Corte di Cassazione, sez. II Civile, Sentenza n.26757 del 23/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6115/2013 proposto da:

G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 308, presso lo studio dell’avvocato UGO RUFFOLO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO BERTI;

– ricorrente –

contro

D.L.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 41, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE LUCIO PATTI, rappresentata e difesa dagli avvocati ENRICA SELVATICI, LUIGI BALESTRA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 89/2012 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 16/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/06/2018 dal Consigliere VINCENZO CORRENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI CORRADO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SIMONA CARDILLO, con delega dell’Avvocato UGO RUFFOLO difensore del ricorrente, che ha chiesto di riportarsi agli atti;

udito l’Avvocato LUIGI BALESTRA, difensore della controricorrente, che ha chiesto di riportarsi agli atti.

FATTI DI CAUSA

Con ricorso al Tribunale di Bologna G.A. chiedeva sequestro giudiziario di titoli mobiliari presso il Credito Romagnolo giacenti in conto deposito, avente un separato conto corrente di appoggio intestato alla moglie D.L.A. deducendo che le somme ed i titoli depositati, intestati alla moglie in separazione dei beni, in realtà erano di sua proprietà come da dichiarazione della D.L. del 31.8.1992; sosteneva anche che la moglie aveva dato esecuzione agli accordi per titoli presso altra banca mentre si era rifiutata per il conto presso la Cariplo.

Autorizzato il sequestro ed iniziato il giudizio di convalida, l’attore promuoveva altra causa per accertare la sua proprietà rispetto a contratti di compravendita.

I procedimenti venivano riuniti, la moglie contestava le pretese e con sentenza non definitiva il Tribunale dichiarava che la sottoscrizione 31.8.1992 era autografa, respingeva la domanda di simulazione relativa ai beni immobili, convalidava il sequestro limitatamente al 50% dei titoli e somme sequestrate fatta eccezione per il conto ***** presso il Credito Romagnolo e del pacchetto azionario presso lo stesso Credito Romagnolo, di proprietà esclusiva della D.L. mentre altri titoli appartenevano alle parti al 50%; rigettava la riconvenzionale della D.L..

Con sentenza definitiva, previo accordo tra le parti si disponeva la divisione dei titoli e somme di denaro e si dichiarava cessata la materia del contendere con compensazione delle spese per 1/4 e condanna del G. alla restante parte quale prevalente soccombente.

Proposto appello principale dal G. ed incidentale dalla D.L. la Corte di appello, con sentenza 16.1.2012, rigettava entrambe le impugnazioni stabilendo che nel corso del giudizio l’attore aveva modificato la domanda deducendo non più l’interposizione fittizia ma quella reale, controparte si era opposta trattandosi di mutatio libelli, la difesa aveva rinunziato alla domanda non più riproposta in sede di precisazione delle conclusioni.

Confermava la prevalente soccombenza del G. le cui domande relative ai beni immobili erano state interamente rigettate e l’autografia della sottoscrizione della D.L., nonostante il contenuto del documento fosse stato redatto dal G..

Per gli altri titoli non era superata la presunzione di comproprietà. Ricorre G. con due motivi, resiste controparte.

Con ordinanza interlocutoria del 20 ottobre 2017 la causa è stata rimessa alla pubblica udienza vertendosi in ipotesi in cui può essere esercitata la funzione nomofilattica in relazione alla disputa su interposizione fittizia o reale o su mutatio ed emendatio libelli, con mandato alla cancelleria di acquisire il fascicolo di ufficio.

Le parti hanno presentato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

il ricorrente denunzia, col primo motivo, vizi di motivazione in relazione all’art. 112 c.p.c. e art. 277 c.p.c., comma 1 e art. 345 c.p.c., per avere la sentenza omesso di pronunziarsi circa la domanda di interposizione reale considerandola erroneamente nuova.

Col secondo motivo denunzia violazione di norme di diritto e dei principi generali in relazione alle stesse norme ed alla stessa domanda.

Le censure non meritano accoglimento.

Le doglianze non sono risolutive non impugnando la ratio decidendi sopra riportata ma prospettando una mera emendatio libelli, comunque in contrasto con l’avvenuta rinunzia e la mancata riproposizione in sede di precisazione delle conclusioni, limitandosi a contrapporre una propria tesi alle affermazioni contenute nella sentenza.

Non è denunciabile, in sede di legittimità, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano o meno gli estremi del diritto reclamato, ove, come nel caso, la sentenza sia congruamente logica e giuridicamente corretta (Cass. n. 356/2017).

Il ricorso si limita a trascrivere massime pacifiche omettendo in concreto di evidenziare l’errore in cui è incorsa la sentenza impugnata alla luce della riportata motivazione.

Va, in particolare, osservato, in ordine al primo motivo che, se in astratto è possibile modificare in corso di causa la domanda sia in relazione al petitum che alla causa petendi, ferme restando le preclusioni di legge (Cass. 21.11.2017 n. 27566), costituisce mutatio libelli e non mera emendatio quella che introduce un nuovo tema di indagine e di decisione che altera l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza (Cass. 13.10.2017 n. 24072, Cass. 5.7.2017 n. 16504) e, nella fattispecie, la sentenza ha statuito essere pacifico che la interposizione fittizia e quella reale sono domande autonome fondate su presupposti di fatto distinti ed azioni diverse per petitum e causa petendi, motivazione non impugnata, mentre il motivo di appello, come riportato in sentenza, era relativo alla errata interpretazione della domanda.

Sulla diversità della fattispecie dell’interposizione reale di persona rispetto all’interposizione fittizia cfr. Cass. 10.3.2015 n. 4738. Generiche sono le deduzioni del secondo motivo.

Il ricorso va interamente rigettato, con condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese liquidate in Euro 5400 di cui 200 per esborsi, oltre accessori e spese forfettarie nel 15% dando atto dell’esistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore contributo ex D.P.R. n. 115 del 2002.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018

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