LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –
Dott. NAPOLETANO Lucio – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16578-2017 proposto da:
C.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ELEONORA ARBOREA 30, presso il proprio studio, rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO ANGELONI;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 8633/9/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI ROMA, depositata il 19/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON.
RILEVATO
che:
Con sentenza n. 8633/9/16 depositata in data 19 dicembre 2016 la Commissione tributaria regionale del Lazio respingeva l’appello proposto da C.B. avverso la sentenza n. 19164/17/15 della Commissione tributaria provinciale di Roma che ne aveva respinto il ricorso contro il diniego di condono IVA ed altro 2007.
La CTR osservava in particolare che la cartella di pagamento alla cui lite afferiva l’istanza di condono D.L. n. 98 del 2011, ex art. 39, comma 12, – non poteva essere considerata quale “atto impositivo”, bensì quale mero “atto riscossivo”, poichè derivante dal mancato versamento dell’IVA di detta annualità, relativi interessi e sanzioni.
Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo due motivi.
L’intimata agenzia fiscale non si è difesa.
CONSIDERATO
che:
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, poichè la CTR ha ritenuto non condonabile la lite afferente la cartella di pagamento de qua, in quanto mero atto di liquidazione del tributo non versato e non quindi qualificabile come atto impositivo nel senso previsto da detta disposizione legislativa condonistica, pertanto confermando la statuizione dei primi giudici di rigetto del ricorso introduttivo della lite avverso il diniego di definizione agevolata della lite medesima.
La censura è infondata.
Va ribadito che ” In tema di condono Fiscale, la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 16 consentendo la definizione agevolata delle sole liti aventi ad oggetto un atto impositivo comunque denominato, non si applica alle controversie riguardanti la cartella, emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, con cui l’amministrazione finanziaria richiede il pagamento di versamenti omessi e delle conseguenti sanzioni, poichè tale atto non ha natura impositiva, derivando, per quanto attiene ai versamenti, da una mera liquidazione dei tributi già esposti dal contribuente, con riferimento alle sanzioni, da un riscontro puramente formale dell’omissione, senza alcuna autonomia e discrezionalità da parte dell’Amministrazione. (Nella specie, la cartella impugnata scaturiva da un controllo automatizzato della dichiarazione che faceva emergere l’omissione del versamento IVA annuale a saldo) (Sez. 5, Sentenza n. 1571 del 28/01/2015, Rv. 634349 – 01; successive conformi, ex multis, Sez. 5, 7279-7536/2016; Sez. 6-5, 1410 – 14344/2017).
E peraltro tra le medesime parti si devono registrare due precedenti in senso del tutto conforme a tale principio di diritto (Sez. 6-5, 2198/2018, relativo all’annualità 2006, e 2546/2018).
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’omessa pronuncia sulla propria subordinata istanza di rimborso delle somme versate in violazione dall’art. 112 c.p.c..
La censura è infondata.
Va ribadito che “Non è configurabile il vizio di omessa pronuncia quando una domanda, pur non espressamente esaminata, debba ritenersi – anche con pronuncia implicita – rigettata perchè indissolubilmente avvinta ad altra domanda, che ne costituisce il presupposto e il necessario antecedente logico – giuridico, decisa e rigettata dal giudice” (Sez. 1, Sentenza n. 17580 del 04/08/2014, Rv. 631894 – 01; conforme, Sez. 2 – Sentenza n. 1539 del 22/01/2018, rv. 647081 – 01).
Può senz’altro opinarsi che, confermando il rigetto dell’impugnazione avverso l’atto riscossivo de quo, il giudice tributario di appello abbia con ciò implicitamente rigettato anche la subordinata istanza di rimborso delle somme versate, essendo del resto evidente che tali somme rappresentano un minus rispetto ai maggiori crediti erariali sussistenti in conseguenza della non condonabilità delle relative pretese.
Nulla per le spese stante la mancata costituzione dell’Agenzia fiscale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento) da parte del ricorrente dell’ulteriore importo) a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018