Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.26795 del 23/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorso n. 7747 – 2014 R.G. proposto da:

M.M., – c.f. ***** – Z.A. – c.f. ***** –

elettivamente domiciliati in Roma, al viale Regina Margherita, n. 42, presso lo studio dell’avvocato Antonio De Paolis e dell’avvocato Paolo Ermini che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Cecilia Angela Volontè li rappresentano e difendono in virtù di procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

T.C., – c.f. ***** – TO.CA.MA. – c.f.

***** – T.L. – c.f. ***** – T.G. –

c.f. ***** – elettivamente domiciliati in Roma, al viale Giulio Cesare, n. 14, presso lo studio dell’avvocato Gabriele Pafundi che congiuntamente e disgiuntamente all’avvocato Stefania Panebianco li rappresenta e difende in virtù di procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della corte d’appello di Milano n. 3599 del 2.10.2013;

udita la relazione nella camera di consiglio del 26 giugno 2018 del consigliere dott. Luigi Abete.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO Con atto notificato in data 12.4.2007 M.M. ed Z.A. citavano a comparire dinanzi al tribunale di Como T.C. e G.C..

Esponevano che i convenuti avevano collocato i contatori del gas metano e dell’energia elettrica nel muro di proprietà di essi attori.

Chiedevano accertarsi e dichiararsi che il muro era di loro esclusiva proprietà e condannarsi i convenuti alla rimozione dei contatori.

Si costituivano i convenuti.

Instavano per il rigetto dell’avversa domanda; in via riconvenzionale chiedevano accertarsi e dichiararsi l’intervenuto acquisto da parte loro per usucapione della servitù di posa e di utilizzo dei contatori.

Riassunto il giudizio, interrotto a seguito della morte di Concetta Greco, si costituivano quali suoi eredi T.C., Ca.Ma., L. e T.G..

Assunta la prova testimoniale, con sentenza n. 688/2012 l’adito tribunale rigettava la domanda degli attori, accoglieva la riconvenzionale dei convenuti e per l’effetto dichiarava che costoro avevano acquistato per usucapione la servitù di collocare e mantenere i contatori del gas metano e dell’energia elettrica della loro abitazione in una porzione del muro di proprietà di M.M. e Z.A..

Proponevano appello M.M. e Z.A..

Resistevano C., Ca.Ma., L. e T.G..

Con sentenza n. 3599 del 2.10.2013 la corte d’appello di Milano rigettava il gravame e compensava integralmente le spese del grado.

Esplicitava la corte che il tribunale aveva correttamente valutato gli esiti della prova testimoniale, alla cui stregua i contatori erano stati collocati nel muro di proprietà degli iniziali attori sin dal 1983 – 1984 e vi erano rimasti senza rimostranze fino al settembre 2006; che se ne aveva riscontro alla luce del certificato in data 7.3.1983, con cui il Comune di Mozzate aveva autorizzato l’abitabilità della casa di proprietà degli appellati e da cui si desumeva che in epoca coincidente con il periodo di dedotta allocazione dei contatori l’abitazione dei T. “era sicuramente dotata degli allacciamenti alla rete elettrica e del gas e dei relativi contatori, presupposto per la positiva valutazione dell’abitabilità dell’immobile” (così sentenza d’appello, pag. 4).

Esplicitava altresì che i motivi di appello non involgevano il profilo concernente l’utilizzo del muretto, ove erano allocati i contatori, con animus possidendi ovvero per mera tolleranza dei coniugi M. – Z..

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso M.M. e Z.A.; ne hanno chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

C., Ca.Ma., L. e T.G. hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

I controricorrenti del pari hanno depositato memoria.

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e 2943 c.c., del R.D. n. 1265 del 1934, art. 221, comma 1, e del D.P.R. n. 380 del 2011, come aggiornato dalla L. n. 134 del 2012.

Deducono che ha errato la corte di merito a reputar sussistente l’estremo del possesso ventennale, continuato ed ininterrotto.

Deducono segnatamente che la disciplina in materia di abitabilità vigente nel 1983, ovvero la disciplina di cui al R.D. n. 1265 del 1934, prescindeva dall’esistenza degli allacciamenti necessari per la fornitura del gas e della corrente elettrica ai fini del rilascio del certificato di abitabilità.

Deducono segnatamente che la corte distrettuale ha recepito in modo alterato ed incompleto le dichiarazioni rese dal teste U.G..

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza in relazione all’art. 111 Cost., agli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e all’art. 118 disp. att. c.p.c..

Deducono che la motivazione è illogica e contraddittoria; che immotivatamente la corte di Milano ha ignorato talune decisive risultanze istruttorie.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione all’art. 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, all’art. 118 disp. att. c.p.c. ed all’art. 2697 c.c..

Deducono che la novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non priva la Corte di legittimità del potere di sindacare la valutazione delle prove operata dal giudice del merito.

Deducono che la corte lombarda ha trascurato la valutazione di circostanze essenziali e decisive emerse dalle dichiarazioni rese dal teste U.G..

I motivi di ricorso sono strettamente connessi.

I motivi tutti invero si qualificano in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Occorre tener conto, da un lato, che con gli esperiti mezzi i ricorrenti censurano sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui la corte d’appello ha atteso (“la Corte territoriale (…) ha considerato il termine iniziale, dal quale far decorrere il computo dei 20 anni, la data del certificato di abitabilità rilasciato ai T. nel 1983”: così ricorso, pagg. 3 – 4; “la Corte pone una necessaria relazione tra: (…) senza considerarne l’illogicità atteso che: (…)”: così ricorso, pag. 7; la “Corte di Appello di Milano pone in essere (…) un ragionamento del tutto illogico, giungendo nel motivare la sentenza impugnata, alla totale obliterazione di elementi essenziali e decisivi, che potevano condurre ad una diversa decisione”: così ricorso, pag. 9); dall’altro, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).

In tal guisa gli azionati motivi sono del tutto privi di fondamento.

Si rappresenta difatti quanto segue.

In primo luogo, che il giudizio di appello ha avuto inizio con citazione notificata in data 2.1.2013 (cfr. sentenza d’appello, pag. 5).

In secondo luogo, che la statuizione di seconde cure ha in toto confermato la statuizione di prime cure.

In terzo luogo – conseguentemente – che si applica ratione temporis al caso di specie la previsione d’inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., n. 5, la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado” (cfr. Cass. 18.12.2014, n. 26860, secondo cui l’art. 348 ter c.p.c., comma 5 non si applica ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11.9.2012).

Si rappresenta dipoi quanto segue.

Evidentemente l’ipotetico vizio, gli ipotetici vizi motivazionali rileverebbero, ratione temporis, nei limiti della novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (si ribadisce che la sentenza della corte d’appello di Milano è stata depositata il 2.10.2013) e nei termini enunciati dalle sezioni unite di questa Corte con la pronuncia n. 8053 del 7.4.2014.

E tuttavia in quest’ottica si rappresenta ulteriormente.

Da un canto, che è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” – tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia a sezioni unite testè menzionata, possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte di merito ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte distrettuale ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato – siccome si è debitamente anticipato – il proprio iter argomentativo.

Non si condivide quindi l’affermazione dei ricorrenti secondo cui “la motivazione della sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano non consente la comprensione dell’iter logico seguito (…) per giungere a ritenere integrato il decorso del termine ventennale del possesso” (così ricorso, pag. 6).

Dall’altro, che la corte territoriale ha sicuramente disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante la res litigiosa ovvero il possesso ad usucapionem ed il momento d’inizio del possesso ad usucapionem degli originari convenuti.

Si rappresenta in ogni caso che l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte lombarda, risulta ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico – formale (la corte milanese ha avuto cura di specificare che “anche la testimonianza di U. (…), una volta corretto l’evidente errore nella collocazione temporale degli avvenimenti, corrobori le altre acquisizioni istruttorie, omogenee nel far risalire al febbraio 1983 o ad epoca assai prossima a quest’ultima la collocazione dei contatori nell’attuale sede (…)”: così sentenza d’appello, pag. 4).

D’altronde i ricorrenti censurano la pretesa distorta ed erronea valutazione delle risultanze di causa (la corte di seconde cure ha alterato, “di fatto, il dato testimoniale, che incontrovertibilmente è stato indicato dall’ U. nel 1985”: così ricorso, pag. 5; “arbitrariamente ed immotivatamente giunge ad ignorare (…) dati istruttori in realtà presenti (…)”: così ricorso, pag. 7; “ci si riferisce ancora una volta alla mancata considerazione delle circostanze decisive emerse dalla testimonianza U. (…)”: così ricorso, pag. 9).

E nondimeno il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

Al contempo, nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).

Infine l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. sez. un. 7.4.2014, n. 8053).

In dipendenza del rigetto del ricorso i ricorrenti vanno in solido condannati a rimborsare ai controricorrenti le spese del giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

Il ricorso è datato 20.3.2014. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte deì ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti, M.M. ed Z.A., a rimborsare ai controricorrenti, T.C., T.C.M., T.L. e T.G., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi delD.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis., Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 26 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018

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