LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27753/2014 proposto da:
Monte Tabor S.r.l., in Liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Pompeo Magno n. 1, presso l’avvocato Manzullo Francesco (Studio Bianchini Piergrossi Eversheds), rappresentata e difesa dall’avvocato Catuara Stefano, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Comune di Favara;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1415/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 30/09/2013;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/07/2018 dal Cons. Dott. SAMBITO MARIA GIOVANNA C..
FATTI DI CAUSA
Con sentenza depositata il 13.6.2007, il Tribunale di Agrigento rigettava la domanda con la quale la Società Monte Tabor S.r.l. aveva chiesto la condanna del Comune di Favara al pagamento della somma di Euro 207.170,35, oltre interessi e rivalutazione, per l’assistenza prestata in favore di nove persone affette da malattie mentali. La decisione veniva confermata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Corte d’Appello di Palermo, secondo cui: a) la mancata stipulazione di convenzione inter partes escludeva la fondatezza dell’azione contrattuale; b) la circolare dell’Assessore Regionale gli Enti locali n. 2 del 2003 non valeva a fondare l’actio de in rem verso, sussistendo un’azione contrattuale nei confronti di colui che aveva consentito la prestazione, del D.Lgs. n. 77 del 1995, ex art. 35 (in precedenza del DL n. 66 del 1989, art. 23, convertito nella L. n. 144 del 1989 e successivamente del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191).
Per la cassazione della sentenza, ha proposto ricorso la Società soccombente affidato a due motivi. L’intimato non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.
2. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 328 del 2000, art. 6 e della L.R. n. 22 del 1986, interpretate alla luce delle circolari dell’Assessore Regionale gli Enti locali n. 3996 del 2002, n. 2 del 2003, n. 14 del 2008. L’obbligazione dei Comuni, afferma la ricorrente, discende dalla legge e prescinde dalla stipula della convenzione, non intervenuta per colpevole inerzia di amministratori e funzionari che, lungi dal consentire la prestazione, erano incorsi in tale omissione. La ricorrente evidenzia che i soggetti ricoverati nella Comunità alloggio, da lei gestita, erano affetti da patologie psichiatriche, non avevano chiesto volontariamente il ricovero, ed erano socialmente pericolosi, talchè il Comune doveva adottare i conseguenti necessari provvedimenti amministrativi, non disponendo di alcuna discrezionalità al riguardo, e corrispondere la retta di mantenimento, una volta accertata la sussistenza delle condizioni di bisogno e di indifferibilità del ricovero, a nulla rilevando l’insufficienza degli stanziamenti di bilancio.
3. Col secondo motivo, si deduce la violazione degli artt. 2 e 32 Cost.. Il dovere inderogabile di solidarietà economica e sociale e l’obbligo di tutela della salute è stato violato dalla sentenza impugnata nel non riconoscere il debito del Comune.
4. I motivi, da valutarsi congiuntamente, vanno rigettati. 5. Con la L. 9 maggio 1986, n. 22, la Regione Sicilia nel procedere al riordino dei servizi e delle attività socio-assistenziali del territorio di sua competenza, ha attribuito, all’art. 16, ai comuni, singoli o associati, la titolarità delle funzioni attinenti alla predetta materia, prevedendo, all’art. 23, che gli istituiti servizi socio-assistenziali devono essere attuati “con le seguenti modalità: a) mediante gestione diretta; b) mediante convenzione con istituzioni pubbliche e private di assistenza e beneficenza ed associazioni non aventi fini di lucro; c) mediante delega ai consigli di quartiere prioritariamente per quanto riguarda i servizi di cui dell’art. 3, comma 2, lett. a, b, c, d, ed e, della presente legge”. Anche il legislatore nazionale ha demandato ai Comuni, con la L. n. 328 del 2000, art. 6, le funzioni amministrative concernenti gli interventi sociali svolti a livello locale, non omettendo di aggiungere che: “Tali funzioni sono esercitate dai comuni adottando sul piano territoriale gli assetti più funzionali alla gestione, alla spesa ed al rapporto con i cittadini, secondo le modalità stabilite dalla L. 8 giugno 1990, n. 142, come da ultimo modificata dalla L. 3 agosto 1999, n. 265”.
6. Ora, la circostanza che le prestazioni di assistenza rese dalla Società in favori di soggetti affetti da patologia psichiatrica rientrino tra quelle attribuite ai Comuni non costituisce fonte di un’indiscriminata obbligazione ex lege, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, che infondatamente invoca circolari assessoriali (che non sono fonti normative, ma atti amministrativi) e deduce la violazione di tale disciplina, in quanto la delega della predetta funzione a soggetti estranei all’apparato organizzativo dell’Ente deve avvenire attraverso specifiche convenzioni la cui stipulazione non costituisce affatto un obbligo giuridico del Comune, va conclusa in forma scritta all’esito del prescritto iter procedimentale (ed al riguardo nulla è stato dedotto, neppure, in ordine al soggetto che ha disposto i ricoveri) e, beninteso, entro i limiti dei fondi disponibili. 7. Deve, infatti, rilevarsi che l’erogazione delle spese degli enti pubblici territoriali deve trovare titolo in una delibera che ne indichi l’ammontare ed i mezzi per farvi fronte, in base a disposizioni cogenti, che costituiscono un principio generale dell’ordinamento degli enti locali territoriali (del R.D. n. 383 del 1934, artt. 284 e segg., D.L. n. 66 del 1989, art. 23 e della L. n. 142 del 1990, art. 35, successivamente del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191), in funzione dell’interesse pubblico all’equilibrio economico, e, quindi, al buon andamento delle Amministrazioni locali (art. 97 Cost.), principio che non è recessivo rispetto agli obblighi di solidarietà sociale invocati dalla ricorrente, in quanto anche i costi relativi a tali interventi vanno contenuti entro i limiti delle disponibilità finanziarie, laddove il dovere di tutela della salute non pare invocato a proposito, tenuto conto che, come riferisce la stessa ricorrente (pag. 3 ricorso), le prestazioni rese hanno comunque avuto ad oggetto attività di assistenza, e che, comunque, è soggetto anch’esso al bilanciamento tra l’esigenza di garantire il diritto fondamentale alla salute, nella misura più ampia possibile, con quella di rendere compatibile la spesa sanitaria con l’entità dei fondi.
8. Non va provveduto sulle spese, in assenza di attività difensiva della parte intimata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018