Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.27319 del 29/10/2018

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10670-2018 proposto da:

I.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA FROLDI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO *****;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 5959/2017 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 16/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA;

dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.

FATTI DI CAUSA

1. – I.S., proveniente dalla Nigeria, proponeva domanda di protezione internazionale: domanda che veniva respinta dalla competente Commissione territoriale.

Il Tribunale di Ancona, avanti al quale era impugnato il suddetto provvedimento reiettivo, respingeva a propria volta il gravame, osservando come non ricorressero le condizioni per il riconoscimento, al richiedente, dello status di rifugiato e ritenendo, altresì, che non potesse farsi luogo nè alla protezione sussidiaria, nè al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

2. 11 decreto del Tribunale marchigiano è impugnato per cassazione da I.S.; il ricorso si fonda su di un unico motivo. Il Ministero dell’interno non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – L’istante lamenta la violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Deduce che il Tribunale avrebbe omesso di “verificare la veridicità del fatti e la corrispondenza tra quanto detto dinanzi alla Commissione territoriale e nel ricorso di primo grado ascoltando il richiedente protezione internazionale nonchè ponendolo nella condizione di fornire in maniera chiara ed esaustiva le proprie argomentazioni, deduzioni e mezzi probatori”. In presenza di lacune nella ricostruzione della vicenda che riguardava esso ricorrente il giudice del merito avrebbe dovuto attivare le autorità competenti per il reperimento di documenti.

2. – Il ricorso è inammissibile.

Il Tribunale ha ritenuto che le dichiarazioni della parte istante in merito alle motivazioni che lo avrebbero costretto a lasciare il paese di origine fossero inidonee a giustificare il riconoscimento di una misura di protezione, “atteso si tratta di timori generici del ricorrente e di una sua personale insicurezza connessa a fatti di reato comuni per i quali avrebbe dovuto attendere l’esito delle indagini da parte degli organi di polizia, allertati dallo zio”. Ha evidenziato che, in considerazione della zona di provenienza dell’istante, costui non era esposto al rischio di attacchi terroristici: attacchi cui, peraltro, lo stesso ricorrente non aveva fatto riferimento. Dopo una estesa ricognizione della situazione esistente in Nigeria, il giudice del merito ha dunque negato che I. avesse titolo ad accedere ad alcuna delle diverse forme di protezione previste: internazionale, sussidiaria o umanitaria.

Non risulta nemmeno censurata l’affermazione, contenuta nel decreto impugnato, secondo cui per i fatti narrati nel corso del procedimento – i cui contorni, peraltro, non sono stati esaurientemente precisati nel corpo del ricorso per cassazione l’istante aveva manifestato timori legati a fatti di comune criminalità, dei quali era stata interessata la locale autorità di polizia.

Per il resto, è senz’altro vero che nella materia che qui interessa il giudice abbia il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti rilevanti, compiendo un’attività istruttoria ufficiosa, essendo necessario temperare l’asimmetria derivante dalla posizione delle parti (Cass. 13 dicembre 2016, n. 25534); ma non sembra revocabile in dubbio che il Tribunale abbia operato indagini nel senso indicato: basti richiamare, in proposito, la diffusa trattazione dedicata dal decreto alla situazione della Nigeria, funzionale all’accertamento delle condizioni del ricorrente alle diverse forme di protezione invocate.

D’altro canto, la censura attinente alla mancata spendita dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione, risulta essere connotata da assoluta genericità e appare, per conseguenza, priva di decisività: non solo il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, ma nemmeno precisa se tali informazioni si riferiscano alla domanda di protezione internazionale, a quella di protezione sussidiaria o a quella finalizzata al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari: se esse concernano, cumulativamente, tutte queste domande, o solo alcune di esse.

3. – Non è luogo a condanna in punto di spese processuali, non avendo il Ministero svolto difese.

L’ammissione del ricorrente al gratuito patrocinio determina l’insussistenza dei presupposti per il versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 stante la prenotazione a debito in ragione dell’ammissione al predetto beneficio (Cass. 22 marzo 2017, n. 7368).

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 25 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018

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