Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26771 del 23/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22854/2017 proposto da:

C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIEDILUCO 9, presso lo studio dell’avvocato PAOLO DI GRAVI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

BPER BANCA SPA, in nome e per conto della Società MUTINA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ALFREDO BRANCHETTI;

– controricorrente –

contro

ENTE AUTONOMO PARCO NAZIONALE D’ABRUZZO LAZIO E MOLISE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1420/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 18/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.

RILEVATO

che:

con sentenza resa in data 18/7/2017, la Corte d’appello di L’Aquila, in accoglimento dell’appello proposto dalla BPER Banca s.p.a., quale mandataria di Mutina s.r.l., e in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da C.P. diretta all’accertamento negativo del credito azionato dalla Banca Popolare dell’Emilia-Romagna nei confronti dell’Ente Parco Nazionale dell’Abruzzo, Lazio e Molise, datore di lavoro della C., quale terzo debitore di quest’ultima, debitrice esecutata dalla Mutina s.r.l.;

che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale, dopo aver sottolineato l’avvenuto riconoscimento del difetto di legittimazione passiva della Banca Popolare dell’Emilia-Romagna, e della corretta instaurazione del contraddittorio nei confronti della Mutina s.r.l. (sia pure rappresentata in giudizio dalla Nettuno Gestione Crediti s.p.a. in nome e per conto di quest’ultima), ha evidenziato la radicale infondatezza della pretesa originariamente avanzata dalla C., tenuto conto che il credito azionato in sede esecutiva nei confronti di quest’ultima trovava fondamento in un decreto ingiuntivo emesso nei confronti della C. che il Tribunale di Sulmona aveva confermato disattendendo (con sentenza passata in giudicato) la corrispondente opposizione;

che, sotto altro profilo, a giudizio della corte territoriale, nessun rilievo poteva essere ascritto alle contestazioni sollevate dalla C. avverso l’ordinanza di assegnazione del credito pignorato, attesa la mancata impugnazione di quest’ultima in sede esecutiva;

che, avverso la sentenza d’appello, C.P. propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione;

che BPER Banca s.p.a. (già Banca Popolare dell’Emilia-Romagna), in qualità di mandataria della Mutina s.r.l.), resiste con controricorso;

che nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede;

che, a seguito della fissazione della Camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis le parti non hanno presentato memoria.

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo di impugnazione proposto, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 167e 168 c.p.c., nonchè dell’art. 2033 c.c., nonchè per omessa, inesistente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo controverso, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere la corte territoriale omesso di rilevare la tardività dell’eccezione sollevata dalla controparte con riguardo alla mancata impugnazione dei provvedimenti resi in sede esecutiva a danno della C., nonchè per aver trascurato di riconoscere il carattere indebito delle somme pretese dalla controparte, tenuto conto che l’originario debito della C. trovava fondamento nella prestazione di una fideiussione che era stata convenzionalmente limitata a un importo massimo, largamente inferiore al credito azionato in sede esecutiva;

che il motivo è manifestamente infondato, quando non inammissibile;

che, al riguardo, osserva il Collegio come la censura riferita al preteso omesso rilievo della tardività dell’eccezione sollevata dalla controparte, con riguardo alla mancata impugnazione dei provvedimenti resi in sede esecutiva a danno della C., contrasti insanabilmente con la natura di eccezione rilevabile d’ufficio della ridetta occorrenza processuale, come tale non assoggettabile ad alcun termine preclusivo di sorta;

che, infatti, è appena il caso di evidenziare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (correttamente fatto proprio dal giudice a quo), in tema di espropriazione presso terzi, il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi è l’unico esperibile avverso l’ordinanza di assegnazione del credito ex art. 553 c.p.c. (Sez. 6-3, Ordinanza n. 7706 del 24/03/2017, Rv. 643821-02; cfr. altresì Sez. 3, Sentenza n. 3712 del 25/02/2016, Rv. 638884 – 01), con la conseguenza che ogni ulteriore o diversa contestazione di detto provvedimento in altra sede finirebbe per vanificare il regime di sostanziale stabilità dell’ordinanza in esame che, seppure inidonea al giudicato, costituisce pur sempre un titolo esecutivo di formazione giudiziale che, munito di formula esecutiva, può essere a sua volta portato in esecuzione dal creditore assegnatario nei confronti del terzo pignorato, da tanto derivando che i fatti relativi ai diritto consacrato in quel titolo (e con essi i cosiddetti motivi di merito, cioè relativi al merito già esaminato nel processo in cui il titolo giudiziale si è formato), siccome giudiziale, i quali siano anteriori alla sua formazione, vanno fatti valere esclusivamente con le impugnazioni ammesse contro di esso (v. Sez. 3, Sentenza n. 3712 del 25/02/2016 in motivazione con i richiami in essa contenuti);

che, sotto altro profilo, del tutto correttamente il giudice a quo ha escluso l’ulteriore contestabilità nel merito della pretesa creditoria azionata in sede esecutiva nei confronti della C. – con particolare riguardo ai dedotti limiti quantitativi della fideiussione fatta valere nell’originaria sede monitoria -, trattandosi di questione irretrattabilmente coperta dal giudicato formatosi sulla sentenza di rigetto dell’opposizione proposta avverso il decreto ingiuntivo azionato in sede esecutiva;

che, pertanto, sulla base di tali premesse, rilevata la sostanziale manifesta infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna della ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.100,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018

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