LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 6059/14) proposto da:
F.A., (C.F.: *****) e FR.AN., (C.F.:
*****), la prima rappresentata e difesa da se stessa ai sensi dell’art. 86 c.p.c. e il secondo rappresentato e difeso dalla prima, in forza di procura speciale in calce al ricorso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Giovanna Sebastio, in Roma, v. Germanico, n. 109;
– ricorrenti –
contro
*****, (C.F.: *****), in persona dell’amministratore e legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso, previa delibera dell’assemblea condominiale generale in data 17 ottobre 2016, in virtù di procura speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avv. Riccardo Conte ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Giuseppe Miani, in Roma, v. Tintoretto, n. 88;
– controricorrente –
e T.D.U., (C.F.: *****), P.L., (C.F.:
*****), D.E. (C.F.: *****) e T.A.
(C.F.: *****);
– intimati –
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 3268/2016, depositata il 19 agosto 2016 (e notificata a mezzo pec il 6 settembre 2016);
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 14 giugno 2018 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. TRONCONE Fulvio, che ha concluso per l’inammissibilità e, comunque, per il rigetto del ricorso;
uditi l’Avv. F.A. per i ricorrenti e l’Avv. Riccardo Conte per il controricorrente.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 8618/2014, decidendo sulla domanda proposta dai condomini F.A., Fr.An., T.D.U., P.L., D.E. e T.A. nei confronti del *****, così provvedeva:
– dichiarava la nullità dell’impugnata delibera condominiale del 18 ottobre 2012 nella parte in cui aveva approvato il capitolato degli interventi da intraprendere ed aveva conferito mandato per la redazione dei progetti esecutivi e loro coordinamento alla realizzazione della pratica dei Vigili del Fuoco n. *****;
– dichiarava l’annullabilità della stessa delibera nella parte in cui, sempre con riferimento al punto 4, aveva previsto lo stanziamento di un apposito accantonamento di Euro 20.000,00 per compensi professionali;
– rigettava l’impugnazione proposta avverso il punto 5 della stessa delibera assembleare;
– compensava per 1/3 le spese giudiziali e condannava il convenuto Supercondominio alla rifusione dei residui 2/3 di dette spese.
Sull’appello formulato dal menzionato Supercondominio e nella costituzione di tutti gli appellati, la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 3269/2016, in riforma della sentenza di prime cure, dichiarava la carenza di legittimazione attiva di T.A., respingeva le domande avanzate dagli attori in primo grado e condannava gli appellati, in solido fra loro, al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte territoriale rilevava che, con riferimento al punto 4) della delibera assembleare oggetto di impugnazione, non poteva discutersi che il mandato a cui essa aveva posto riguardo concerneva “le opere di proprietà comune” e, quindi, le opere attinenti alle parti di proprietà condominiale, senza, quindi, che detta delibera – legittimamente approvata con il quorum di legge – potesse risultare lesiva dei diritti degli originari attori. Osservava, inoltre, il giudice di appello che, con riferimento al merito della parte della delibera riguardante il punto 5), la relativa statuizione del primo giudice dovesse rimanere ferma in difetto della proposizione di apposito gravame incidentale da parte degli appellati.
Avverso la suddetta sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, i soli appellati F.A. e Fr.An., al quale ha resistito con controricorso l’intimato Condominio.
Le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
La difesa dei ricorrenti ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., mentre entrambi i difensori hanno depositato documenti in virtù dell’art. 372 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – la violazione degli artt. 100 e 101 c.p.c. e art. 115 c.p.c., n. 2, sull’asserito presupposto che la Corte di appello avrebbe dovuto, anche d’ufficio, rilevare l’improponibilità dell’appello siccome formulato dall’amministratore dell’avverso Condominio senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea da ritenersi necessaria, anche in virtù del nuovo art. 71-quater disp. att. c.c., per le liti condominiali, senza distinzioni di sorta. Hanno aggiunto, inoltre, i ricorrenti che la Corte di secondo grado non avrebbe potuto dichiarare il difetto di legittimazione di T.A. poichè, in assenza di contestazione da parte del Condominio, lo stesso non era tenuto a provare la sua qualità di condomino.
2. Con la seconda censura i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione degli artt. 1123,1135,1136,1137,1362,1421 e 2909 c.c., prospettando l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, pur avendo gli attori originari invocato la dichiarazione di nullità della delibera in questione per eccesso di attribuzione dell’assemblea che aveva esorbitato dalla sua sfera di competenza, la Corte di appello aveva respinto la domanda asserendo che gli stessi attori “erano carenti di interesse ad agire” per effetto della natura meramente programmatica della medesima delibera, che tale – in virtù dei principi ermeneutici previsti dalle norme assunte come violate – non avrebbe potuto ritenersi.
3. Con la terza ed ultima doglianza i ricorrenti hanno inteso far valere – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’insufficiente giustificazione logica dell’apprezzamento dei fatti e delle prove e, quindi, il vizio di motivazione incoerente, perplessa e meramente apparente, con conseguente violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), avuto riguardo alla ravvisata inerenza della delibera impugnata alle opere di proprietà comune, che si profila priva di ogni logica rispetto al contenuto letterale del verbale e della Delib. assunta al punto 4) in data 18 ottobre 2012.
4. Premessa l’irrilevanza diretta – in funzione dell’esame dei singoli motivi della documentazione ulteriore prodotta dalla difesa dei ricorrenti ai sensi dell’art. 372 c.p.c., rileva il collegio che la prima complessiva censura è infondata e deve, pertanto, essere respinta.
Invero, alla stregua della pacifica giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante e fra le più recenti, Cass. n. 1451/2014, Cass. n. 16260/2016 e Cass. n. 7095/2017, che hanno precisato e calibrato l’arresto delle Sezioni unite concretizzatosi nella sentenza n. 18331/2010), deve ritenersi univocamente sussistente il potere (ulteriore ed estensivo) dell’amministratore di condominio di impugnare una sentenza di primo grado sulla scorta dell’avvenuta costituzione in giudizio del Condominio in detto grado, in persona dello stesso amministratore, in base a preventiva delibera dell’assemblea che riconosce – e riconosceva come puntualmente accertato dalla Corte di appello nel caso di specie (v. pag. 7 della sentenza impugnata) – la facoltà dello stesso di attivarsi anche nei gradi successivi.
Non è, inoltre, conferente, ad avviso del collegio, il riferimento – dedotto con il motivo in esame – al nuovo art. 71 quater disp. att. c.c., il quale, ancorchè “ratione temporis” applicabile, si riferisce alla specifica regolamentazione prevista dal D.Lgs. n. 28 del 2010, per il procedimento di mediazione preventiva in materia condominiale e non è, quindi, estensibile alla disciplina del giudizio propriamente contenzioso.
La parte della doglianza in esame, relativa all’affermata insussistenza – nella sentenza della Corte di appello – della legittimazione come condomino di T.A., al di là della manifesta infondatezza della censura in ordine per gli accertamenti documentali legittimamente compiuti dal giudice di secondo grado, è ancor prima inammissibile per difetto di interesse dei ricorrenti a dedurla a tutela delle proprie autonome ragioni, ragion per cui ogni scrutinio al riguardo deve intendersi precluso per effetto della mancata proposizione di impugnazione da parte del predetto T. (sulla questione della cui legittimazione, perciò, la Corte di seconde cure non aveva alcun obbligo di attivare il contraddittorio, come erroneamente dedotto dai ricorrenti).
5. Anche il secondo motivo – articolato in due sub-censure – è destituito di fondamento.
La prima sub-censura, con la quale i ricorrenti si dolgono del mancato esame da parte della Corte territoriale di documentazione prodotta in primo grado e della dichiarata inammissibilità dell’ulteriore produzione documentale avvenuta in grado di appello, è propriamente inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), difettando nel necessario requisito di specificità (v., ex multis, Cass. n. 26104/2014 e, da ultimo, Cass. n. 14107/2017, ord.), non avendo i ricorrenti adempiuto, neanche in forma riassuntiva, all’onere di trascrizione degli atti indicati alle note 9, 10 e 11 della pag. 15 del ricorso, nè provveduto alla chiara indicazione del nesso eziologico tra il supposto errore denunciato e la pronuncia impugnata in concreto.
Ad ogni modo va aggiunto che i documenti riguardanti la condizione giuridica delle contestate autorimesse nell’ambito del complesso condominiale sono stati valutati dalla Corte di appello, che ha dato congrua motivazione del convincimento raggiunto, con conseguente inammissibilità – nella presente sede di legittimità – della richiesta di rivalutazione degli apprezzamenti di merito degli stessi, onde giungere ad una diversa conclusione rispetto a quella cui è pervenuto il giudice di secondo grado circa l’individuazione dell’oggetto dell’impugnata Delib. Condominiale 18 ottobre 2012. La Corte territoriale ha, inoltre, adeguatamente giustificato il proprio approdo ermeneutico in ordine alla pratica dei Vigili del fuoco n. *****, giungendo, in modo logico, alla conclusione che tale delibera non specificasse le opere comuni, rimandando al riguardo ad ulteriori successive deliberazioni, così correttamente qualificando la delibera oggetto di contestazione come meramente programmatica. In tal modo (e risultando del tutto inconferente il richiamo fatto dai ricorrenti alla sentenza di legittimità n. 5084/1993) la Corte ambrosiana – applicando correttamente i relativi criteri ermeneutici (la valutazione del cui risultato non è censurabile nel giudizio di cassazione) – ha legittimamente ritenuto che, in sede di approvazione della delibera impugnata, non si era provveduto ad una effettiva individuazione delle opere a farsi e che, quindi, in mancanza di un’esatta specificazione delle opere comuni, non si poteva immediatamente affermare con certezza che nell’ambito delle opere comuni in questione si inserissero anche opere riguardanti non solo la proprietà condominiale ma anche proprietà di singoli condomini.
Peraltro, è risaputo che, in via generale, l’interpretazione dell’esatto contenuto della delibera dell’assemblea dei condomini, impugnata ai sensi dell’art. 1137 c.c., come l’accertamento della situazione di fatto che è alla base della determinazione assembleare, sono rimessi all’apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se risulti, come nella specie, congruamente motivato.
Del resto, l’interesse all’impugnazione – anche solo per vizi formali – di una deliberazione dell’assemblea condominiale, ai sensi dell’art. 1137 c.c., pur non essendo condizionato al riscontro della concreta incidenza sulla singola situazione del condomino, postula comunque che la delibera in questione sia idonea a determinare un mutamento della posizione dei condomini nei confronti dell’ente di gestione, suscettibile di eventuale pregiudizio (cfr. Cass. n. 11214/2013, ord.).
6. Il terzo ed ultimo è da ritenersi propriamente inammissibile perchè con esso si deduce – in modo contraddittorio ed ontologicamente incompatibile – per un verso un insussistente vizio di apparente motivazione e, per altro verso, un vizio di insufficiente motivazione sulla giustificazione logica dell’apprezzamento, da parte del giudice di appello, del contenuto della delibera prima richiamata, pacificamente non più deducibile ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., n. 5), comma 1, “ratione temporis” applicabile nella fattispecie (v., per tutte, Cass. S.U. n. 8053/2014 e Cass. n. n. 23940/2017).
7. In definitiva, alla stregua delle argomentazioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese della presente fase di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Ricorrono, infine, le condizioni per dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei medesimi ricorrente (con vincolo solidale), del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario al 15%, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 14 giugno 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018
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