LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10692-2018 proposto da:
J.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA FROLDI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto n. R.G. 6791/2017 del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 16/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/09/2018 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO FALABELLA;
dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.
FATTI DI CAUSA
1. – J.A., proveniente dal Gambia, proponeva domanda di protezione internazionale: domanda che veniva respinta dalla competente Commissione territoriale.
Il Tribunale di Ancona, avanti al quale era impugnato il suddetto provvedimento reiettivo, respingeva a propria volta il gravame, osservando come non ricorressero le condizioni per il riconoscimento, al richiedente, dello status di rifugiato e ritenendo, altresì, che non potesse farsi luogo nè alla protezione sussidiaria, nè al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
2. – Il decreto del Tribunale marchigiano è impugnato per cassazione da J.A.; il ricorso si fonda su di un unico motivo. Resiste con controricorso il Ministero dell’interno.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – L’istante lamenta la violazione falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5. Deduce che il Tribunale avrebbe omesso di “verificare la veridicità del fatti e la corrispondenza tra quanto detto dinanzi alla Commissione territoriale e nel ricorso di primo grado ascoltando il richiedente protezione internazionale nonchè ponendolo nella condizione di fornire in maniera chiara ed esaustiva le proprie argomentazioni, deduzioni e mezzi probatori”. In presenza di lacune nella ricostruzione della vicenda che riguardava esso ricorrente il giudice del merito avrebbe dovuto attivare le autorità competenti per il reperimento di documenti.
2. – Il ricorso è inammissibile.
Il Tribunale ha rilevato che le dichiarazioni del ricorrente in merito alle motivazioni che l’avrebbero costretto a lasciare il proprio paese di origine risultavano riferite a vicende non credibili, riferite in modo confuso e prive di una logica unitaria; ha pure rimarcato come il ricorrente non avesse chiarito le ragioni per le quali non avesse conservato la disponibilità di documenti di identità (nonostante l’allontanamento dal paese di origine fosse stato programmato, non determinato da circostanze imprevedibili o improvvise). Ha inoltre sottolineato, sulla base dei resoconti ufficiali acquisti, che la situazione politica del Gambia fosse avviata alla normalità e che nel paese i rapporti tra le diverse religioni fossero amichevoli, comunque non improntati all’intolleranza. Il giudice del merito ha dunque negato che il ricorrente avesse titolo ad alcuna delle diverse forme di protezione: internazionale, sussidiaria o uianitaria.
Ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, n. 251, art. 3, comma 5, se il richiedente non ha fornito prova di alcuni elementi rilevanti ai fini della decisione, le allegazioni dei fatti non suffragati da prova devono essere ritenuti comunque veritieri in presenza delle condizioni ivi indicate, tra cui è ricompresa la coerenza e plausibilità delle dichiarazioni rese, che devono essere correlate alle informazioni generali e specifiche riguardanti il caso (cfr. Cass. 18 febbraio 2011, n. 4138; cfr. pure Cass. 10 luglio 2014, n. 15782). La valorizzazione, da parte del giudice del merito, della non credibilità della narrazione dell’istante appare pertanto coerente con la nominata disciplina.
D’altro canto, la censura attinente alla mancata spendita dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione, risulta essere connotata da assoluta genericità e appare, per conseguenza, priva di decisività: non solo il ricorrente manca di indicare quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso, ma nemmeno precisa se tali informazioni si riferiscano alla domanda di protezione internazionale, a quella di protezione sussidiaria o a quella finalizzata al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari: se esse concernano, cumulativamente, tutte queste domande, o solo alcune di esse.
3. – Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso fa seguito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 2.050,00 ed agli accessori di legge, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 25 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2018