LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23893-2017 proposto da:
NOVA ARS M.A.C. SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIEMONTE 39, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO FRACCASTORO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE GUZZO;
– ricorrenti –
contro
BS TECNOLOGIE SAS, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN MARTINO DELLA BATTAGLIA 2, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO MAGLIOCCA, che la rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 4808/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 17/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/09/2018 dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI.
RILEVATO
che, con sentenza resa in data 17/7/2017, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’appello proposto dalla BS Tecnologie s.a.s., e in riforma della decisione di primo grado, ha condannato la Nova Ars – Musica Arte cultura s.r.l. al risarcimento, in favore della BS Tecnologie, dei danni da quest’ultima subiti a seguito dell’ingiustificato recesso della Nova Ars dalle trattative intercorse tra le parti per la realizzazione, da parte della BS, di un impianto di sonorizzazione acustica funzionale all’allestimento di uno spettacolo teatrale prodotto dalla Nova Ars;
che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha ritenuto sussistenti tutti i presupposti di fatto e di diritto a sostegno della rivendicazione risarcitoria avanzata dalla BS ai sensi dell’art. 1337 c.c., conseguentemente provvedendo alla corrispondente liquidazione dei danni;
che, avverso la sentenza d’appello, la Nova Ars – Musica Arte cultura s.r.l., in liquidazione, propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;
che la BS Tecnologie s.a.s., in liquidazione, resiste con controricorso;
che, a seguito della fissazione della camera di consiglio, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis le parti non hanno presentato memoria.
CONSIDERATO
che con i primi due motivi, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi controversi, nonchè per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 1337 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale erroneamente trascurato la valutazione delle prove documentali specificamente indicate in ricorso, e per aver erroneamente governato l’insieme degli elementi istruttori complessivamente acquisiti, pervenendo alla illogica e contraddittoria attestazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della fondatezza dell’avversa pretesa risarcitoria;
che entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte – sono inammissibili;
che, al riguardo, è appena il caso di evidenziare come, attraverso le censure indicate (sotto entrambi i profili di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), la società ricorrente si sia sostanzialmente spinta a sollecitare la corte di legittimità a procedere a una rilettura nel merito degli elementi di prova acquisiti nel corso del processo, in contrasto con i limiti del giudizio di cassazione e con gli stessi limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (nuovo testo) sul piano dei vizi rilevanti della motivazione;
che, in particolare, sotto il profilo della violazione di legge, la ricorrente risulta aver prospettato le proprie doglianze attraverso la denuncia di un’errata ricognizione della fattispecie concreta, e non già della fattispecie astratta prevista dalle norme di legge richiamate (operazione come tale estranea al paradigma del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3), neppure coinvolgendo, le prospettazioni critiche della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di fatti in sè incontroversi, insistendo propriamente, la Nova Ars, nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;
che parimenti inammissibile deve ritenersi la dedotta violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.;
che, sul punto, è appena il caso di rilevare come le censure illustrate dalla ricorrente non contengano alcuna denuncia del paradigma di cui all’art. 115 c.p.c., limitandosi a denunciare unicamente una pretesa erronea valutazione di risultanze probatorie;
che, in thema, varrà rimarcare il principio fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa corte di legittimità, ai sensi del quale, al fine di dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 c.p.c., è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016) (cfr. Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, in motivazione);
che, sotto altro profilo, la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime) (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640193 – 01);
che, peraltro, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194 – 01);
che, nella specie, la società ricorrente, lungi dal denunciare il mancato rispetto, da parte del giudice a quo, del principio del libero apprezzamento delle prove (ovvero del vincolo di apprezzamento imposto da una fonte di prova legale), – ovvero lungi dall’evidenziare l’omesso esame, da parte del giudice a quo, di uno specifico fatto decisivo idoneo a disarticolare, in termini determinanti, l’esito della scelta decisoria adottata o un vizio costituzionalmente rilevante della motivazione (entro lo schema di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5) – si è limitata a denunciare un (preteso) cattivo esercizio, da parte della corte territoriale, del potere di apprezzamento del fatto sulla base delle prove selezionate, spingendosi a prospettare una diversa lettura nel merito dei fatti di causa, in coerenza ai tratti di un’operazione critica del tutto inammissibile in questa sede di legittimità;
che, infine, quanto al preteso vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, è appena il caso di sottolineare come lo stesso possa ritenersi denunciabile per cassazione, unicamente là dove attenga all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
che, sul punto, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. per tutte, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831);
che, pertanto, dovendo dunque ritenersi definitivamente confermato il principio, già del tutto consolidato, secondo cui non è consentito richiamare la corte di legittimità al riesame del merito della causa, le odierne doglianza della ricorrente devono ritenersi inammissibili, siccome dirette a censurare, non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360, n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;
che, con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2697 e 1337 c.c., per avere la corte territoriale erroneamente invertito gli oneri probatori imposti alle parti ai fini della decisione sulla domanda avanzata dalla controparte ai sensi dell’art. 1337 c.c., e per avere altresì erroneamente provveduto alla liquidazione degli importi risarcitori riconosciuti in favore della controparte;
che il motivo è manifestamente infondato, quando non inammissibile;
che, al riguardo, osserva il Collegio come la censura in esame non contenga alcuna adeguata denuncia del paradigma di cui all’art. 2697 c.c.;
che, infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura ove il giudice di merito applichi la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, ossia attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni (cfr. Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, in motivazione);
che, nel caso di specie, la corte territoriale risulta aver correttamente proceduto alla preliminare verifica della dimostrazione, da parte della BS Tecnologie: 1) dell’avvenuto raggiungimento di uno stadio di sviluppo, della relazione precontrattuale intercorsa tra le parti, tale da giustificare il legittimo affidamento dell’originaria attrice sulla futura conclusione del contratto; 2) dell’insussistenza di elementi suscettibili di escludere il carattere ragionevole del ridetto affidamento; e 3) dell’effettivo carattere ingiustificato dell’avverso recesso;
che nel procedere nel senso indicato, la corte territoriale risulta aver correttamente ricostruito la fattispecie normativa di cui all’art. 1337 c.c., ai fini dell’esatta distribuzione degli oneri probatori incombenti a carico delle parti, avendo riconosciuto l’avvenuta dimostrazione, da parte della società danneggiata, di tutti i presupposti di fatto integrativi dell’illecito precontrattuale contestato a carico della controparte;
che, infine, radicalmente inammissibile deve ritenersi la censura concernente la prospettata erroneità della liquidazione degli importi risarcitori riconosciuti in favore della BS Tecnologie, avendo il giudice a quo provveduto alla ridetta liquidazione nell’esercizio della discrezionalità valutativa ad esso spettante, diffondendosi nell’elaborazione di una motivazione del tutto congrua, puntuale e articolata (cfr. pagg. 12 ss. della sentenza impugnata), di cui l’odierna società ricorrente non risulta essersi fatta integralmente e adeguatamente carico;
che si tratta di una valutazione condotta nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica dell’interpretazione e di congruità dell’argomentazione, immuni da vizi d’indole logica o giuridica e, come tali, del tutto idonee a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dalla società ricorrente, di fatto limitate alla rivendicata rilettura nel merito dei fatti di causa non legittimamente prospettabile in questa sede;
che, pertanto, sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure oggetto d’esame, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna della società ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre l’attestazione della sussistenza dei presupposti per il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 13 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018
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