesanti profilassi” e ponendola nel rischio di sviluppare tale malattia, e di chiedere conseguentemente la condanna della convenuta a risarcire B.L., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della figlia, per il danno biologico e morale patito da lui stesso e dalla minore e per il danno esistenziale patito da lui, oltre all’ulteriore scopo di proporre l’analoga domanda di accertamento e di condanna risarcitoria per ogni neonato aderente e per i suoi genitori. Ciò perchè nel 2011 al Policlinico Gemelli di ***** era risultato che un’infermiera affetta da tubercolosi aveva lavorato nel reparto neonatale, per cui sarebbe stata coinvolta una “classe” di 1271 persone, ovvero i bambini nati dal 1 gennaio al 28 luglio del 2011. La convenuta si costituiva resistendo.
Con ordinanza del 27 aprile 2012 il Tribunale dichiarava inammissibile l’azione.
Avendo proposto reclamo Codacons e B.L., la Corte d’appello di Roma lo rigettava con ordinanza dell’i dicembre 2015.
2. Ha presentato ricorso Codacons “in nome e per conto, nonchè in favore” di B.L. in proprio e quale legale rappresentante della figlia minorenne B.G., articolandolo in tre motivi.
2.1 I motivo sub A denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 140 bis, artt. 24 e 111 Cost., e della “normativa comunitaria dove è stato codificato il principio del giusto processo”.
La corte territoriale avrebbe “stravolto l’iter procedimentale” dell’invocato articolo 140 bis, snaturando la fase dell’ammissibilità e ledendo il diritto di difesa e il diritto al contraddittorio pieno, di “matrice comunitaria” e accolto nel novellato art. 111 Cost., Sussisterebbero infatti due fasi: l’ammissibilità dell’azione e il merito; e il giudice potrebbe dichiarare inammissibile l’azione soltanto se la pretesa “appaia alla logica del tutto priva di fondamento”, senza però anticipare la valutazione del merito, proprio per questo la norma avvalendosi dell’espressione “manifesta infondatezza” – anzichè “ragionevole probabilità” di accoglimento come nel caso dell’art. 348 bis c.p.c.. -. Invece la corte territoriale avrebbe valutato il merito, oltre il limite dell’ammissibilità, occupandosi “addirittura di un danno apoditticamente prospettato e, quindi, privo di ogni specificazione e prova”: ma non sarebbe corretto applicare nella fase di ammissibilità la logica tipica della sentenza di merito, ovvero dell’allegazione e della prova.
Viene poi criticata la motivazione a proposito degli esiti della perizia svoltasi in un incidente probatorio penale, sostenendo che “l’utilizzo degli elementi di giudizio” provenienti da tale prova atipica avrebbe condizionato la decisione nel merito. Si contestano altresì le attribuzioni di apoditticità e insussistenza, nonchè l’uso dell’espressione “a fortiori” nella motivazione.
Si osserva inoltre che la prova atipica sarebbe ammissibile “nel giudizio di merito ad istruzione piena” e non “nella fase di filtro anticipatoria” di esso, perchè in tale fase la parte ancora non avrebbe potuto fornire la sua prova contraria.
2.2 n motivo sub B denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 140 bis, artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2059 e 2729 c.c., artt. 24 e 111 Cost., e della “normativa comunitaria dove è stato codificato il principio del giusto processo”.
La corte territoriale avrebbe definito insussistente il danno perchè le voci di danno prospettate sarebbero soggettive e non tali da ledere il diritto alla salute. Ma l’invocato art. 140 bis, non si riferisce al diritto alla salute per restringere l’ambito dell’azione di classe; e l’art. 2059 c.c., attiene a danni non patrimoniali non limitati al danno biologico. Il danno non patrimoniale e il danno biologico non sarebbero d’altronde sovrapponibili; e i danni prospettati nel caso in esame non sarebbero neppure “eminentemente soggettivi e quindi non identici”, viste le condivisibili osservazioni al riguardo svolte dal Tribunale.
Anche la “presunta apoditticità della prospettazione di danno” non sarebbe condivisibile sia sul piano “fattuale” (si tratterebbe di “un fuor d’opera”, essendo il danno “di tutta evidenza e di immediata intuibilità”), sia sul piano giuridico, perchè nella fase di ammissibilità “la domanda si presenta necessariamente ancora non provata”. La giurisprudenza di legittimità avrebbe inoltre più volte affermato che il danno morale, in quanto interiore e areddituale, è di difficile prova. Si argomenta poi a proposito del paterna d’animo che avrebbe subito la famiglia B. per quanto accaduto alla neonata, deducendone che il danno subito dagli appartenenti alla classe non sarebbe apodittico, bensì meritevole di risarcimento.
2.3 Il motivo sub C denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, il D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 140 bis, artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2059 e 2729 c.c., artt. 24 e 111 Cost., e della “normativa comunitaria dove è stato codificato il principio del giusto processo”.
Prendendo le mosse dall’asserto che il giudice d’appello avrebbe fatto “cattivo uso dei poteri di valutazione delle prove”, si svolgono argomenti attinenti alla perizia dell’incidente probatorio penale che dubiterebbe della validità predittiva del test Quantiferon, e attinenti allo stesso suddetto test nonchè al test Mantoux.
Si è difesa con controricorso Università Cattolica del Sacro Cuore.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1 Invero, nelle more del giudizio si è introdotto l’intervento chiarificatore di S.U. 1 febbraio 2017 n. 2610, per cui, se l’azione di classe ex art. 140 bis, del Codice del consumo risulta finalizzata unicamente ad una “tutela risarcitoria di un pregiudizio subito dai singoli appartenenti alla classe” e non anche a tutelare “un interesse collettivo”, l’ordinanza di inammissibilità emessa dalla Corte d’appello in sede di reclamo non è impugnabile con ricorso straordinario ex art. 111 Cost., comma 7, “essendo il medesimo diritto suscettibile di tutela attraverso l’azione individuale finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno”.
Il che, ovviamente, si fonda sulla natura non decisoria di tale ordinanza, precisando infatti le Sezioni Unite che la dichiarazione di inammissibilità rende non riproponibile l’azione di classe da parte degli stessi attori – non lesi per la proponibile tutela individuale – ma neppure inficia la posizione degli altri soggetti annoverabili nella classe, i quali possono proporla qualora non abbiano aderito all’azione dichiarata inammissibile.
E nel caso in esame, rigettando il reclamo avverso l’ordinanza con cui il giudice di prime cure aveva dichiarato la inammissibilità dell’azione di classe, la corte territoriale ha emesso un provvedimento riconducibile, in assoluta evidenza, alla tipologia non decisoria indicata dall’appena richiamato intervento delle Sezioni Unite.
3.2 Nella memoria depositata, Codacons tenta, logicamente in via preliminare (si vedano le pagine 2-6), di fronteggiare l’intervento nomofilattico – pur senza indicarne i dati identificativi -, richiamandone il passo centrale per cui, se l’azione di classe è diretta ottenere “la tutela risarcitoria di un pregiudizio subito dai singoli appartenenti alla classe e non anche un interesse collettivo”, l’ordinanza di inammissibilità emessa dalla Corte d’appello in sede di reclamo non è impugnabile con ricorso straordinario “essendo il medesimo diritto suscettibile di tutela attraverso l’azione individuale finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno”, e deducendone: “Ne deriva, pertanto, che qualora l’azione di classe sia finalizzata a tutelare un interesse collettivo, l’ordinanza di inammissibilità è ricorribile” con ricorso straordinario; e sarebbe “proprio questo il caso” poichè la domanda di proposizione dell’azione di classe avrebbe chiesto in via preliminare di accertare l’ammissibilità della domanda e di “definire i caratteri dei diritti individuali oggetto del giudizio, specificando i criteri di inclusione degli eventuali aderenti alla classe, e stabilire i termini e le modalità per la più opportuna pubblicità ai fini dell’adesione”, nonchè nel merito di accertare la responsabilità del Policlinico Gemelli “per aver, con comportamento omissivo e violativo degli obblighi di legge e di contratto, provocato il contatto della piccola B.G. con una persona malata, costringendola ad estenuanti esami e pesanti profilassi ed esponendola al continuo e perenne rischio di sviluppare la Tubercolosi” e, ancora nel merito, di accertare la responsabilità del Policlinico Gemelli “per aver con comportamento omissivo e violativo degli obblighi di legge e di contratto provocato il contatto di tutti i componenti della classe dei bambini risultati negativi ai test con una persona malata, costringendoli ad estenuanti esami e pesanti profilassi ed esponendoli al continuo e perenne rischio di sviluppare la Tubercolosi”.
Pertanto non vi potrebbe “essere dubbio alcuno sul fatto che l’azione di classe” in esame sarebbe “finalizzata a tutelare un interesse collettivo”, in quanto la pretesa risarcitoria “deve essere assolutamente considerata come domanda subordinata. Ossia, accertato l’interesse collettivo che si intendeva tutelare, una volta dichiarata l’ammissibilità dell’azione di classe, nel merito ed esclusivamente nel merito, si doveva discutere se era possibile o meno ottenere la domandata pretesa risarcitoria”.
L’argomento apportato nella memoria è privo di consistenza, in primis perchè la conformazione del petitum riportata nel suo nucleo come attestata sull’accertamento, degradando la domanda di condanna a un livello subordinato, altro non è che un’artificiosa reductio della sua conformazione reale, così come trascritta nello stesso ricorso, alle pagine 2-3, dove, prima di passare all’accertamento di responsabilità nei confronti dei componenti della classe (sub 5), si è chiesta (sub 4) proprio la condanna risarcitoria a favore del B. in proprio e quale legale rappresentante della figlia, con tanto di quantificazione di sette voci di danno; e anche a seguito della successiva proposizione della domanda di accertamento di responsabilità verso i componenti della classe viene proposta la relativa domanda di condanna (sub 6) con le specifiche quantificazioni di sette analoghe voci di danno. E dunque, la domanda di condanna è qui subordinata alla domanda di accertamento (implicitamente) soltanto per il suo contenuto giuridico da essa discendente, ma non per scelta – come tende a prospettare la suddetta memoria – della ricorrente espressiva di una volontà incentrata sull’accertamento e unicamente – o quantomeno in tesi – su questo.
3.3 D’altronde, anche qualora fosse stata presentata soltanto domanda accertatoria, ciò non sarebbe stato sufficiente a renderne il contenuto riconducibile ad un interesse collettivo, poichè tale accertamento avrebbe potuto essere ottenuto dai danneggiati mediante azione individuale. Il che significa, appunto, che una domanda ex art. 140 bis del Codice del consumo la quale venisse proposta anche solo per l’accertamento dell’esistenza di una responsabilità di uno o più soggetti per causazione di danno risarcibile nei confronti di una classe di soggetti non sarebbe idonea a imprimere decisorietà nella dichiarazione della sua inammissibilità, proprio per quanto hanno riconosciuto – e tratto prima ancora dalla logica che dal diritto – le Sezioni Unite, ovvero per la completa fungibilità nella tutela dei danneggiati della corrispondente azione individuale.
Esaminando infatti un caso analogo a quello presente, le Sezioni Unite distinguono l’azione risarcitoria di danni “che i proponenti della domanda o i successivi aderenti all’azione di classe assumono di avere subito per effetto delle condotte contestate alla convenuta” dall’azione “volta alla tutela di un interesse collettivo riferibile all’associazione rappresentativa o ai proponenti”, e ribadiscono, sulla scorta di un insegnamento notoriamente consolidato, che la decisorietà “consiste nell’attitudine del provvedimento del giudice non solo ad incidere su diritti soggettivi delle parti, ma ad incidervi con la particolare efficacia del giudicato”; e poichè l’art. 140 bis, al primo comma, stabilisce che i diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti di cui al secondo comma e gli interessi collettivi “sono tutelabili anche attraverso l’azione di classe”, “emerge chiaramente che tale azione, ove sia proposta… unicamente a fini risarcitori e non a tutela di interessi collettivi, non costituisce altro che uno strumento apprestato dal legislatore per far valere la domanda risarcitoria: costituisce, cioè, un mezzo processuale di tutela che…si aggiunge a quello ordinario spettante al singolo interessato per ottenere il bene della vita consistente nel risarcimento di un danno che egli assume di aver subito per effetto della condotta posta in essere dal soggetto danneggiante”; e “la possibilità di far valere in via collettiva una pretesa risarcitoria può concorrere ad attribuire alla pretesa stessa una efficacia maggiormente incisiva nei confronti del danneggiante”, ma “non comporta che, nel caso in cui vengano fatte valere unicamente posizioni individuali e non venga quindi azionato un interesse collettivo, il bene della vita cui mira la domanda sia diverso dal ristoro del pregiudizio subito dal singolo appartenente alla classe e sia, quindi, un bene che può senz’altro essere tutelato anche attraverso la proposizione di un’azione individuale avente la medesima finalità”. Vale a dire che “la differenza soggettiva che si ha tra azione di classe e azione individuale, allorquando con la prima vengano fatte valere pretese che incidono esclusivamente sul piano risarcitorio o restitutorio, non determina un mutamento dell’oggetto della domanda, che continua ad essere la pretesa alle restituzioni o al risarcimento del danno subito da ciascuno degli appartenenti alla classe che abbiano agito con l’azione di cui all’art. 140 bis. Ne consegue che ove si riconoscesse la natura decisoria del provvedimento che definisce in sede di reclamo il giudizio con dichiarazione di inammissibilità – senz’altro definitivo in quanto avverso lo stesso non è previsto alcun rimedio impugnatorio – verrebbe meno la possibilità stessa del singolo attore proponente l’azione di classe di ottenere altrimenti il bene della vita oggetto della domanda giudiziale”.
3.4 Se è vero, allora, che queste argomentazioni rinvenibili al centro dell’intervento nomofilattico potrebbero – tramite una interpretazione letterale “forzata”, peraltro – intendersi come identificanti l’azione di classe di cui sia dichiarabile la inammissibilità con provvedimento non impugnabile con ricorso straordinario nell’azione risarcitoria e/o restitutoria, a contrario rimanendo così estranea alla non impugnabilità con ricorso straordinario un’azione unicamente accertatoria, risulta peraltro agevole il superamento di questa apparente distinzione.
L’art. 140 bis pone sempre una congiunzione tra il petitum accertatorio e il petitum di condanna, non prevedendo letteralmente una domanda soltanto accertatoria. Peraltro, se ciò si volesse intendere nel senso che il petitum veicolato come azione di classe deve sempre includere anche la condanna, la conseguenza non sarebbe quella prospettata nella memoria di Codacons ovvero che l’azione meramente accertatoria rimarrebbe impugnabile con ricorso straordinario -, bensì, a priori, sarebbe la non proponibilità dell’azione meramente accertatoria, poichè la norma relativa all’azione di classe dovrebbe essere intesa come esigente un inscindibile petitum di accertamento e di condanna.
E allora una simile lettura – che è quella, a ben guardare, implicitamente prospettata nella memoria di Codacons – prova troppo. E lo fa perchè, nella sua artificiosità, è diretta a schivare il reale nucleo del ragionamento delle Sezioni Unite, ovvero la fungibilità dello strumento processuale.
In sintonia con il consolidato discrimen indicato dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte per distinguere i provvedimenti ricorribili in via straordinaria dai provvedimenti non ricorribili, il parametro della decisorietà viene posto dalle Sezioni Unite nella infungibilità del provvedimento: e quindi, applicandolo, se con un’azione individuale può essere chiesto l’accertamento di una responsabilità per causazione di danni, anche qualora non si proponga congiuntamente pure la domanda di condanna al risarcimento di tali danni, il provvedimento che abbia dichiarato inammissibile un’azione di classe richiedente tale accertamento per un gruppo di soggetti (la cosiddetta classe, appunto) non può inficiare la proponibilità della suddetta azione individuale, ovvero non ha alcuna portata decisoria.
Avrebbe dovuto, dunque, la ricorrente addurre e dimostrare che ciò di cui è stato chiesto l’accertamento con l’azione di classe nel caso in esame (anche a prescindere dalla presenza, sopra constatata, della congiunta domanda di condanna) non è riconducibile ad un diritto/interesse individuale, id est attiene ad uno specifico interesse collettivo. Come si è visto, invece, la ricorrente, per sostenere la decisorietà dell’ordinanza della corte territoriale, appigliandosi in modo implicito ad una letteralità “forzata”, oltre al mero asserto dell’esistenza di un interesse collettivo neppure definito con adeguata specificità (memoria, pagina 5), ha soltanto tentato di scindere la domanda di accertamento dell’azione di classe in esame dalla – pur anch’essa proposta – domanda di condanna: e questo per di più, in ultima analisi, come se la diversità del petitum potesse ontologicamente estendersi nell’ambito della causa petendi nel senso di trasformare il diritto individuale leso in un interesse collettivo leso.
Non risulta quindi discutibile sotto nessun profilo, in conclusione, la carenza di decisorietà del provvedimento impugnato.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, la sopravvenienza dell’intervento delle Sezioni Unite nelle more del giudizio giustificando la compensazione delle spese processuali.
Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso compensando le spese processuali.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 8 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018