LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –
Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11769/2013 proposto da:
Agenzia del Demanio, in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente –
contro
Comune di Brescia, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via Appia Nuova n. 96, presso lo studio dell’avvocato Rolfo Paolo, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati Moniga Francesca, Orlandi Andrea, giusta procura speciale del 12.6.2018, autenticata dalla Dott.ssa B.C.
Segretario Generale del Comune;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 375/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 19/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 11/07/2018 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RILEVATO
che:
la corte d’appello di Brescia, con sentenza depositata il 19-3-2012, riformava la decisione di primo grado e rigettava la domanda proposta dall’Agenzia del demanio nei confronti del comune di Brescia tesa a ottenere il pagamento di un’indennità di occupazione di locali della caserma *****, nei quali era dal 1965 insediato il consiglio provinciale di leva; onde motivare il suo convincimento la corte d’appello osservava che del D.P.R. n. 237 del 1964, art. 29, posto a base della pretesa, aveva attribuito all’ente locale l’obbligo di fornire i locali per le sedute dei consigli di leva, e di sostenerne le spese; non era stata prevista invece l’ipotesi, in concreto verificatasi, che l’amministrazione dello Stato decidesse unilateralmente di utilizzare al riguardo un edificio appartenente al demanio; donde, essendosi trattato di scelta unilaterale, dovevasi considerare venuto meno l’obbligo del comune di fornire i locali, gli arredi e i servizi accessori, e non essendo stato stipulato alcun accordo tra l’amministrazione statale e il comune di Brescia non si sarebbe potuto imporre alcun indennizzo per un’occupazione senza titolo di beni appartenenti allo stesso occupante;
contro la sentenza l’Agenzia del demanio ha proposto ricorso per cassazione sorretto da un unico mezzo, col quale ha dedotto la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 237 del 1964, art. 29, in relazione all’art. 113 c.p.c. e art. 118 att. c.p.c., poichè l’obbligo previsto dalla legge non viene meno nell’ipotesi in cui l’amministrazione abbia la disponibilità di locali ove poter alloggiare gli uffici del consiglio provinciale di leva; la circostanza quindi che gli uffici dei consigli fossero ubicati all’interno di immobile demaniale avrebbe dovuto tradurre l’onere economico previsto dalla norma nell’obbligo di pagare all’amministrazione proprietaria del bene i corrispondenti canoni a titolo di indennizzo;
il comune ha replicato con controricorso;
le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO
che:
secondo il D.P.R. n. 237 del 1964, ai consigli di leva (di terra e di mare), organi del servizio della leva nel territorio della Repubblica assieme agli uffici di leva, era attribuita la competenza per le operazioni della leva e le decisioni relative a infrazioni che non fossero di competenza dell’autorità giudiziaria;
si trattava quindi di uffici necessari all’esercizio del servizio di leva, notoriamente obbligatorio;
il D.P.R. n. 237 del 1964, art. 29 (abrogato dal D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66) prevedeva che sulle amministrazioni comunali gravassero gli oneri per il funzionamento dei consigli di leva di terra; stabiliva difatti che “le Amministrazioni comunali delle città ove hanno sede i Consigli di leva di terra provvedono a fornire i locali per le sedute dei Consigli stessi, gli oggetti di cancelleria e quanto è necessario per l’arredamento, la pulizia, il riscaldamento e l’illuminazione dei locali comunali suddetti. Le spese relative, comprese quelle del personale all’uopo occorrente, sono a carico delle Amministrazioni comunali”;
non può sostenersi che detti obblighi potessero in qualche modo venir meno ove i locali dei consigli fossero ubicati all’interno di edifici demaniali;
non lo si può sostenere perchè era il comune l’ente tenuto a fornire i locali stessi, con caratteristiche coerenti alle esigenze del servizio;
non si comprende donde sia tratta l’affermazione della corte territoriale secondo cui l’ipotesi di specie si sarebbe dovuta declinare come frutto di una scelta unilaterale dell’amministrazione stessa, di utilizzare edifici del demanio anzichè locali messi a disposizione dal comune;
l’assunto, così genericamente esplicitato, non vale a sorreggere l’affermazione di esistenza di un particolare comportamento serbato dall’amministrazione statale, suscettibile di essere interpretato come rinuncia ad avvalersi della facoltà di imporre oneri economici al comune;
in generale infatti la rinuncia può essere tacitamente dedotta soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco la sua effettiva e definitiva volontà abdicativa del diritto riconosciuto dalla legge; e al di fuori dei casi in cui gravi sul creditore l’onere di rendere una dichiarazione volta a far salvo il suo diritto, il silenzio o l’inerzia non possono essere interpretati quale manifestazione tacita della volontà di rinunciare a un credito, la quale non può mai essere oggetto di presunzioni (v. di recente Cass. n. 2739-18);
è inconferente l’obiezione del giudice a quo secondo la quale la previsione dell’indennizzo avrebbe supposto “l’imposizione con atto amministrativo unilaterale di un indennizzo per l’occupazione senza titolo (..) di un immobile di proprietà dello stesso occupante”;
quel che unicamente rileva è che i locali per l’esercizio dell’attività (obbligatoria) dei consigli di leva non erano stati messi a disposizione dal comune, con correlata necessità dell’amministrazione statale di provvedervi a sua volta; nè dalla sentenza emerge che il comune avesse in qualche misura dedotto di aver assolto (o di aver tentato di assolvere) all’obbligo di fornire locali alternativi a quelli della caserma *****;
dinanzi alla necessità di individuare in ogni caso dei locali per l’esercizio dell’attività suddetta, la previsione dell’indennizzo non era poteva dirsi associata a un’occupazione senza titolo, sebbene alla necessità di ribaltare in capo all’obbligato gli oneri della messa a disposizione dei locali stessi;
come correttamente sottolineato dall’avvocatura dello Stato, la domanda era tesa ad affermare la necessità di tradurre l’onere (rectius: l’obbligo) previsto dalla norma in quello di indennizzare l’amministrazione statale della corrispondente perdita economica, pagando un canone commisurato all’estensione e alle caratteristiche del bene sottratto alla funzione di caserma;
il ricorso va dunque accolto e l’impugnata sentenza cassata;
segue il rinvio alla medesima corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, per nuovo esame;
la corte d’appello si uniformerà ai principi esposti e provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d’appello di Brescia.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 luglio 2018.
Depositato in Cancelleria il 23 ottobre 2018