LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9216/2018 proposto da:
O.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CHIARA VILLANTE;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
COMMISSIONI TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BRESCIA;
– intimati –
avverso il decreto N. R.G. 15049/2017 del TRIBUNALE di BRESCIA, emesso il 31/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA;
dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.
FATTI DI CAUSA
1. – La competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale respingeva la domanda del richiedente asilo O.E., di nazionalità *****, il quale aveva lamentato di soffrire della stessa malattia da cui era affetto il padre, che era deceduto all’esito di un intervento chirurgico ad essa correlato e dedotto, nella sostanza, di non aver voluto curarsi nel paese di origine, temendo che l’operato dei medici ***** sulla propria persona potesse portare allo stesso esito infausto che aveva interessato il genitore.
2. Il provvedimento era impugnato avanti al Tribunale di Brescia, il quale accertava essere insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di soggetto meritevole della protezione sussidiaria o umanitaria.
3. Ricorre per cassazione con tre motivi O.; resiste con controricorso il Ministero dell’interno.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. La censura verte sulla dedotta inosservanza, da parte del Tribunale, dell’obbligo di informarsi, in modo adeguato e pertinente alla richiesta, sulle condizioni del paese di origine del richiedente asilo, allorquando le notizie fornite da quest’ultimo siano deficitarie o mancanti. In particolare, il ricorrente lamenta che sia stato omessa la ricerca di elementi conoscitivi sulla situazione esistente nella *****.
Il secondo mezzo lamenta la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3 e 14 e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, nonchè l’erronea e contraddittoria motivazione e l’omessa valutazione di elementi di fatto e diritto. Secondo l’istante aveva errato il Tribunale a non riconoscere la protezione sussidiaria, giacchè ricorreva una situazione in cui era fondato il rischio della propria esposizione a grave danno, stante l’attuale situazione del paese di provenienza. Richiama, in particolare, la situazione di grave instabilità e di violenza indiscriminata esistente in ***** e si duole dell’omesso esame della documentazione, rilevante a tal fine, che era stata allegata a fondamento della richiesta e dell’altra “reperita di ufficio da fonti attendibili”.
Il terzo motivo oppone la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, l'”omessa valutazione di fatto e di diritto” e l’erronea o contraddittoria motivazione. Secondo il ricorrente il Tribunale avrebbe mancato di “verificare la sussistenza di un obbligo costituzionale o internazionale a fornire protezione umanitaria in capo a persone che fuggono da paesi nei quali vi sono sconvolgimenti sociali tali da impedire una vita senza pericoli per la propria incolumità”; rileva che le notizie acquisite offrivano indicazioni allarmanti circa la ripetuta violazione dei diritti fondamentali nel paese di provenienza.
2. Le esposte censure non sono fondate e il ricorso va per conseguenza respinto.
Il Tribunale – dopo aver evidenziato che il paventato timore dell’odierno ricorrente di morire a causa della malattia da cui era stato colpito era destituito di fondamento, e ciò grazie a un intervento chirurgico che aveva determinato il superamento della patologia di cui egli soffriva ha osservato che, sulla base delle informazioni reperite, le violenze presenti nella regione di origine del ricorrente erano da ascriversi alla criminalità comune, che indirizzava i propri atti prevalentemente contro gli stranieri che prestavano la loro attività presso le compagnie petrolifere; ha evidenziato che comunque non sembrava essersi determinata, per effetto di tali condotte delittuose, “una rilevante e stabile perdita di controllo da parte delle autorità governative”. Lo stesso Tribunale ha poi precisato, sulla scorta di notizie acquisite da report dedicati alle situazioni di con flittualità presenti in ***** – report specificamente richiamati nel corpo del provvedimento impugnato -, che il rischio di attacchi terroristici nell’arca di provenienza del ricorrente non differiva significativamente dall’ordinario rischio di analoghi attentati che era diffuso in molti paesi del mondo, compresi quelli Europei.
Ciò posto, il primo motivo non coglie evidentemente nel segno, giacchè imputa al Tribunale una mancata documentazione sulle condizioni della Nigeria che è sconfessata dal tenore del decreto impugnato. Se è quindi vero che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, oltre a sancire un dovere di cooperazione del richiedente consistente nell’allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, pone a carico dell’autorità decidente un più incisivo obbligo di informarsi in modo adeguato e pertinente alla richiesta, soprattutto con riferimento alle condizioni generali del paese d’origine, allorquando le informazioni fornite dal richiedente siano deficitarie o mancanti (Cass. 10 aprile 2015, n. 7333; Cass. 16 dicembre 2015, n. 25319), è incontestabile che la spendita di un tale potere officioso di indagine trovi, nella fattispecie che interessa, effettivo riscontro.
Il secondo mezzo è, poi, inammissibile. Come è noto, in tema di protezione sussidiaria dello straniero prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale non è subordinata alla condizione che l’istante fornisca la prova di esservi interessato in modo specifico sulla base di elementi che riguardino la sua situazione personale ma sussiste anche qualora il grado di violenza indiscriminata, che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti, raggiunga un livello così elevato da far ritenere presumibile che il rientro dello straniero nel proprio paese lo possa sottoporre, per la sua sola presenza sul territorio, al rischio di subire concretamente tale minaccia (Cass. 21 luglio 2017, n. 18130; Cass. 23 ottobre 2017, n. 25083). Tale evenienza è stata però motivatamente esclusa dal Tribunale e l’apprezzamento compiuto nel provvedimento impugnato sfugge al sindacato di legittimità; è da ricordare, in particolare, che il prospettato cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito è estraneo alla previsione del novellato art. 360, n. 5 c.p.c. (Cass. 10 giugno 2016, n. 11892). La censura è del resto sviluppata avendo riguardo a risultanze documentali che non risultano specificamente individuate ex art. 366 c.p.c., n. 6: per il che, sul punto, il motivo risulta pure carente della necessaria specificità. Va inoltre sottolineato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di mancato esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054) e che nella fattispecie non ricorre di certo l’omesso apprezzamento della situazione del paese di origine del ricorrente, che è stata invece valutata dal Tribunale. Da ultimo, non ricorre alcun vizio motivazionale, giacchè nella nuova formulazione dell’art. 360, n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, è mancante ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053 cit.; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054 cit.). Ebbene, nessuna di tali radicali lacune motivazionali, che rilevano nel quadro della disciplina vigente, è stata dedotta col ricorso per cassazione; nè, de resto, la sentenza impugnata ne evidenzia alcuna.
Analoga considerazione deve svolgersi con riguardo alla censura motivazionale oggetto del terzo mezzo. Con riguardo a detto motivo non ricorre nemmeno la lamentata violazione o falsa applicazione di legge, giacchè la questione posta dal ricorrente attiene all’accertamento di fatto, mentre, come è ben noto, ai fini del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, rileva che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata (Cass. 15 dicembre 2014, n. 26307; Cass. 24 ottobre 2007 n. 22348): un tale error juris è da escludere, giacchè, in buona sintesi, il Tribunale, nella controversia in esame, ha ritenuto che la situazione in atto nella Nigeria meridionale non esponesse il ricorrente a una situazione di pericolo che giustificasse la misura residuale della protezione umanitaria.
3. Segue la condanna del ricorrente, siccome soccombente, al pagamento delle spese processuali.
L’ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio determina l’insussistenza dei presupposti per il versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito alla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, stante la prenotazione a debito dipendente dall’ammissione al predetto beneficio (Cass. 22 marzo 2017, n. 7368).
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.050,00 ed agli accessori di legge, oltre alle spese prenotate a debito.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6^ Sezione Civile, il 25 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018