LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11640/2017 proposto da:
P.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NOMENTANA 905, presso lo studio dell’avvocato VITTORIO CERRACCHIO, rappresentata e difesa dall’avvocato ALFREDO GENOVESE;
– ricorrente –
contro
RELEASE SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 15, presso lo studio dell’avvocato SUSANNA LOLLINI, rappresentata e difesa dall’avvocato LIONELLO MAZZONI;
– controricorrente –
contro
C.O.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 152/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 16/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 18/07/2018 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.
RITENUTO
che: con ricorso affidato a quattro motivi, P.F. ha impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Salerno, resa pubblica il 16 febbraio 2017, che ne ha rigettato il gravame avverso la decisione del Tribunale della medesima Città, il quale, a sua volta, in sede di giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo e in accoglimento della domanda avanzata dalla Realease S.p.A. (subentrata alla già Italeasing S.p.A.), aveva accertato che la P. fosse debitrice della somma di Euro 877.976,80 nei confronti del debitore esecutato C.O., suo figlio;
che la Corte territoriale osservava che, dall’esame del materiale probatorio in atti e, segnatamente, delle due dichiarazioni prodotte in primo grado (missiva del 10 ottobre 2000 del C. e nota dell’11 maggio 2001 del Monte dei Paschi di Siena), non poteva ritenersi avvenuta l’estinzione del debito della P. nei confronti del C., poichè: 1) la “apposizione di un timbro postale sulla facciata posteriore dei fogli” non conferiva certezza alla data ivi indicata; 2) la dichiarazione dell’istituto bancario non conteneva alcun riferimento al credito oggetto di pignoramento, nè al preliminare di cessione di quota ereditaria, nè conteneva l’indicazione del beneficiario nella persona del figlio del creditore; 3) la data della dichiarazione della banca (11 maggio 2001) era posteriore alla notifica dell’atto di pignoramento presso terzi (26 aprile 2001), non essendo, quindi, opponibile all’appellata perchè priva di data certa anteriore al pignoramento stesso;
che resiste con controricorso la Release S.p.A., mentre non ha svolto attività difensiva in questa sede C.O.;
che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio, in prossimità della quale la ricorrente ha depositato memoria;
che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.
CONSIDERATO
che:
preliminarmente, che il Collegio rileva la improcedibilità del ricorso per mancato deposito, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, da parte della ricorrente, della copia autentica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione, la quale, in ricorso stesso, si assume effettuata, a mezzo p.e.c., il 23 febbraio 2017: in atti (anche di parte controricorrente) è presente unicamente la copia autentica della sentenza impugnata, ma non già detta relata di notificazione;
che, in ogni caso, il Collegio condivide e ribadisce le ragioni di inammissibilità di cui alla proposta ex art. 380 bis c.p.c.;
che difatti:
a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 2704 c.c., per avere la Corte d’appello ignorato la piena funzionalità del timbro postale apposto sulla facciata posteriore dei fogli contenenti la dichiarazione dell’istituto bancario, siccome inscindibile rispetto al testo e tale, quindi, da conferire certezza alla data indicata;
b) con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dal contenuto della nota del 10 ottobre 2000 del C. con la quale lo stesso precisava che il versamento alla Banca Monte dei Paschi di Siena, di cui chiedeva l’esecuzione alla madre P.F., doveva essere considerato a saldo del corrispettivo convenuto per la promessa di compravendita dell’11 settembre 2000;
c) con il terzo mezzo è denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per aver la Corte territoriale focalizzato l’attenzione sulla data della nota della Banca e mancato di considerare che l’esponente aveva già estinto il proprio debito nei confronti del C., ben prima della notifica dell’atto di pignoramento ad impulso del creditore;
d) con il quarto mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione degli artt. 61,191,116 e 132 c.p.c., per avere la Corte salernitana errato nel respingere la richiesta di consulenza tecnica d’ufficio articolata dall’esponente, o comunque a non ammetterla, al fine di verificare l’effettuazione, in data 20 ottobre 2000, del versamento che pure la Banca aveva dichiarato di aver ricevuto;
che i motivi, da scrutinarsi congiuntamente, sono inammissibili, in quanto – a tacer d’altro (1^ motivo in contrasto con il principio enunciato da Cass. n. 4104/2017 e investente la valutazione del giudice di merito sulla data di scrittura privata non autenticata; 2^ e 3^ motivo in violazione del paradigma di cui al vigente art. 360 c.p.c., n. 5, non sussistendo alcun omesso esame di fatti storici e postulando le doglianze una rivalutazione della quaestio fatti) – veicolati in palese violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, che impone, a pena di inammissibilità, non solo di dare contezza del contenuto (trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso) degli atti e dei documenti posti a fondamento del ricorso (nella specie, segnatamente, missiva del 20 ottobre 2000, nota dell’11 maggio 2001, istanza di ammissione c.t.u., contenuto dell’ordinanza di rigetto dell’istanza e conclusioni rassegnate in grado di appello), ma anche l’adempimento dell’obbligo, di c.d. localizzazione processuale, della specifica indicazione della fase di giudizio e quale fascicolo di parte essi si trovino, dovendo risultare quanto meno da un’elencazione contenuta nell’atto e non essendo a tal fine sufficiente la presenza di un indice nel fascicolo di parte (tra le tante, Cass. n. 29279/2008, Cass. n. 19048/2016, Cass. n. 19985/2017, Cass. n. 23452/2017). Nella specie, la ricorrente non ha assolto nè l’uno, nè l’altro onere;
che il ricorso va, dunque, dichiarato improcedibile e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, in favore della parte controricorrente, mentre non occorre provvedere alla regolamentazione di dette spese nei confronti dell’intimato che non ha svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.
dichiara improcedibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della parte controricorrente, in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, della Corte suprema di Cassazione, il 18 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018
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