LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15641/2017 proposto da:
LAMAR SRL in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 63 (FAX 0364535069), presso lo studio dell’avvocato LUCIANO GRATTI, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO MAZZOLA;
– ricorrente –
contro
UBI BANCA SPA, incorporante della Banca di Valle Camonica Spa, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. PUCCINI 10, presso lo studio dell’avvocato MARIO FERRI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE BONETTI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 571/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, emessa il 18/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA;
dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.
FATTI DI CAUSA
1. Lamar s.r.l. agiva in giudizio nei confronti di Banca di Valle Camonica s.p.a. (oggi UBI Banca s.p.a.) lamentando, con riferimento a un rapporto di conto corrente con apertura di credito intercorso tra le parti tra il *****, l’illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale, la mancata determinazione dell’interesse ultralegale e la non lecita contabilizzazione della commissione di massimo scoperto, in assenza di pattuizione dei criteri che ne indicassero le modalità di calcolo.
La banca si costituiva e veniva disposta consulenza tecnica d’ufficio. Nel corso delle operazioni peritali emergeva che Lamar aveva consegnato al c.t.u. dei documenti che quest’ultimo non aveva rinvenuto nel fascicolo di parte e a tale produzione si opponeva la banca, deducendone la tardività.
In esito al giudizio di primo grado il Tribunale di Brescia rideterminava il saldo debitorio della società correntista in Euro 176.912,16.
2. – La sentenza era impugnata da Lemar nella parte in cui il giudice di prima istanza si era espresso nel senso nell’inutilizzabilità degli estratti conto relativi al periodo tra il 1995 e il 2000 (oggetto di acquisizione da parte del consulente d’ufficio) e proceduto, in conseguenza, al computo delle sole somme indebitamente conteggiate dalla banca nel periodo successivo (e cioè a quello tra il *****). Lemar sosteneva, in particolare, che gli estratti conto riferiti al primo arco temporale erano stati prodotti con l’atto introduttivo del giudizio e si erano successivamente smarriti.
La Corte di appello di Brescia respingeva il gravame con sentenza del 21 aprile 2017.
3. Lamar ha impugnato per cassazione tale pronuncia facendo valere un motivo. UBI Banca resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso la ricorrente lamenta la falsa applicazione dell’art. 74 disp. att. c.p.c. (R.D. n. 1368 del 1941) in tema di produzione di documenti. Assume l’istante che la Corte di appello avrebbe dovuto verificare se la produzione dei documenti (estratti conto dal *****) fosse stata posta in atto, così come indicato nel ricorso ex art. 702 bis c.p.c.. Evidenzia che la banca aveva dato atto di tale produzione nella propria comparsa di risposta e che la stessa controparte, al momento della decisione sull’ammissione della consulenza tecnica, non aveva espresso rilievi quanto al difetto dei documenti che avrebbero dovuto essere esaminati.
2. – Il ricorso è infondato.
E’ pacifico che il fascicolo attoreo non contenesse un indice dei documenti sottoscritto dal cancelliere, così come dispone l’art. 74 disp. att. c.p.c., comma 3.
Ora, le modalità di produzione dei documenti sono stabilite dagli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c.: ne consegue che, in mancanza di indicazione nell’indice del fascicolo di parte di un documento che si assume inserito nel medesimo all’atto della costituzione in giudizio, ovvero di deposito in cancelleria del documento che si assume prodotto dopo la costituzione in giudizio, e di comunicazione di esso alle altre parti (art. 170 c.p.c., comma 4) o, se esibito in udienza, di menzione nel relativo verbale (art. 87 disp. att. c.p.c..), si presume che il documento non sia stato acquisito al processo. E’ pertanto onere della parte dimostrare che, invece, malgrado la mancanza di prova dell’osservanza di dette formalità, il documento sia stato prodotto, ancorchè senza le modalità predette, nei termini stabiliti dal codice di rito (Cass. 19 luglio 2005, n. 15189; conformi: Cass. 1 settembre 2006, n. 18949; Cass. 23 novembre 2006, n. 24874). Più in particolare, la mancanza della firma del cancelliere in calce all’indice dei documenti prodotti, anche se non rende irrituale la produzione, determina, in caso di contestazione, la necessità, per la parte interessata, di fornire, sia pure solo indirettamente ed anche attraverso il comportamento della controparte, la prova della produzione dei documenti di cui intende avvalersi: Cass. 20 aprile 1996, n. 3778; più di recente, in tema, cfr. Cass. 2 maggio 2011, n. 9644, non massimata).
Ciò posto, come rettamente osservato dalla Corte di appello, tale prova non è stata fornita. La certezza circa la produzione, al momento della costituzione in giudizio dell’odierna ricorrente, della documentazione relativa agli estratti conto del periodo ricompreso tra il ***** non può certo desumersi dal richiamo agli scritti in questione che sarebbe stato operato nel ricorso introduttivo: a prescindere dalla carenza di autosufficienza della deduzione, che non riproduce il contenuto del detto richiamo, è facile osservare che il rinvio di un atto processuale a un documento non implica che lo stesso sia stato effettivamente prodotto in giudizio. Nè può ritenersi risolutivo, ai fini che qui interessano, il riferimento della banca alla produzione documentale della ricorrente: infatti, nel menzionare, nel proprio ricorso, il documento n. 1, Lamar ha richiamato l’intera serie degli estratti conto (come da essa precisato a pag. 5 del ricorso); ma è pacifico che una parte di essi (quelli relativi al periodo *****) fosse stata realmente riversata nel fascicolo di parte; in conseguenza, non esiste alcuna evidenza del fatto che l’istituto di credito, nel rinviare, in modo generico, al detto documento n. 1, abbia fatto riferimento anche alla parte degli estratti conto di cui qui si controverte (quelli relativi al periodo precedente al 2000). Del tutto carente di specificità è, poi, il rilievo dell’istante secondo cui la banca, allorquando il Tribunale ebbe a pronunciarsi sull’esperimento della consulenza tecnica, non avrebbe “espresso rilievi circa il difetto dei documenti da esaminare”: l’istante, contravvenendo alla prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, non fornisce alcuna indicazione circa il verbale di udienza da cui dovrebbe ricavarsi il detto contegno dell’odierna controricorrente; manca inoltre di operare la riproduzione diretta o indiretta dell’atto rilevante a tal fine (cfr.: Cass. 27 luglio 2017, n. 18679; Cass. 15 luglio 2015, n. 14784). Anche sul punto deve rilevarsi, peraltro, come l’indicata condotta non sia univocamente rappresentativa della attuata produzione degli estratti conto di cui si dibatte (essendo essa pienamente compatibile, ad esempio, con l’erronea supposizione che essi fossero stati acquisiti al giudizio). Merita, piuttosto, convinta condivisione la valorizzazione, da parte della Corte di merito, del comportamento processuale tenuto dalle parti: vengono in questione, in particolare, l’avvenuta consegna, da parte di Lamar e nei confronti del c.t.u., degli estratti conto del primo periodo (*****) – consegna attuatasi in modo del tutto spontaneo, in assenza di alcuna sollecitazione da parte del consulente – e la successiva opposizione dell’istituto di credito a detta produzione: come è chiaro, l’iniziativa della odierna ricorrente appare poco congruente con l’asserito smarrimento di documenti prodotti giudizialmente, dal momento che in presenza di una siffatta evenienza l’interessata avrebbe dovuto rivolgersi al giudice per essere autorizzata alla ricostruzione (parziale) del proprio fascicolo di parte, siccome mancante di scritti che già appartenevano al processo; per altro verso, il dissenso manifestato dalla banca quanto all’acquisizione documentale si spiega proprio con la novità della medesima.
3. – Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1 quater, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6^ Sezione Civile, il 25 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018